A cura di Alberto Pelissero

Edizioni Il leone verde

Pag. 180 - Prezzo € 13,43

 

 

 
 

 

Arjuna

e l'uomo della montagna

(dal Mahabharata)

 

Tra gli eroi e gli dèi dell'India, Arjuna e Siva sono forse in Occidente i più famosi. Il campione di cavalleresco valore, il guerriero pensoso della Bhagavad-gita, malinconico sopra le contraddizioni del destino umano, e l'inquietante sovrano divino dell'ascesi e dell'eros, il cosmico danzatore della costruzione e dell'annientamento del mondo... Queste due figure vivono di autonoma esistenza anche nell'immaginario extra-indiano; non troppo lontane - per una volta - dalla loro originaria consistenza e natura.

Meno conosciuta, ma non meno forte e unica, negli spazi del mito, è la vicenda del loro incontro. Tra i picchi impervi dell'Himalaya, l'eroe cerca il dio per avere un'arma invincibile, indispensabile alla sua guerra, il Dio cerca l'eroe per saggiarne la purezza e il coraggio, prima di concedergliela Le sue apparenze traggono in inganno: egli si manifesta infatti nella forma impura e temibile di un Kirata, cacciatore selvaggio di stirpe montanara (non bisogna dimenticare che per l'India le divinità non hanno forma, ma possono apparire con diverse parvenze per intervenire nelle vicende umane). Dopo l'inevitabile scontro, l'uomo soccombe per rigenerarsi e divenire invincibile.

Questa potrebbe essere la storia di ogni essere umano quando incontra Dio, ritrovando se stesso. La letteratura orientale è fatta di incantesimi e di magie... e conduce il lettore occidentale in un viaggio introspettivo, dove si racchiude il mistero dell'incontro dell'Uomo con Dio.

 

Il libro

Nel corso di un viaggio tra regioni inaccessibili, che si presenta a tratti come un volo sciamanico, l’eroe per eccellenza della tradizione indiana - Arjuna - incontra un cacciatore di stirpe montanara. Al culmine di uno scontro che si può configurare come una prova iniziatica, l’uomo della montagna si rivela come null’altri che Shiva, il dio supremo. L’eroe si prostra ai suoi piedi per adorarlo e ottiene in dono il conferimento di un’arma divina. Questo il succo dell’episodio del Mahabharata qui tradotto, che comprende però un lungo antefatto, denso di considerazioni etiche e politiche, e un’intera vicenda minore a sé stante, in cui viene descritto un duello tra il dio Krishna, auriga di Arjuna nella Bhagavadgita, e un re avversario. Shiva, il dio più enigmatico del pantheon induista, è qui presente all’inizio sotto mentite spoglie, e tanto più sorprendente e mirabile risulta la teofania che segue. Documento letterario di prim’ordine, testimonianza delle radici profonde del culto shivaita, modello esemplare di struttura narrativa, di complessità semantica e di intento edificante, quest’episodio autonomo del grande poema epico contiene più di un espediente per irretire il lettore.

"Finalmente il Gran Dio afferrò le membra dell’avversario in una presa inesorabile e lo ridusse a un bolo di carne. Assalitolo con furia e vigore lo lasciò privo di sensi. Con le membra fatte rientrare nel tronco dal dio degli dèi, simile nell’aspetto a una palla di carne, Phalguna ristette senza più poter controllare il proprio corpo, o Bharata.” Con queste parole culmina la descrizione dell’incontro dell’eroe Arjuna (qui chiamato Phalguna, epiteto che significa sia “il rosso”, che “nato sotto il segno dell’asterismo detto Phalguni”) con la misteriosa figura di un cacciatore di stirpe montanara, che si rivela, nel corso di una maestosa teofania, null’altri che il dio Shiva, colui che concederà al guerriero le armi divine di cui era andato in cerca, e per ottenere le quali si era sottoposto a severe pratiche ascetiche. Un tale drammatico confronto tra uomo e dio non suona del tutto alieno dalla sensibilità del lettore occidentale, appena ricordi l’episodio biblico (Genesi 32,25-33) che vede Giacobbe lottare con un uomo misterioso che gli provoca la lussazione dell’anca per rivelarsi infine come quel dio al quale non è prudente chiedere il nome. Il patriarca ottiene quale segno di particolare benedizione (oltre al fatto stesso di essere sopravvissuto all’incontro, giacché la visione diretta di Dio comporta per l’uomo un pericolo mortale) l’imposizione di un nuovo nome, che sarà il termine eponimo del popolo eletto: Israele. Incidentalmente si può notare che l’acquisizione dell’arma divina pasupata nel caso di Arjuna e l’ottenimento del nuovo nome da parte di Giacobbe sono tipi diversi di una sola struttura mitica. Infatti l’arma divina non è altro che un mantra, una formula meditativa che consente di evocare una formidabile potenza divina: è dunque anch’essa un nome, un nome divino. La potenza del verbo è la stessa....