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Dei, demoni e
oracoli
Tra i preziosi reperti dei numerosi viaggi di Tucci in Tibet, incantati
ora in scaffali puliti e teche di cristallo, ve ne sono molti trafugati,
imballati e inchiodati durante la leggendaria spedizione del 1933 nello
Shang Shung e a Tsaparang, la regione della cultura Bon e delle pratiche
occulte dello Dzog Chen. Si tratta di reperti insostituibili per la
ricostruzione della storia mistica, religiosa, artistica, letteraria e
archeologica del Paese delle Nevi, ma che, nelle loro forme mortuarie e
claustrofobiche, ci dicono poco o niente di quella bizzarra estate del 1933
in cui la carovana di Tucci si addentrò nelle terre degli Orchi, delle
Divinità Pacifiche e Feroci nei lackang desolati e in rovina di Tspaparang e
di Tholing.
Per fortuna, Tucci ci ha lasciato questo straordinario diario, in cui la
narrazione, caratterizzata da un entusiasmo e una sincerità introvabili in
altri suoi scritti, ci restituisce tutto lo spirito di quell’avventurosa
spedizione e illumina l’altro scopo dei suoi viaggi: quello che oltrepassa
l’aspetto scientifico e la ricostruzione storica della civiltà di un paese,
e trova la sua motivazione più profonda nella ricerca delle verità contenute
nelle pratiche e nei saperi occulti.
La spedizione del 1933, la più affascinante, la più pericolosa, la più
nascosta tra le otto compiute in vent’anni, è, al di là del suo indiscusso
valore scientifico, un volo sciamanico, profondo e perfetto. E l’incontro
con le Divinità Pacifiche e Feroci dello Shang Shung appare, alla luce di
queste pagine, come la più importante iniziazione, tra le molte che Tucci ha
ricevuto dai maestri tibetani e di cui assai raramente ha parlato.
Se leggiamo, infatti, questo diario con lentezza e attenzione, seguendo la
carovana lungo le rive gelate dello Tsangpo, vedremo che le persone
incontrate tappa dopo tappa non sono mai esseri comuni e neppure lo sono gli
asini selvatici, i lupi, le capre, gli yak o Chankù il molosso tibetano che
seguiva Tucci in tutte le spedizioni.Tantomeno lo sono le montagne, le
tempeste, le nubi, il caldo, le frane, i fiumi, i tramonti, il freddo. In
ognuno di questi frammenti, anche nel più insignificante, si cela il cuore
del viaggio, lo sguardo di Vairocana, di Vajrasattva, di Shin jè, di
Mahakala, il volo delle Dakini e degli Oracoli. Soprattutto, se saremo
silenziosi e avremo la mente sgombra, ascolteremo la vera voce di Tucci che
ci dirà il suo culto per lo sgretolamento, la dissoluzione, lo svanire e
insieme l’inseguire con ogni mezzo e instancabilmente ciò che si nasconde o
appartiene al mondo dell’invisibile per riportarlo a vivere.
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Giuseppe Tucci (1894-1984) fondò nel 1933 l’Istituto italiano per il Medio
ed Estremo Oriente (Is.M.E.O.). Tra il 1925 e il 1930 insegnò nelle
università indiane di Calcutta e Shantiniketan, dove conobbe Tagore e Gandhi.
Tra il 1929 e il 1950, organizzò lunghe spedizioni in Tibet, Nepal, Pakistan
e Afghanistan che ottennero importanti risultati scientifici. Tra i suoi
numerosi scritti, oltre ai libri di viaggio, si segnalano i sette volumi di
Indotibetica (Accademia d’Italia, 1932-1942), i due di Tibetan
Painted Scrolls (Libreria dello Stato,1949) e la Storia della
filosofia indiana (1957).
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