1. Giobbe e i suoi figli – la scena si svolge sulla terra, 1:1-5
I versetti 1-3 descrivono il carattere e le ricchezze di Giobbe. Tutto questo serve per comprendere quanto gli è stato tolto, da quale altezza egli è caduto e quanto grande è stata la sua sofferenza.
- il suo nome, la sua persona (cf. 29:7–25);
- la sua giustizia (cf. 1:5,8; Ez 14:14–20; Gm 5:11);
- i suoi figli e figlie, la sua famiglia;
- le sue ricchezze;
- la sua posizione sociale
Il riferimento al nome di Giobbe denota, come i nomi di tutti noi, l’infinito interesse del cielo nei confronti delle anime salvate. Il Signore ama i suoi figli, e il Suo amore consiste anche nel conoscere per nome ciascuno, nel chiamarli ognuno col proprio nome (Es 1:1; Is 43:1). È la prima cosa che ci viene detta di Giobbe, perché l’identità di un uomo è la cosa più importante.
Segue la descrizione del suo carattere: era un uomo integro, irreprensibile, temeva Dio, evitava il male. Il carattere di un uomo è di gran lunga più importante delle sue proprietà materiali: ciò che uno è vale molto di più di ciò che uno ha.
Si parla poi della famiglia di Giobbe, di sua moglie, dei suoi figli e delle sue figlie. Nella scaletta delle cose importanti, la famiglia è qui menzionata al terzo posto, prima, dunque, delle sue ricchezze materiali. I suoi rapporti con la famiglia erano deliziosi, come dimostrano i versetti 4-5, egli amava i suoi figli, era contento di vederli gioiosi nei loro conviti. Ma li amava ancora di più, poiché Giobbe era sinceramente preoccupato della loro condizione spirituale, e faceva quello che solo il giusto può fare: come un sacerdote egli intercedeva in loro favore presso Dio.
Infine sono descritte le sue ricchezze. Seppur immense, non erano queste che gli avevano procurato onore, ma il modo giusto in cui le aveva utilizzate (cap. 29; vedi anche 1 Ti 6:17).
C’era nel paese di Uz un uomo che si chiamava Giobbe. Quest’uomo era integro e retto; temeva Dio e fuggiva il male. (Giobbe 1:1)
C’era nel paese di Uz un uomo. È probabile che il nome del paese derivi da uno degli antichi colonizzatori di quelle terre, come Canaan, Cush, Mizraim (Ge 10:6). Incontriamo tre personaggi di nome Uz: un nipote di Sem (Ge 10:23), un figlio di Nahor (Ge 22:21) e un discendente di Esaù (Gen. 36:28). Solo i primi due potrebbero essere i patriarchi del paese di Giobbe.
Se il paese in cui viveva fu chiamato così da uno degli otto figli di Nahor, fratello di Abraamo (Ge 22:21), si deduce che Giobbe sia vissuto nell’era dei patriarchi. Tuttavia, anche se appartenne all’epoca in cui Dio giudicò gli uomini in varie circostanze (la torre di Babele, Sodoma e Gomorra), il modo di conoscere Dio, sia da parte sua che dei suoi amici e di Eliu, non ci sorprende.
Che si chiamava Giobbe. I nomi geografici e di persone sono tipici delle descrizioni storiche. L’autore è esplicito sin dal principio, volendo che il libro sia inteso non come parabola, ma come un avvenimento storico. Per questa ragione il profeta Ezechiele e l’apostolo Giacomo parlano di Giobbe come di una figura storica (Ez 14:14, Gm 5:11).
Il nome Giobbe, in ebraico ’ijjôb, era conosciuto nel vicino Oriente intorno al secondo millennio a. C.: diversi nobili cananei si chiamavano così, era conosciuto nell’antica Mari, al corso superiore dell’Eufrate, e un testo egizio del 19 esimo secolo a. C. fa menzione di un uomo Giobbe. I testi cuneiformi di Ugarit, città portuale dell’alta Siria, del 14 esimo secolo a. C., menzionano un Ajab, come anche le epistole contemporanee di Amarnah, che sono racconti di re cananei mandati ai faraoni egizi Amenofi III e IV. Il nome ’ijob “dov’è il Padre” ci ricorda il nome ’ikâbôd “dov’è la gloria” (1 Sa 4:21).
Di Giobbe è detto che era integro e retto, temeva Dio e fuggiva il male. Lo storiografo conferma così la giustizia di Giobbe, poco più avanti leggiamo che anche Dio conferma tale testimonianza, mentre nei capitoli 29-31 lo stesso Giobbe attesta la sua giustizia. Egli fuggiva il male (cap. 31) perché temeva Dio e attribuiva a Lui il suo benessere (cap. 29). Una parte vitale della drammaticità del libro consiste nel fatto che chi soffre è il giusto. Se si fosse trattato di un empio o di un ipocrita, la questione della sofferenza non avrebbe suscitato alcun problema.
Integro, tâm, significa “completo, intero, indiviso”. Giobbe era “indivisamente” consacrato a Dio.
Retto, jâschar, vuol dire anche “onesto, coerente”. Giobbe era un uomo senza secondi fini, non si trattava di un attore che si comportava diversamente dal suo pensiero.
Temeva Dio e fuggiva il male. È degno di nota che nel primo dei libri sapienziali (Giobbe), proprio nel primo versetto, vi sia un riferimento alla sostanza di ogni vera sapienza: il timore di Dio, che insegna al saggio a fuggire dal male. Giobbe dirà:
Ecco, temere il Signore, questa è saggezza, fuggire il male è intelligenza. (Gb 28:28)
Chi conosce Dio realmente Lo teme; chi teme Dio dimostra di aver conosciuto Dio. Giobbe fuggiva il male. Questa è la prova evidente del timore di Dio (Pr 3:7; 8:13).
Gli erano nati sette figli e tre figlie; possedeva settemila pecore, tremila cammelli, cinquecento paia di buoi, cinquecento asine e una servitù molto numerosa. Quest’uomo era il più grande di tutti gli Orientali. (Giobbe 1:2-3)
I numerosi figli facevano parte del suo benessere. I figli, secondo Sl 127:3, sono un’eredità del Signore e una ricompensa. Poi, il benessere che Dio gli aveva concesso si manifestava nella sua immensa ricchezza, così avvenne agli altri patriarchi (Ge 13;5,6; 24:35).
I suoi figli erano soliti andare gli uni dagli altri e a turno organizzavano una festa; e mandavano a chiamare le loro tre sorelle perché venissero a mangiare e a bere con loro. Quando i giorni della festa terminavano, Giobbe li faceva venire per purificarli; si alzava di buon mattino e offriva un olocausto per ciascuno di essi, perché diceva: Può darsi che i miei figli abbiano peccato e abbiano rinnegato Dio in cuor loro. Giobbe faceva sempre così. (Giobbe 1:4-5)
A turno. Si potrebbe trattare del compleanno. In tal caso i figli di Giobbe avrebbero organizzato una simile festa dieci volte l’anno. I versetti 4 e 5 ci preparano alla prossima scena in cui il diavolo attribuisce falsamente a Giobbe di servire Dio solo per interesse, di fare sfoggio della sua religiosità che, secondo lui, altro non è che una messinscena. Qui il lettore sa che ciò non era affatto vero; Giobbe era sinceramente preoccupato per quello che era in cuor loro.
E offriva un olocausto per ciascuno di essi. Anche se non poteva scoprire alcuna colpa palese, i suoi figli, forse in cuor loro o di nascosto nei pensieri, si erano forse lasciati andare ad una bestemmia oppure al fugace rinnegamento di Dio. Così delicatamente raccolse dei segnali la coscienza del padre… (Hans Brandenburg, Hiob, S. 5)
Nel suo cuore egli temeva Dio e sapeva che il solo comportamento esteriore non bastava per essere approvati da Dio, che la ricchezza non era una dimostrazione del compiacimento di Dio.
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