Autore: Louis Charpentier

Edizioni L'Età dell'Acquario

Pagg. 230 - Prezzo € 19,50

 

 
 

 

Il mistero basco

Alle origini della civiltà occidentale

 

IL LIBRO

I baschi sono un caso unico nel nostro continente. Ormai confinati in una piccola area geografica a cavallo dei Pirenei, sembrano aver conservato intatto il proprio patrimonio genetico e i propri costumi.
Ma qual è la loro origine? Da dove provengono questi abitanti delle montagne pirenaiche e cantabriche, che parlano una lingua in apparenza senza parentela con quelle conosciute in Occidente? Quale mistero si cela dietro alla loro inesausta sete di indipendenza?
Charpentier ricostruisce la loro lunga e suggestiva vicenda, in un viaggio che dalla preistoria arriva fino a oggi, attraverso racconti tradizionali, l'archeologia, l'antropologia e gli studi ematologici. La sorprendente conclusione è che i baschi possono essere gli eredi diretti dell'uomo di Cro-Magnon. Si determina così uno stretto legame fra essi e i pelasgi, i berberi, i guanci e gli egiziani dell'epoca prefaraonica, tutti popoli che appartengono a questa tipologia di uomo preistorico.
La loro civiltà ci ha lasciato meravigliose pitture rupestri, i monumenti megalitici e probabilmente anche l'allevamento e l'agricoltura; proprio per questo uno studio approfondito, anche al di fuori dei criteri utilizzati da studiosi e accademici, può servire a far luce su tutta la civiltà occidentale.
E del resto, adentrandosi nei labirinti della storia basca e nella sua mitologia, potrebbe anche capitare di trovare una conferma dell'esistenza di quell'isola di Atlantide di cui raccontava Platone.

Louis Charpentier è uno dei grandi scrittori esoterici e della Tradizione. Tra i suoi numerosi libri ricordiamo "I misteri della cattedrale di Chartres", "Il mistero di Compostela", "Il mistero del vino", "I misteri dei Templari" e "I giganti e il mistero delle origini", recentemente pubblicati dalle Edizioni l'Età dell'Acquario.
 

Capitolo 1 - Le leggende:

 
Se bisogna credere a Eginardo, nell'anno 778 Carlo l, re dei franchi (sarà Carlomagno, imperatore d'Occidente, solo ventidue anni più tardi) che aveva passato i Pirenei per combattere i saraceni, ritornò al di qua dei monti per il colle d'lbafieta, che da allora si chiamò Roncisvalle. La sua retroguardia, comandata dal famoso Orlando, lo seguiva. Ebbene, questa retroguardia, impegnata nel passare la gola, fu colta di sorpresa, lapidata e annientata a tal punto che nessuno riuscì a scamparla... Questi fatti diedero origine alla creazione di bellissime "chanson de geste" tra cui una, composta dal monaco Turoldo quattrocento anni più tardi, è diventata un classico della letteratura con il nome di "Chanson de Roland".
In essa si racconta che Carlomagno "dalla barba bianca" era andato a dare la caccia ai mori e che mentre ritornava, "a missione compiuta", uno spregevolissimo traditore, Gano, aveva lanciato l'esercito saraceno contro la retroguardia del valoroso Orlando e l'aveva sconfitto, nonostante questi si fosse sfiatato a forza di suonare il suo olifante e si fosse sfiancato a furia di fendere le rocce con la sua buona spada Durlindana.
Questa canzone fece versare molte lacrime alle belle signore nelle torri feudali e forse anche alle serve nelle capanne. Se ne ricavarono anche numerose poesie che concordano generalmente sul fatto che il suono del corno avesse echeggiato triste nel folto dei.boschi...
Proprio allora gli storici, che hanno un orientamento diverso da quello della poesia, si accorsero che la storia era stata molto romanzata. Facendo qualche ricerca, scoprirono che forse non era stato tanto il desiderio di battersi contro gli infedeli a spingere Carlomagno oltre i monti, ma piuttosto l'espulsione dei visigoti oltre la montagna; inoltre egli, da bravo barbaro quale era, aveva saccheggiato, forse incendiato e in ogni caso devastato la città di Pamplona. Gli storici scoprirono anche che i saraceni non si erano affatto avventurati all'inseguimento dell'esercito franco, ma che erano state le tribù delle vicinanze a farsi carico di sistemare la retroguardia di Orlando, con o senza i suoi dodici prodi, vendicando così l'affronto fatto a Pamplona.
Una banda di contadini che liquidava così il più forte esercito dell'Occidente, probabilmente senza altre armi al di fuori delle loro stesse braccia, dei loro bastoni e delle loro fionde, non era però cosa da raccontarsi. Le genti tenute in stato di servitù avrebbero potuto avere dei cattivi pensieri. Era meglio dare piuttosto all'affare una certa aria di crociata contro l'infedele.
Non sappiamo nulla della tattica adottata da quei contadini. Tutt'al più sappiamo che le pietre ebbero un ruolo decisivo nella battaglia: i massi gettati dall'alto nella gola imboccata dall'esercito... ma anche, certo, quelli scagliati da strumenti di lancio in legno di cui si riscoprì il principio quando il guanto da pelota ricoperto di vimini divenne la chistera (è presente al museo di san Telmo, a San Sebastian, una "mazza" di legno cava a forma di chistera, munita di un manico, che deve costituire, per proiettili più pesanti di una palla, una temibile fionda).
Chi era dunque questo popolo che non solo sfidava il grande Carlomagno, ma si permetteva anche di "punirlo"?
Per molto tempo li si è chiamati guasconi, per estensione del nome di una tribù "vasca", parte di un insieme che ora conosciamo con il nome di baschi.

Chi erano allora questi baschi? Un popolo strano, in verità, che occupava la costa atlantica dai monti Cantabrici fino a Bordeaux e ai Pirenei da Tarbes a Hendaye e che non somigliava per niente agli altri popoli, né nell'aspetto né nei costumi. Un popolo di coltivatori, allevatori e marinai che, attraverso le guerre e le invasioni, aveva accanitamente conservato la propria indipendenza; un popolo che parlava una lingua senza nessuna parentela con quelle conosciute in Occidente e la cui origine sfuggiva alla storia, ma non alle leggende.
La più antica di queste leggende è quella di Mari.
Mari che, per un'abitudine ereditata dai romani, chiamiamo Dea, ma che i mitologi baschi definiscono Genio, è la regina di tutti i geni di forme e specialità diverse, che si occupano delle cose della Terra e della Natura in generale. In certi casi, essa assume anche la forma di tali geni.
È un essere femminile, anche se in alcune circostanze il suo aspetto è maschile. È una "Signora", "Andere", qualche volta vestita con eleganza e nell'atto di portare nelle mani un palazzo d'oro. A Lescuns indossa una gonna rossa.
"Le dimore abituali di Mari sono le regioni situate nel cuore della terra, che comunicano con la superficie per mezzo di diversi condotti, quali caverne e abissi. È per questi motivi che Mari fa le sue apparizioni di preferenza in questi luoghi."
Nella sua casa di Aketegui i letti sono d'oro; a Otsabio si trova la statua di un toro d'oro; in Zarauz, Mari recide il filo con una rocca d'oro; a Airobibeltz si siede, Signora della caverna ("Lezekoandere"), in una poltrona d'oro; a Otsibarre è stato ritrovato un pettine d'oro che certamente le apparteneva... Una manciata di carbone può trasformarsi in oro all'uscita dalla sua grotta ma nello stesso modo una manciata d'oro può mutarsi in legno marcio.
Mari è una donna che a volte ha piedi di uccello (come la regina Pédauque aveva piedi d'oca) o di capra... Può essere una pianta con le sembianze di una donna o di un roveto ardente, ma, nelle sue dimore, può assumere la forma di un caprone (a Baztan), di un corvo (ad Aketegui), di un cavallo, di una giovenca (a Oñate), di un avvoltoio (a Supelaur)... Si saranno riconosciute qui alcune costellazioni, come quella del Capricorno, del Cane (in basco, il Cane è il Cavallo), del Corvo, dell'Aquila...
Mari può essere anche la raffica di vento, la nuvola, l'arcobaleno, il globo di fuoco, una donna la cui testa ha come aureola la luna piena, una falce infuocata che attraversa il firmamento...
Essa è tutte le forze telluriche cui attribuiamo i fenomeni del mondo, ma è anche il capo (o la regina) di tutti i geni che provocano questi fenomeni. Qualunque sia la forma poetica da lei assunta, non possiamo fare a meno di riconoscervi quell'antica Madre Terra grazie a cui tutto esiste.
Forse Mari non è il suo nome originario. Sembra che Maya si sia cristianizzata adottando il nome dell'altra Madre, Maria, e oggi là si venera anche sotto questa veste.

Mari ha un marito. Uno dei suoi nomi è Maju, ma di solito lo si chiama Sugoî o Sugaar, a seconda delle pronunce dialettali. Il termine vuoI dire "serpente", ma in basco "Su" è il fuoco, "Sugar" la fiamma ("Sugin" è il fabbro e "Suhar" l'olmo).
È il grande serpente della dimora celeste, che cinge la Terra, la sua compagna a forma di serpente, quella che decora le pietre di Gravr'inis e le immagini dell'antica Irlanda...
Sugaar è la forza che avvolge la terra; è anche (senza folclore) lo "Spiritus Mundi" degli alchimisti, l'"Éther" dei greci e, nel suo contesto fisico moderno, il fratello del "vento solare", la potenza in cui è immerso il sistema solare.
Sugaar non è specificamente basco tranne che nel nome.
Questo "grande serpente" si trova legato a tutte le mitologie occidentali (il grande drakkar - "drak" è il dragone - del norvegese Olaf Tryggvason si chiamava "Ormenlange", il grande serpente) e, almeno per apparentamento fonetico, all'olmo "Suhar". (L'Elm germanico porta lo stesso nome del "fuoco di sant'Elmo" dei marinai...) Inoltre, era un olmo che segnalava i luoghi di riunione in cui si radunavano i Compagnons des Devoirs.
La leggenda basca, però, si spinge oltre. Sugaar infatti è presentato come un genitore. Dagli accoppiamenti di Sugaar e Mari, oltre a numerose tempeste, nascono due figli: Atarrabi e Mikelats, uno buono e l'altro cattivo. Sugaar, che sembra non aver disdegnato gli amori umani, ha avuto rapporti con una principessa che viveva a Mundaca, da cui ha avuto un figlio, Jaun Zuria, primo signore di Biscaglia.
Si tratta senz'altro della più antica leggenda che abbiamo sull'origine dei baschi. I baschi sono nati dalla terra e i maestri da un apporto celeste ai baschi. Sono esattamente quelli che i greci chiamavano autoctoni, "nati dalla terra".
Essi non si riconoscono come "venuti da altrove".

La questione dell'origine dei baschi ha incuriosito un gran numero di persone, tra cui alcune molto colte... Chi era dunque questo popolo, stanziato sulle montagne dei Pirenei occidentali e sui loro prolungamenti cantabrici? Chi era questo popolo che né celti, né romani, né visigoti, né franchi, né mori riuscirono mai a colonizzare, che possedeva una rara abilità nei giochi, che ballava delle danze sorprendenti e costituiva quello che adesso gli archeologi chiamano l'isola relittuale basca ed è classificato, in mancanza di denominazione più appropriata, nel tipo archeomediterraneo?
In qualche modo costretti, i celti li avevano evitati e aggirati nel loro viaggio verso la Galizia. I romani, benché molto curiosi dei popoli che li circondavano, non riuscivano a identificarli chiaramente e li consideravano, a quel che sembra, come una varietà di iberi.
Giuseppe Flavio, nelle sue "Antichità giudaiche" (ma per lui l'unica fonte era la Bibbia), attribuisce il nome di iberici ai discendenti di TubaI o Tobel, nipote di Noè. Tolomeo, che ne segue le indicazioni, chiama gli iberici tubaliani.
Questo crea qualche difficoltà perché ci sono altri iberici nel Caucaso, tra il Mar Nero e il Mar Caspio...
Quando il cristianesimo si affermò, fu necessario ricollegare i baschi alle origini bibliche dell'umanità. Si costruirono delle leggende sulla base della Bibbia o altre più antiche vennero adattate alla dottrina cristiana.
Una di queste leggende racconta che un giorno TubaI, figlio di Iafet e nipote di Noè, mentre attraversava in barca il mar Mediterraneo, da oriente verso occidente, fu spinto nelle acque misteriose di un rio (che da allora fu l'Ebro) e, risalendo la corrente, raggiunse Varea. La bellezza del paese meravigliò i marinai e la terra li ammaliò. Alcuni vi si fermarono per stabilirvisi (si trattava della regione della bassa Rioja), altri si spinsero oltre e proseguirono il loro cammino fino ai Monti Cantabrici (unione del basco "Kant", dopo, e "Abre" o "Ebre", quindi vicino all'Ebro).

Era forse un'antichissima leggenda sullo sbarco, rimaneggiata secondo il gusto dell'epoca? È impossibile essere categorici; possiamo solo notare che esisteva anche in Galizia (dove i bascoidi hanno lasciato delle tracce) una leggenda sullo sbarco di Noè dopo il diluvio e, a partire da quella, "si rimaneggiò" la leggenda cristiana di Santiago. Vi fu, dopo il cataclisma che i cristiani chiamano diluvio, uno sbarco di persone cacciate dalle loro terre? Non è un'ipotesi impossibile...
Roderico di Toledo (libro I, capitolo 3), da parte sua, è categorico e informato: «si concorda anche sul fatto che la Spagna abbia portato, nei primi tempi, il nome di Setubalia, che non è altro che l'unione di tre parole "sein", "tubaI", "ria" o "Iia", che nell'antica lingua basca significano alla lettera: paese della discendenza di TubaI...».
Nel XIX secolo le leggende furono abbandonate in favore delle teorie; era l'epoca in cui l'antropologia credeva, con l'appoggio di Darwin e del darwinismo, di aver passato in rassegna tutte le conoscenze.
Quasi tutte le teorie formulate in quel periodo menzionano una "venuta" dei baschi dai paesi del Vicino Oriente, come se fosse stato inconcepibile che essi si trovassero là da tempi immemorabili.
Questa idea di un Padre Adamo (originato da Dio o fatto discendere dalla scimmia da Darwin) come primo orientale per grazia della Genesi, mantiene tutta la sua ascendenza poetica; i prodotti dell'"unico" si dispersero, per intervento di Noè, in tutti i continenti... In effetti, bisogna proprio ammettere che né la Genesi né Darwin forniscono la chiave dell'origine dell'uomo, né delle origini delle razze, né nel tempo né nello spazio, così come non offrono la spiegazione delle mutazioni che le hanno create...
Numerose ricerche sull'origine dei baschi si sono basate sull'"eskuara", la lingua basca. In essa sono state trovate - e del resto non potrebbe essere altrimenti - numerose radici simili a quelle di altri idiomi, anche tra i più lontani. Delle radici identiche si trovano sempre, con un po' di buona volontà. Sono state così rintracciate delle affinità tra la lingua basca, le lingue altaiche, i dialetti eschimesi, quelli degli indiani d'America, del nord o del sud ecc.
Le radici comuni che erano state trovate si sono "dissolte" all'esame dei fatti e la maggior parte di quelle che ancora resistono (senza garanzie) sono in numero insufficiente per essere convincenti. D'altronde, anche se fossero sufficienti non potrebbero costituire una prova. Ci sono più parole celtiche, francesi, latine e spagnole nella lingua basca e più termini baschi nella lingua francese di quanto i francesi non immaginino generalmente, ma non per questo i baschi sono celti, romani, spagnoli o francesi.

Due popoli che sono stati accostati ai baschi sono i berberi e alcune tribù del Caucaso... Avremo occasione di riparlarne più avanti, ma per il momento niente permette di affermare che i baschi siano il residuo di un'invasione berbera o caucasica.
Con questa logica non supportata da alcuna prova, può essere ammesso anche il contrario, ovvero che siano i berberi e i caucasici a essere il risultato di un'invasione basca!
Infatti, a quanto si sa, la preistoria dell'Europa (anche la più remota) si mostra abbastanza ricca di resti umani perché si possa ammettere che questa regione non fosse particolarmente desertica!
Che io sappia, è proprio là che è stata scoperta la radice (le radici) dell'homo sapiens...
Sarà forse per avere la "coscienza pulita" che i discendenti dei celti, dei romani, dei franchi e dei visigoti, invasori di terre abitate, insistono per far riconoscere che dopo tutto, visto che gli abitanti di queste terre erano essi stessi degli invasori, defraudarli non significava altro che ristabilire la giustizia?
Tra le teorie delle invasioni, quella più seducente e, diciamolo, l'unica che potrebbe avere una parvenza di serietà nelle sue discordanze con le coordinate attuali della scienza dell'uomo, sarebbe la teoria dell'origine atlanti dica del popolo basco (e di qualche altro), su cui sfortunatamente, finché Atlantide non sarà scoperta, sulla terra o sotto le acque atlantiche, si potrà solo fantasticare.
Questo, però, non dà il diritto di rifiutarne la possibilità. Eppure, l'origine del ceppo è proprio là, in terra basca.

 

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