Il mondo dei
simboli
Numeri, lettere
e figure geometriche
L'ARGOMENTO:
Lo scopo principale di questo libro è
quello di svelare e rivalutare il senso perduto dei numeri e delle
lettere, delle figure e dei corpi geometrici, risalendo,
attraverso la scoperta delle loro misteriose origini e dei loro
reconditi significati, a quando, nella notte dei tempi, la divina
potenza creatrice ne fece dono all'uomo.
L'esame completo e approfondito dell'Autore, da molti decenni
studioso della materia, si basa su una vasta conoscenza di tutti i
prodotti culturali delle civiltà antiche, e ha il preciso scopo di
ricondurre ad una sintesi di pensiero e a un linguaggio di tipo
universale, base del progresso e dell'evoluzione dell'umanità.
PRESENTAZIONE:
Quando i simboli celesti invitano a
un contatto cosmico
Da ogni parte le voci di un inconscio collettivo ci
avvertono che si sta facendo tardi. Più trascorrono gli anni
e più ci accorgiamo che "quest'ora non è una corrente, ma un
vortice". Termina un ciclo storico: tutto acquista il sapore
del nuovo e a noi è dato di vivere i tempi di un difficile
trapasso. Abbiamo estremamente bisogno di riconoscerci
umilmente un'infinitesima particella di quella grandiosa
macchina divina che è l'universo e di riconoscere la realtà
di quanto scriveva già Francesco Rabelais: "La scienza senza
la conoscenza non è che la nostra rovina". L'uomo non deve
trasformarsi in uno spregevole automa al servizio di quelle
invenzioni da lui stesso create e deve convincersi che
"siamo anime in evoluzione lungo i sentieri dell'energia
universale". Questo nostro difficoltoso momento storico
abbisogna di un contatto cosmico per il superamento della
crisi in cui ci dibattiamo, perché è difficile raggiungere
una comunità d'intenti fra noi terrestri per il sussistere
di differenze razziali, culturali e cultuali, ambientali e
storiche. Ormai solo un "contatto cosmico" con altre
creature più evolute e viventi in altri pianeti ci potrà
aiutare ad essere degni di un "ordine" di intelligenze,
superiore, universale, poiché è assurdo ritenerci soli in un
oceano senza confini. La necessità di un contatto non ha del
resto mai cessato di costituire l'unica spinta evolutiva di
tutta la storia dell'umanità.
Fino dai tempi primi si usò un "grafema-simbolo" per
indicare più concetti, come quel "tsirt" che nell'antica
Caucasia significava: metile, dolmen, menhir, stele, cippo,
pietra tombale, monumento funerario o necropoli, ma
soprattutto un "segno di presenza umana". E soltanto i
simboli potranno essere gli artefici di un dialogo
universale per un'unità soltanto raggiungibile "quando
microcosmo e macrocosmo coincideranno e quando ogni punto,
ogni attimo avrà in sé l'universo, anzi sarà lo stesso
universo". E lo "tsirt" trovarlo allora inciso su rocce
nelle solitudini antiche dell'ancora nostro sconosciuto
pianeta significava "speranza di un contatto umano" perché
l'uomo è nato per comunicare. Il segno, il simbolo, il
grafema furono una rivoluzione della protostoria umana, un
primitivo strumento di "contatto". Il biblico "fiat lux" del
Creatore fa pensare ad un "contatto mentale"; la prima
grande rivoluzione nel progresso umano fu determinata dalla
comparsa degli Oannes presso i Sumeri, frutto di un rapporto
di sapienza degli uni e dell'ignoranza degli altri: un
contatto.
Edison con un contatto fece della notte il giorno; nel 1930
Marconi con il suo radiosegnale da Genova a Sidney ottenne
un contatto; nel 1945 Hiroshima e Nagasaki furono distrutte
a causa di un contatto e pure il lancio della storica
navetta spaziale che condusse il primo uomo sulla luna; il
momento culminante della crisi adolescenziale e il rigetto
familiare per l'inserimento in una compagnia di coetanei:
ancora un contatto; il nucleo familiare cresce per un
contatto genetico. Così ora c'è bisogno di un ben altro
contatto per l'umanità, un contatto diverso, più
imprevedibilmente importante e di cui si ignorano perfino le
conseguenze: un "contatto cosmico", per un'immensa
socializzazione universale. Cristo nella sua vita terrena
c'insegnò di considerarci tutti fratelli, mirava già molto
più in là, ma tacque perché sapeva che non erano ancora
maturi i tempi per dirlo alle sue genti; occorreva allora
adoperarsi per raggiungere una fratellanza terrena. Ma ormai
è l'ora di comprendere che il sé non è di dimensione umana,
ma cosmica. Solo oggi si può considerare e giustificare la
costante presenza di "segni nei cieli" che hanno segnato le
nostre grandi "tappe storiche" e quale altro simbolo
universale e senza tempo avrebbe potuto rendersi manifesto
se non la croce?
"Croci nei cieli"
Ora, se riguardiamo la casistica storica delle apparizioni
di "croci nei cieli" e distinguiamo il fenomeno astronomico,
atmosferico o ottico da quello veramente straordinario e
significativo, ce ne potremo facilmente rendere conto.
Costituisce addirittura una "manifestazione celeste"
insolita, per esempio, quella a cui assisté l'imperatore
Costantino il Grande, la quale determinò l'abbandono da
parte sua del culto pagano, in cui egli aveva fino ad allora
creduto e storicamente ricordato come "helios o sole siriaco",
per una conversione cristiana. E tale "manifestazione" fu la
celebre visione del 312 che ci è pervenuta descritta in due
versioni. Secondo Lattanzio l'imperatore l'avrebbe sognata
prima della ben nota battaglia di Ponte Milvio in cui morì
Massenzio. Secondo Eusebio di Cesarea invece, declinando il
sole all'orizzonte, l'avrebbe vista in cielo con la scritta:
"In hoc signo vinces" e il significato soltanto gli sarebbe
stato svelato in un sogno successivo. In quel lontano tempo
certamente i testimoni oculari non avrebbero però potuto
dare ulteriori precisazioni minuziose di come apparve la
visione. E, nel sogno, Costantino sarebbe stato invitato ad
ordinare ai suoi "militi" di combattere contro Massenzio con
i labari aventi la figurazione del simbolo del "Chrismon"
per ottenere la vittoria. Fu questo dunque il primo "momento
storico" essenziale per la diffusione e ufficialità della
religione cristiana.
Successivamente nel periodo pasquale del 1115, un altro
evento, al tempo di Enrico V, ci lascia alquanto perplessi
nella interpretazione del fatto. Il cielo d'improvviso parve
aprirsi ampiamente emettendo un fulgore nitido come di
esplosione silenziosa e per un'ora mostrò al suo centro
l'immagine di una croce aurea.
E siamo così al novembre del 1301. Dino Compagni (1255-1321)
precisa nella sua "Cronica": "La sera apparì in cielo un
segno meraviglioso, il quale fu una croce vermiglia sopra il
Palagio de' Priori. Fu la sua lista ampia più che palmi uno
e mezzo; e l'una linea era di lunghezza braccia XX in
apparenza, quella attraverso un poco minore (ciò che fa
pensare ad una croce latina - N.d.A.); la qual durò per
tanto spazio, quanto penasse un cavallo a correre due
aringhi. Onde la gente che la vide, e io che chiaramente la
vidi, potemo comprendere che Iddio era fortemente contro
alla nostra città crucciato".
E Dante Alighieri (1265-1321) confermò ne "Il Convivio": "E
in Fiorenza, nel principio della sua distruzione, veduta fu
ne l'aere, in figura di una croce, grande quantità di questi
vapori, seguaci della stella di Marte".
E infine Giovanni Villani (1276?-1348) ricorda nella sua
"Nuova Cronica" che "singularmente si disse della detta
cometa". Tale croce fu visibile solo alcuni giorni dopo la
venuta in Firenze di Carlo di Valois.
Corrado Licostene (1518-1561) nella sua "Chronicon
Prodigiorum" (1557) riporta poi diversi casi, come quello
verificatosi nel giugno del 1372 nella sua città, Basilea,
dove egli insegnava. Si vide un singolare alone solare
sormontato stranamente da due bellissime croci luminose di
colore rosso, chiaramente distinte dall'alone.
Interessante risultò pure l'altro fenomeno avvenuto nel 1470
nel cielo del Piacentino che si presentò come costituito di
ben quattro croci perfettamente identiche disposte in modo
di essere ai quattro margini di una immaginaria più grande,
un po' come la Stella del Sud o una croce di Gerusalemme;
oppure quello del marzo 1554 quando - interessate numerose
città germaniche da fenomeni solari - verso l'"hora
pomeridiana quinta", si notarono diverse croci in cielo di
colore bianco, unite senza nessuna ragione e connessione.
Tutte le predette segnalazioni non eguagliano però
l'eccezionalità di una complessità fenomenica avvenuta nel
1569, anche se si ignora la località nel cielo della quale
accadde. Di notte fu vista una improvvisa grande luce,
scomparsa la quale indicibili tenebre avvolsero tutto fino
al suo ritorno con due colonne di fuoco, la cui comparsa con
il loro splendore anticipò una grande apertura del cielo in
mezzo alla quale si vide meravigliosamente risplendere una
grande croce .
Poi, un grande balzo nel tempo, forse, perché dopo
Ossequente e Licostene nemmeno Charles Fort ci tramandò una
casistica di croci nei cieli. Si può soltanto registrare il
fatto del 14 luglio 1865 quando, durante una scalata
ardimentosa del Cervino, con discesa disastrosa, i
superstiti poterono assistere alla comparsa in quel cielo di
un immenso arco in cui si stagliarono due grandi croci
luminose che furono però interpretate come un fenomeno
ottico.
Bisogna poi raggiungere la nostra epoca per assistere ad un
nuovo risvolto storico di visioni crociate celesti ed
esattamente al 6 novembre 1954 (anno della ben nota ondata
ufologica su territorio italiano). E quell'avvenimento ce lo
narra dettagliatamente il console Alberto Perego al quale
assisté dalle ore Il alle 13 sul cielo di Roma assieme ad
una ventina di operai dalla terrazza dello stabilimento
"Neri" di acque minerali, sito nel quartiere tuscolano. "Fu
lo spettacolo più emozionante della mia vita", precisa il
console, "Si videro evoluire apparecchi altissimi sugli
8/10.000 metri e la 'manifestazione' si svolse come
effettuata da squadriglie di puntini appena visibili in un
cielo perfettamente sereno". La formazione avrebbe potuto
essere costituita da una cinquantina di apparecchi. Alle ore
12 una formazione a cuneo, proveniente da oriente, procedeva
verso una seconda che si avvicinava dalla parte opposta,
finché unirono i rispettivi vertici dei loro cunei
ricordando così l'antico simbolo di Costantino sempre nel
cielo del Vaticano, come se avessero voluto indicare,
anticipandolo, l'avvio ad un "contatto cosmico" della nostra
umanità con "intelligenze" di un altrove ancora sconosciuto.
E nello stesso tempo questo avvenimento avrebbe potuto anche
intendersi come un "crisma di ufficialità di un
cristianesimo cosmico".
Di croci se ne videro ancora. Insoluta, per esempio, rimase
la visione di quella ben distinguibile apparsa nel cielo di
Firenze, un cielo mattutino ancora nebbioso del 29 settembre
1962, quando nella zona di Calenzano mi soffermai io stesso
per osservarla, mentre mi trovavo in auto. Naturalmente la
vidi in tralice su Firenze perfettamente ferma, ma non potei
fotografarla perché ero privo di macchina fotografica.
Comunque la mia "testimonianza indipendente" servì a
convalidare la foto scattata da un cittadino di Firenze allo
zenit della città e pubblicata su "Nazione Sera" del 2
ottobre 1962 e successivamente sulla stessa del 4 ottobre
1962. Vi si leggeva chiaramente che l'oggetto era in
movimento, ma io, la vidi nitida e ferma.
Infine, recentemente, durante la trasmissione televisiva
"Piazza Grande", il Magalli intervistò un ufologo che
proiettò l'immagine di un recente fenomeno celeste
raffigurante una croce latino-cristiana di derivazione
dall'uso del supplizio della crocifissione al tempo di Gesù.
Si trattò certamente di un fatto ben diverso da quelli
astronomici o ottici e tutte queste visione storiche
rivelano un intelligente significato di unicità simbolica
crociata attraverso il tempo dall'epoca antica a tutt'oggi.
1. Lo zero:
Origini ed interpretazioni di questa
cifra - Lo zero inteso come "limite delle quantità
infinitesimali" e come sutura dimensionale - Simbolismo
dello zero presso i Maya ed intuizione della sua necessità
presso gli Egizi - Mitologia del "Popol Vuh" e ciclo
culturale agreste del mais - Lo zero ed il "rovesciamento di
polarità" - Confronti tra chiocciola, conchiglia, spirale,
pigna e zero - Stretta correlazione simbolica fra zero ed
uovo primordiale nelle mitologie primarie e secondarie -
Dagli Egizi ai Cinesi, dagli Indiani ai Celti, dai Greci
alle popolazioni africane del Mali - Dall'uovo cosmogonico
agli stūpa dagli ombelichi del mondo, "centri di sviluppi
spaziali e temporali", alla "lamina d'oro" del Coricancha di
Cuzco.
Il termine "zero" si fa derivare dal "latino medievale del
tredicesimo secolo": "Zephyrum", accusativo di quello "Zephyrus"
col quale si soleva indicare il vento occidentale
primaverile, che spira con tale leggerezza da ritenersi un
"vento da nulla"; ma si fa derivare anche da "cifra", che
risale all'arabo "sifr" e che significa "nulla", incrociato
con lo spagnolo antico "zero". C'è però chi lo fa provenire
direttamente dall'arabo, essendo questo numero una cifra. In
arabo, infatti, "zerret" significa: "cosa da nulla".
Lo zero, in origine, volle dunque essere un segno
equivalente al "niente, ossia la nessuna quantità"; ma era
capace altresì, aggiunto ad una delle nove cifre iniziali,
di moltiplicare per dieci e creare le decine; se
raddoppiato, di creare le centinaia; se triplicato, le
migliaia eccetera. Graficamente non ha cambiato la sua forma
ovale o circolare, cosicché col passare del tempo,
dall'antico sanscrito e dal persiano c'è pervenuto senza
modifiche sostanziali. Una variazione grafica dello zero si
ebbe invece proprio con gli Arabi che lo esprimevano con un
punto, mentre con la grafia che noi stessi si è soliti usare
essi indicavano il cinque.
I matematici hanno ancora l'abitudine di segnare con uno
zero "il limite delle quantità infinitesimali", quel confine
però che va bene per un "uomo misura di tutte le cose", ma
che uno scienziato filosofo in genere non accetta,
accusandone la limitatezza. Infatti, le attuali scoperte
scientifiche spostano sempre più in là i confini del
conosciuto, procedendo sia verso l'immensamente grande che
verso l'infinitamente piccolo, e lasciando intravedere già
un possibile punto di congiuntura dimensionale, che forse
rappresenta la sutura ideale di quegli innumerevoli universi
paralleli, ipotizzati da Einstein. Essi non rinnovano forse
il vecchio concetto dell'infinito? L'uomo ha ancora molto da
scoprire, ma già avverte che i tempi si stanno per lui
velocemente maturando. Le stesse recenti supposizioni
sull'esistenza e la funzione dei "buchi neri" rendono
particolarmente attuale il simbolismo dello zero, che
pertanto si può considerare più interessante di tutte le
altre cifre.
Questo simbolo ed il suo uso aritmetico si fanno risalire ai
Maya, che per primi fra i popoli antichi ne avrebbero
tramandato le caratteristiche essenziali, tanto che di essi
si dice che intuirono il significato dello zero e lo usarono
"almeno mille anni prima degli Europei". Perfino gli Egizi
non possedevano alcun geroglifico corrispondente a questo
segno, per quanto ne avessero intuito la necessità. Nella
mitologia del "Popol Vuh", questa cifra "corrisponde al
momento del sacrificio divino, legato al ciclo cultuale
agreste del mais". Si tratta di un sacrificio che è inteso
come momento di transizione tra una vita e l'altra o
altrimenti come passaggio dimensionale nella ciclicità
evolutiva universale. In effetti, nel "processo di
germinazione del mais", lo zero sta a puntualizzare il
"momento della disintegrazione del seme nella terra",
allorché si passa dallo stato embrionale latente allo stato
embrionale germinativo, con cui "la vita si manifesta a
nuovo, facendo apparire in superficie il piccolo gambo del
mais nascente". Analogamente si potrebbe parlare di un
"simbolismo uterino" e di una nascita umana, d'una vita
incosciente e di una cosciente, di una dimensione inferiore
e di una superiore. Se poi si pensa che nelle dottrine
orientali ogni genesi nella sua ciclicità assume un valore
di rigenerazione, di ripetizione, si potrà comprendere
maggiormente tutto quell'"occultismo europeo" che si fa
derivare dall'Oriente stesso e che vuol vedere nello zero
anche "l'istante di rovesciamento di polarità, che nel ciclo
zodiacale separa la fine del mezzo cerchio involutivo
dall'inizio del mezzo cerchio evolutivo". Non si dimentichi
che l'inversione di polarità terrestre, alla quale si
accenna in diversi testi sacri dell'antichità, dovette
certamente determinare il passaggio da un "eone" ad un
altro, da un ciclo evolutivo ad uno successivo, determinando
un rinnovamento di tutto il ciclo biologico planetario.
A questo punto non è difficile scoprire lo stretto legame
che unisce il simbolo dello zero con quello arcaico della
conchiglia o della chiocciola, della spirale, della pigna,
ma soprattutto dell'uovo; già, perché lo zero, molto
probabilmente, nella sua più lontana origine grafica non
intendeva rappresentare altro che un uovo, per cui l'antica
dottrina riguardante quest'ultimo si può addirittura
identificare col significato simbolico della cifra a cui si
dedica questo capitolo. Si è già scritto a lungo sulla
dottrina dell'uovo cosmico in precedenti ricerche
clipeologiche, ma qui sarà bene aggiungere tutte quelle
considerazioni che possono giovare alla comprensione della
sopraccitata identificazione.
L'uovo è "simbolo sacro nelle cosmogonie di tutti i popoli
della terra" e, come tale, lo si trova assai frequentemente
citato nelle mitologie primarie e secondarie, proprio perché
"racchiude in sé il mistero biologico dell'origine ed il
segreto dell'essere". Si può dire che rappresenti "un nulla
latente che produce qualcosa di attivo, di vivente", alla
stessa stregua di uno "zero" che niente significa e da cui
come cifra iniziale della progressione numerica si origina
però l'uno stesso, giacché "la figura dell'unità iscritta
nello 'zero' era un tempo il simbolo della divinità,
dell'universo e dell'uomo". È certamente molto antica questa
concezione genetica numerica. Se poi si attribuisce all'uno
le caratteristiche del "principio maschile che proviene dal
principio femminile 'zero'", si riesce facilmente a
comprendere che la "nozione decimale deriva appunto
dall'accoppiamento generatore dell'uno e dello zero". Ma se
da quest'ultima cifra si suole far nascere l'unità e gli
altri otto numeri successivi che sono multipli dell'unità
stessa, questo concetto non si distacca dall'idea della
"nascita del mondo da un uovo", idea che è comune ai Celti,
ai Greci, agli Egizi, ai Fenici, ai Cananei, ai Tibetani, ai
Vietnamiti, ai Cinesi, ai Giapponesi, ai Siberiani e a tanti
altri popoli sparsi sulla superficie del nostro globo. I
miti di molti di essi ricordano un uovo primordiale,
costituente un'"unità primaria, caotica nei suoi elementi
latenti", che poi si divise in "due metà" od emisferi di
diverso colore, per dare origine ad un cosmo attivo, vitale
ed armonico. Questa dottrina cosmogonica, detta appunto
dell'"uovo cosmico", ha diverse interpretazioni presso i
vari popoli sopraccitati, ma esse indubbiamente intendono
riferirsi ad un'unica verità simbolicamente espressa.
Fra i primi seguaci di questa dottrina sono gli Egizi, che
intravedevano nell'uovo il simbolo della rinascita ad una
vita ultraterrena, certamente immortale ed eterna, quindi
sostanzialmente diversa da quella dell'"Ankh" o "croce di
vita" o "Tau", che doveva invece significare soltanto un
nascimento ancora non libero dal vincolo del ciclo delle
esistenze. "L'uovo era ritenuto, dunque, una realtà
primordiale, che conteneva in germe la molteplicità degli
esseri", esattamente come nel simbolismo numerico si faceva
derivare dallo zero la molteplicità dei numeri. Tale uovo
"emergeva dal Nun, personificazione dell'oceano primordiale"
e da esso "usciva un dio, organizzatore del caos", per
favorire così "la nascita degli esseri differenziati".
Se dall'Egitto si passa all'India, l'uovo sorge
dall'inesistente, dal "non-essere" (lo zero) e gli elementi
hanno origine da questo. Il substrato comune di quest'antichissima
dottrina si ritrova sempre. "Al principio l'universo era 'non-essere'.
Esso divenne poi l'Essere (l'uno)"; questo s'ingrandì ed
assunse la forma ovale che, dopo un anno, sezionandosi in
due parti come fossero due valve di conchiglia (il due o i
multipli dell'uno), l'una d'argento originò la terra, e
l'altra d'oro il cielo. "Membrana e vene" dettero corpo agli
altri elementi (montagne, nubi, nebbie, fiumi ed oceani) e
il Sole fu inteso come "la parte migliore dell'uovo
cosmico": il tuorlo. Sia l'induismo che il buddhismo
s'ispirarono anche architettonicamente a questa cosmogonia.
Vishnu nasce dall'uovo con un loto in mano e le statue di
Buddha sono inserite all'interno degli "stūpa", che hanno,
specialmente in Afghanistan, la forma di un uovo, per cui
sono chiamati "anda". Questa specie di "sfera", che può
essere confrontata con "la conca, la pietra ovoidale, la
caverna, il cuore, l'ombelico, i centri del mondo", embrioni
di "sviluppi spaziali e temporali", ricorda pure l'"aura"
infocata entro cui vola l'Ahura Mazdā dei mazdeisti o, se si
preferisce, il dio Assur degli Assiri. Tutte queste divinità
sono legate a quel "luminoso involucro" che le contiene e si
presentano simili agli "dei ex machina" del teatro
greco-romano. Ma ciò che maggiormente interessa la
concezione cosmogonica, secondo la quale tutto sembra avere
origine da un involucro rotondeggiante, è la misteriosa
forza dicotomica che organizza un inerte caos iniziale
attraverso la sua polarizzazione antitetica e la creazione
degli opposti, per cambiare tenebra in luce e inesistenza in
vita: una sorta di energia universale, alla quale. è
sottoposto il creato. Cosicché "come avviene nel germe
fecondato entro l'uovo... azioni e reazioni, dal 'vuoto
informe', producono le forme del cosmo". I Cananei parlano
di un uovo cosmico da cui ebbero origine cielo e terra, i
Tibetani sostengono che "l'uovo è all'origine di una lunga
genealogia di uomini", i Cinesi dicono che lo stesso "Caos
aveva l'apparenza di un uovo di gallina" e i Celti ricordano
l'"ovum anguinum", contenente "in germe tutte le
possibilità".
Per i Maya lo zero, nella glittica, è sostituito dal simbolo
della spirale, giacché essa più ancora dell'uovo, può
suggerire il passaggio da una dimensione inferiore ad una
superiore, da un universo dell'estremamente piccolo ad un
universo dell'immensamente grande, "da un infinito chiuso ad
uno aperto" (17)
e, come l'uovo, la spirale può simbolicamente rappresentare
il punto di sutura fra due dimensioni, idea che oggi più che
mai ci appare incredibile, in quanto dovuta ad un popolo
tanto antico e perciò così lontano nel tempo. I Maya però,
oltre che il simbolo della spirale, conoscevano anche quello
dell'uovo cosmogonico. Secondo uno schema tramandatoci
dall'indigeno Santacruz Pachacuti, la famosa "lamina d'oro"
di Cuzco, ritrovata nel grande tempio solare, detto
Coricancha, rappresentava nella parte alta una "ellisse
chiusa", in cui si è voluto intravedere un'"allusione
all'antico mito dell'uovo cosmico dal quale tutto procede".
Anche in certi miti nordici si ritrova questa dottrina.
"Prima della nascita del tempo, l'anitra depose nelle acque
primordiali sette uova, di cui sei d'oro ed una di ferro".
L'uovo fu nelle terre russe e svedesi conosciuto come
"simbolo di risurrezione e d'immortalità".
Altre notizie si hanno da Diodoro Siculo, secondo il quale
"Osiride, come Brahma, nacque da un uovo". Fu poi "dall'uovo
di Leda" che "nacquero i Dioscuri, cioè i gemelli Castore e
Polluce". David Herbert Lawrence dice che "gli uomini
etruschi con le loro barbe, reclini nei letti della festa,
tenevano alto nelle mani il misterioso uovo".
Questo strano involucro, in cui la vita si forma e che
nell'ermetismo diventa principio fiIosofale, è presente
perfino in certe mitologie secondarie.
Le popolazioni africane del Mali, per esempio, hanno pure un
simbolo composto che ricorda il "mito dell'uovo cosmico" e
che essi chiamano "vita del mondo". Lo strano glifo s'ispira
senza dubbio alla ricordata "Ankh" (o "croce di vita") degli
antichi Egizi, solo che in più s'incrocia in basso con un
semicerchio raffigurante la superficie terrestre. Comunque,
a parte la leggera diversità grafica, il significato sembra
cambiare. Il cerchio superiore è l'uovo cosmico, il mondo
spirituale o la dimensione superiore che, con una croce
equibracci sottostante e rappresentante la sutura fra due
mondi od universi o dimensioni, si collega al semicerchio
inferiore o "uovo aperto verso il basso, matrice terrestre".
Secondo le popolazioni africane del Congo, l'"uovo" è pure
un'immagine del cosmo e "l'uomo deve sforzarsi a
rassomigliare ad esso". Nei miti sciamanici esistono "uova"
che accolgono in sé "oggetti-anima" e infine nei leggendari
racconti di certe popolazioni australiane si fa addirittura
nascere l'uomo da un uovo, come la donna da una noce di
cocco.
Sia l'uovo che lo zero sono quindi simboli di vitalità, di
prosperità, di discendenza; gli uomini primordiali escono da
un uovo come i numeri dallo zero e sia l'uno che l'altro
racchiudono entro di sé il mistero dell'infinito, inteso
come ciclicità o come periodicità rigenerativa.
INDICE:
PARTE PRIMA:
SIMBOLISMO DEI NUMERI |
|
1. Lo zero |
pag. 21 |
2. L'uno e il multiplo |
pag. 31 |
3. Il due |
pag. 41 |
4. Il tre |
pag. 49 |
5. Il quattro |
pag. 59 |
6. Il cinque |
pag. 69 |
7. Il sei |
pag. 79 |
8. Il sette |
pag. 89 |
9. L'otto |
pag. 99 |
10. Il nove |
pag. 109 |
11. Il dieci e
l'undici |
pag. 121 |
12. Il dodici |
pag. 129 |
PARTE SECONDA:
SIMBOLISMO GEOMETRICO |
|
13. Il quadrato |
pag. 141 |
14. Il circolo |
pag. 151 |
15. Il triangolo |
pag. 159 |
16. Cubo, pilastri e
dadi |
pag. 169 |
17. Sfera, cupola,
abside e palla |
pag. 179 |
18. Piramide, cono e
trottola |
pag. 189 |
19. Il punto e il
centro |
pag. 199 |
20. Alfabeto, suono,
linguaggio e struttura |
pag. 209 |
21. Le lettere: dalla
"A" alla "K" |
pag. 219 |
22. Le lettere: dalla
"L" alla "Z" |
pag. 227 |
Indice
analitico |
pag. 237 |
L'Autore
Solas Boncompagni vive a Firenze. Dopo aver seguito studi
musicali, si è dedicato alla narrativa, vincendo nel 1970, con
una trilogia di racconti, il "Marzocco" conferito dal Comune di
Firenze. Ha collaborato a numerose riviste; dal 1971 scrive sul
"Giornale dei Misteri" come studioso di simbolismo, automatismo,
clipeologia e ufologia. È uno dei fondatori del Movimento
Culturale Umanistico, che si propone l'attuazione di un nuovo
umanesimo di dimensione cosmica. Svolge attività di relatore in
congressi e convegni. Ha curato l'edizione del "Libro dei
Prodigi", di Giulio Ossequente (Corrado Tedeschi Editore) ed è
uno degli autori della collana "Ufo in Italia" (Corrado Tedeschi
Editore).
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