L'EPILOGO RITUALE
RITUALITA' E NARRAZIONE NEL TEMPO DELLA FINE
Il libro analizza la funzione ricapitolatrice del
rito che proietta la fine nell’inesorabile continuità della vita che
incalza. Così anche nella ripetizione della fine
della narrazione all’interno della cronologia del racconto l’epilogo
scalza, sul piano simbolico, i personaggi del
"contesto" affermando e al contempo risolvendo la loro differenza.
L'autore – brillante allievo di Ezio Raimondi –
indaga il processo di configurazione temporale e testuale
dell'epilogo narrativo ispirandosi al modello
escatologico-scritturale cristiano. Se l'avvento di Cristo nella
storia dà inizio al tempo della fine intermedio
tra il compimento logico della salvezza e il termine
cronologico non ancora raggiunto, l'avvento del
personaggio "Cristo" nella narrazione della storia della
salvezza dà inizio al tempo narrativo della fine,
l'epilogo della Scrittura.
Caratteristica della visione giudaico-cristiana
della storia e' la fede che "il corso del mondo e della vita umana
raggiungera' un estremo (e'schaton), al di la' del
quale non porta alcuna strada; questo estremo
appartiene essenzialmente al corso delle cose e
rende manifesto, svela (apokalœptei), che cosa abbia
costituito gia' da sempre la sorte del mondo e
dell'uomo". Peculiare declinazione cristiana di una simile
prospettiva e' che "l'evento escatologico non e'
collocato al termine della storia, ma al centro, a partire dal
quale comincia la fine". Se per il mondo ebraico
ogni istante poteva essere "la piccola porta da cui
poteva entrare il Messia", per il cristiano tale
porta si e' gia' spalancata, il Messia e' entrato, la fine e' in atto.
Paolo ricorda che e' giunta la "fine dei tempi" [1
Cor 10, 11]; Giovanni rivolgendosi alle comunita' asiatiche
lacerate dalle prime discordie invita a meditare
sul fatto che "questa e' l'ultima ora" [1 Gv 2, 18]; Pietro
apostrofa il presente come gli "ultimi tempi" [1
Pt 1, 5]. Similmente, i Padri della Chiesa non esiteranno ad
identificare il presente quale ultima epoca della
storia contrassegnata dal crisma del tramonto e della
senescenza. Ma la consapevolezza di essere alla
fine non si limita alla percezione dell'imminenza
della fine, particolarmente avvertita nelle prime
comunita' cristiane. Vi si aggiunge la certezza che quanto
di decisivo ed essenziale doveva accadere nella
storia e' gia' accaduto e nulla di propriamente nuovo resta da
attendere. "Circa il fatto dell'evento di Cristo
non e' possibile aspettarci nulla di ulteriore nella storia del
mondo" ripete il teologo Hans Urs von Balthasar
(1986, vol. V, p. 109). Eppure, inesorabilmente, si continua.
"La fine e' presente" (ivi, p. 42) ma il termine
non e' ancora arrivato. Uno sfasamento di imprecisabile durata
tra il piano teologico degli eventi e la
successione cronologica dei fatti da' luogo ad una singolare dilatazione
della fine in un tempo della fine intermedio tra
un compimento teologico gia' pienamente realizzato e
un termine cronologico non ancora raggiunto. E' a
questo tempo della fine in cui gia' tutto e' accaduto ma
nulla ancora terminato che diamo il nome di
epilogo.
L'autore esamina lo svolgimento del dato temporale
e testuale in letteratura secondo il modello escatologico
e scritturale cristiano al cui interno definire la
funzione della ritualita'. I riporti eruditi seguono la
dinamica della narrazione che nell'epilogo puo'
accelerare il ritmo (es. p. 75). Lo studio si raccomanda a
chi intende sondare i meccanismi logico-istintivi
della creazione linguistica e dimostra come dalla parte
informativa di un testo si possa trarre
«l'infinito campo di particolari immaginabili» (p. 54).
«Punto di vista» n° 22
Ottobre/Dicembre 1999