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SAI BABA - L'Uomo dei miracoli
Cosa
si può dire sui miracoli di Sai Baba, se non ricordare le Sue stesse parole?
Swami dice: "I miracoli sono le esche con cui vi catturo... le
materializzazioni servono a gratificarvi, in attesa che essi un giorno mi
chiediate quello per cui sono venuto..."
Questo libro è uno dei testi più eloquenti su Sai Baba,
l'Avatar di cui parlano tutte le profezie, incarnatosi in quest'era buia per
instaurare la nuova Età dell'Oro. Da consigliare a tutti, devoti e non,
credenti e atei... da esso tutti potranno trarre qualcosa su cui meditare
seriamente. Alcuni brani
scelti dal libro:
[...]
Nel 1966 la celebrazione di Maha-siváratri, più comunemente nota come
Siváratri, cadeva il 18 febbraio. Tornando dalla colazione, quella mattina
dovetti stare attento a dove mettevo i piedi per non calpestare i visitatori
sparsi ovunque. Tutti i locali erano al completo, tutto lo spazio sotto gli
alberi era occupato e ora la gente stava sistemandosi provvisoriamente un
po' dappertutto per terra. In queste occasioni non sono le comodità a
preoccupare gli indiani.
Mi unii al gruppo che aspettava davanti alla Mandir, l'edificio centrale.
Migliaia di persone aspettavano che Sai Baba si affacciasse al balcone e
impartisse la sua benedizione mattutina.
L'esile figura rossa dalla zazzera corvina fece una rapida apparizione.
Sollevò il braccio per benedire la folla con un fare distratto che non gli
era abituale e ritornò in fretta nella stanza.
Ebbi l'impressione che non stesse bene. Subito dopo seppi dal dottor
Sitaramiah, che lo aveva appena visitato, che la temperatura di Baba era
salita oltre i 40 gradi.
"Suppongo che tutto ciò abbia a che vedere con la formazione del linga di
Sivá nel suo corpo. E' un grosso mistero' concluse il dottore.
Baba, tuttavia, continuo', imperterrito, la sua attività, come se ciò non lo
riguardasse. Lo vidi passeggiare distribuendo pacchetti di cenere alla folla
seduta in attesa del dono tanto ambito e desiderosa di sfiorare anche
soltanto l'orlo della sua veste. Poi, nel corso della mattinata, compì il
primo dei due miracoli di quella giornata.
Esso avvenne sotto una grande tettoia, dove migliaia di persone si
assiepavano sul pavimento, pigiate come lo possono essere soltanto le
sardine in scatola e le folle indiane.
Fortunatamente, trovai posto nei pressi del palco, tra uno stuolo di
fotografi ai quali era stato riservato un piccolo spazio. Stralcio qui le
righe del mio diario riguardanti gli avvenimenti di quella mattina: "Sul
palco è collocata una grande statua d'argento di Sai Baba- di Shirdi, seduto
nella sua caratteristica positura. Il signor Kasturi solleva una piccola
urna di legno, alta una trentina di centimetri e piena di víbhuti. Tenendola
al di sopra della statua, versa la cenere sulla figura fino a vuotare
l'urna. Poi la scuote ben bene per far cadere anche gli ultimi granuli
continuando a reggerla al di sopra della statua con l'apertura rivolta verso
il basso.
"Allora Sai Baba infila nell'urna il braccio sino al gomito e lo fa ruotare
come pestello in una zangola. Subito la cenere ricomincia a piovere dal
recipiente, fluendo in abbondanza finchè il braccio non viene estratto. A
questo punto cessa il fiotto di cenere. Poi è la volta dell'altro braccio, a
cui egli fa compiere un'identica rotazione provocando una nuova pioggia di
cenere. La strana cerimonia prosegue, poiché Baba usa alternativamente le
braccia: il recipiente vuoto versa cenere quando la mano è dentro e cessa
immediatamente quando egli la ritira. Alla fine il simulacro di Sai Baba di
Shirdi è sepolto da un enorme mucchio di cenere, molta più di quanta potesse
essere contenuta nell'urna. Poi essa viene posata a terra: il bagno rituale
e miracoloso di cenere è terminato.
"Tutt'intorno regna un'atmosfera di gioia e di esaltazione.
Il viso del signor Kasturi è più raggiante che mai, i gesti e
l'atteggiamento di Baba sono l'espressione sublime di una grazia che non è
di questo mondo. Tutto è meraviglioso, ma avendo visto il Sai in precedenti
occasioni estrarre dall'aria manciate di cenere, non riesco più a
sorprendermi di fronte a questa dovizia cavata da un'urna vuota".
Il momento culminante della giornata doveva ancora venire, e molti ne
facevano oggetto dei loro discorsi. Mi venne raccontato che, ogni anno, uno
o più linga di Siva si materializzavano nel corpo di Baba in coincidenza
della sacra festività. Egli li faceva uscire dalla bocca, perché tutti li
potessero vedere. L'uscita dei linga era sempre laboriosa, essendo essi
costituiti da pietre chiare o colorate, e talvolta da un metallo simile
all'oro o all'argento.
"Siete certi che non li nasconda in bocca prima di salire sul palco,
estraendoli poi al momento opportuno? ", domandai.
I miei ascoltatori mi lanciarono un'occhiata tra il divertito e il
compassionevole. Uno di loro precisò: "Baba parla e canta a lungo prima che
il linga fuoriesca, e in ogni caso esso è troppo grosso perché lo possa
tenere in bocca mentre pronunzia i suoi discorsi. L'anno scorso era di
proporzioni tali che dovette aiutarsi con le dita per farlo passare
attraverso le labbra, e anche così, per lo sforzo, gli angoli della bocca
gli sanguinarono". Un altro soggiunse: "Un anno furono addirittura nove,
ognuno lungo tre centimetri. Provi un po' a tenerli tutti in bocca e poi a
parlare per un'ora di seguito! ".
Anche ammesso che porti queste "cose" all'interno del suo corpo, pensai,
qual è il punto preciso in cui si trovano? Certo è un fatto mirabolante, ma
che valore ha? e che cos'è un linga di Siva?
A quest'ultima domanda ricevetti molte risposte dalle persone presenti nell'ashram,
ma la spiegazione più soddisfacente è forse quella che mi aveva dato il Dr.
I.K. Taimni al corso di teosofia. La ricordavo vagamente, ma ritornato ad
Adyar andai a riguardare i miei appunti. Ecco in succinto ciò che egli
diceva.
"Il linga di Siva è uno dei simboli "naturali" dell'induismo, che hanno di
solito forma geometrica. Essi sono denominati "naturali" non solo perché
rappresentano una determinata realtà, ma anche perché in qualche misura sono
i veicoli della forza che emana da quella realtà. Il linga è un ellissoide
che simboleggia la sákti (energia creativa) di Siva, cioè la prima
manifestazione della primordiale dualità cosmica di generazione e
distruzione. Su tale coppia di opposti è fondato l'intero divenire del
cosmo.
Ci si potrebbe chiedere perché viene usato proprio un ellissoide per
simboleggiare il principio creativo. Il Dr. Taimni lo spiegava così. La
realtà ultima, l'Assoluto, o Brahman, o Dio, comunque lo si voglia chiamare,
non contiene polarità, ne' coppie di opposti: essa li trascende tutti.
Quindi può essere raffigurata dalla figura geometrica più perfetta, la
sfera.
Se il centro o l'unico punto focale della sfera si divide in due, si ha un
ellissoide. Questa figura dà una rappresentazione simbolica della dualità
primordiale uscita dall'Uno originario e pleromatico. Da questa prima
dualità discendono tutte le manifestazioni, tutta la creazione, tutte le
"diecimila cose" dell'universo. Il linga è, quindi, la forma primigenia che
è alla radice della creazione, come Om è il suono primordiale.
Per dirla in termini induisti, dall'unico Brahman emerge Sivá-Sákti, il
padre e la madre di tutto ciò che è. Si deve osservare in questa relazione
che Siva non è soltanto un aspetto della Trinità divina, l'aspetto della
generazione-distruzione, ma anche l'Altissimo Dio, il padre di tutti gli
dei, il logos cosmico.
Al pari di tutti gli dei dell'induismo, Siva ha una consorte, la Sákti o
aspetto femminile. E mentre il mascolino, o aspetto positivo, rappresenta la
coscienza, il femminino o aspetto negativo simboleggia la forza. Entrambi
gli aspetti sono necessari per la creazione o manifestazione sul piano della
materia.
E' anche significativo che la forma ellissoidale, o linga, simboleggiante il
principio di Sivá-Sákti, abbia una parte fondamentale nella struttura e nel
funzionamento dell'universo. Nel cuore della materia, ad esempio,
all'interno dell'atomo gli elettroni si muovono secondo orbite ellittiche
intorno al nucleo. Analogamente, nel sistema solare i pianeti descrivono
intorno al sole delle orbite, non circolari, come si credeva un tempo, ma
ellittiche.
Alcuni considerano il linga un semplice simbolo sessuale. Ma la sessualità è
solo una delle tante manifestazioni del principio di Sivá-Sákti contenute
nel linga. Questo principio è manifestato da tutte le coppie di opposti, e
nulla in questo universo fenomenico può esistere senza il suo opposto o
contrario. La dialettica degli opposti è alla base dello stesso pensare al
nostro stadio di coscienza; e non possiamo, ad esempio, concepire la luce
senza le tenebre, il bene senza il male e così via.
E' errato quindi sostenere che la venerazione di questo simbolo derivi dai
primitivi culti fallici. Il linga ha una connotazione più profonda e
significativa. La stessa parola sanscrita significa semplicemente "simbolo"
o "emblema", il che indicherebbe che si tratta di un simbolo di base, o
primario. Rappresentando in forma sensibile il principio e la forza creativa
primordiali, esso è considerato degno della più alta venerazione sul piano
fisico, e poiché ha una relazione geometrica con la realtà che simboleggia,
può mettere il fedele in rapporto con questa stessa realtà. Come ciò
avvenga, sottolinea il Dr. Taimni, è un mistero che può essere risolto o
capito solo da un'interiore esperienza personale.
Tuttavia si è asserito che questo sacro ellissoide di pietra o di metallo
abbia l'occulto potere di stabilire un rapporto tra l'uomo e la forza divina
sul piano profondo che esso rappresenta. Attraverso questa relazione
l'adoratore beneficerebbe di innumerevoli benedizioni e favori. Ma il legame
mistico deve essere stabilito da una persona che possieda la dovuta
comprensione dei principi e la conoscenza del giusto rituale.
Trentamila persone avrebbero affrontato un viaggio durissimo di migliaia di
chilometri solo per vedere Sai Baba generare dal proprio corpo una pietra
comune, anche se in modo miracoloso? Ne dubito. Ma la pietra attesa quella
sera, il linga, non è una pietra qualunque. Essa affonda nel cuore antico
dell'India.
Le ombre si allungavano, ma il pomeriggio era ancora caldissimo quando,
dalla foresteria, mi avviai verso la piccola rotonda, detta Shanti Vedika,
dove doveva accadere l'evento. La costruzione si trova ad una certa distanza
dalla Mandir ed è simile a quei palchi per le orchestre che si trovano nei
parchi di molte città occidentali. Esso ha forma circolare, un pavimento
sopraelevato, un basso steccato attorno e degli esili pilastri che reggono
il tetto.
Non solo le grosse tettoie erano stipate di spettatori, ma l'ampia
superficie che si estendeva dalla rotonda centrale al perimetro dell'ashram
era un'unica massa compatta di figure sedute. Qualcuno mi fece strada
attraverso la silenziosa foresta di teste, lungo un passaggio di stuoie di
cocco tra donne a destra e uomini a sinistra. Mi domandavo se avrei trovato
da qualche parte un quadratino per sedermi.
Vicino alla Shanti Vedika era stato riservato uno spazio ai funzionari, ai
discepoli più stretti, ai fotografi e ad alcune persone, munite di
registratore. Essendo un ospite straniero mi venne fatto cortesemente posto
tra loro. Ma anche questo recinto privilegiato divenne ben presto così
affollato che mi chiedevo se avrei potuto mutare la mia posizione
rattrappita a gambe incrociate. Se fossi rimasto lì per più di tre ore, come
si prevedeva, le mie gambe si sarebbero bloccate in quella posizione e avrei
dovuto essere portato via di peso.
Alle sei in punto, Sai Baba, accompagnato da un piccolo gruppo di discepoli,
entrò nella Shanti Vedika e subito dopo cominciarono i discorsi. Parlarono
alcune persone, una delle quali ricordo in modo particolare, un eminente
studioso di sanscrito dell'India meridionale, Surya Prakasa Sastri. Non che
capissi molto di quanto diceva, poiché parlava nell'antica lingua dei Veda,
ma c'era qualcosa di affascinante nella sua faccia vigorosa e benevola di
dotto e nel suo mantello di colore azzurro cielo.
Una quarantina di potenti riflettori illuminarono il gruppo sulla
piattaforma, quando Baba si alzo. Prima intonò un canto sacro, con la sua
voce melodiosa e celestiale che toccava il cuore, poi cominciò il suo
discorso, parlando come al solito in telugu. Trentamila persone sembravano
diventate un ascoltatore unico e pendevano dalle labbra di Baba, in assoluto
silenzio, tranne quando egli raccontava una storiella, o scherzava su
qualcosa. Allora un'ondata di risate scrosciava sulla distesa di volti
illuminati dalle stelle. Sulla piattaforma il signor Kasturi era intento a
prendere appunti del discorso che sarebbe stato pubblicato in telugu e in
inglese.
L'eloquenza di Sai Baba fluì tranquilla per mezz'ora quando improvvisamente
la sua voce ebbe un arresto. Egli cercò di continuare, ma soltanto un grido
inarticolato gli usci dalla gola. Coloro che tra i devoti guidavano il
bhajana, sapendo ciò che stava accadendo, immediatamente intonarono il noto
canto sacro a cui l'immensa folla fece eco.
Baba si sedette e bevve un po' d'acqua da un'anfora. A più riprese cercò di
cantare, ma non vi riuscì. Poi cominciò a dare segni di sofferenza: si
contorceva e si rivoltava, metteva la mano sul petto, nascondeva la testa
tra le mani, si tirava i capelli. Sorseggiò un altro po' d'acqua e cercò di
sorridere per rassicurare la folla.
Il canto continuava con fervore, come se servisse a confortare e a sostenere
Baba nel suo soffrire. Alcuni uomini intorno a me scoppiarono in pianto
senza ritegno, e io stesso provai tenerezza per quell'uomo che pativa sotto
i nostri occhi. Non potevo però cogliere appieno il significato dell'evento
che causava quell'agonia, ne' forse lo poteva la maggior parte dell'immensa
folla che vi assisteva. Ma, tra il comprendere intellettualmente una cosa e
intenderne il significato nella
profondità delle proprie viscere c'è una grande differenza. Intuivo di
essere al centro di un avvenimento che aveva un profondo significato per
l'umanità.
Un'altra parte di me, più cauta e più razionale, non era ancora convinta che
di lì a poco avrebbe avuto luogo un miracolo, sia pure di valore spirituale.
Così, invece di bagnare i miei occhi con lacrime di simpatia, li tenevo
incollati alla bocca di Baba; tutta la mia attenzione si concentrava in quel
punto perché non volevo perdere l'uscita del linga, ammesso che uscisse
proprio di là.
Dopo circa venti minuti, trascorsi con gli occhi fissi sulla bocca di Baba,
mentre egli si contorceva, sorrideva, o faceva sporadici tentativi di canto,
la mia attesa fu ricompensata. Vidi un lampo di luce verde uscirgli dalla
bocca e, con esso, un oggetto che gli cadde tra le mani, appoggiate al di
sotto a guisa di conca. Immediatamente sollevò l'oggetto, tenendolo tra il
pollice e l'indice, perché tutti lo potessero vedere. La folla trasse un
immenso respiro di sollievo. Era un bellissimo linga verde, di proporzioni
tali che nessuno avrebbe potuto contenerlo nella sua gola.
Sai Baba lo mise in cima ad una torcia, in modo che la sua luce ne mettesse
in risalto la vivida trasparenza di smeraldo. Poi, scomparve dalla scena.
Sunderlal Gandhi, un giovane che fungeva da guida e che era diventato mio
amico, mi condusse fuori da quella calca. Le gambe mi tremavano, ma mi
sorressero fino alla foresteria. Quella notte fui svegliato a più riprese
dai canti della folla assiepata intorno al linga illuminato di Siva, e
quando scesi per la colazione essa si stava appena diradando. Mi imbattei in
Gabriela Steyer, la quale mi informò che la maggior parte dei partecipanti
all'immenso raduno era rimasta durante la notte in adorazione dell'oggetto
formatosi miracolosamente nel corpo del loro guru, e simboleggiante la più
alta divinità.
Siva è il dio degli yogi, colui che aiuta l'uomo a conquistare la sua natura
inferiore e ad innalzarla fino al divino. Per operare un cambiamento del
genere la mente deve essere domata. Si afferma che essa sia in relazione con
la luna e che esista un periodo astronomico in cui l'astro notturno
favorisce gli sforzi dell'uomo per trascendere la mente. Proprio in questo
periodo, che cade in febbraio, si tiene la celebrazione di Siváratri. Ma, a
Prasanti Nilayam la festività lunare è doppiamente propizia; non solo
esistono le condizioni celesti richieste, ma il simbolo di Siva è reso
visibile e concreto agli occhi di tutti, luminoso punto di convergenza che
serve da supporto per lo sforzo supremo della meditazione.
E' interessante osservare a questo proposito che nella Uttaragita il Signore
Krsna dice che "linga" deriva da lana, parola che significa unire.
Questo è il motivo per cui il linga rende possibile l'unione dell'io
inferiore con l'io superiore e con Dio - con Jivatman e Paramatman.
Più tardi, il Raja di Venkatagiri, un devoto di Sai Baba e un profondo
conoscitore dell'induismo, mi spiegò che era importante compiere regolari e
corrette puja o adorazioni rituali del sacro simbolo. E poichè pochi
potevano adempiere a quest'obbligo, la maggior parte dei linga di Sai Baba
fu smaterializzata per ritornare al regno dell'immanifesto donde
provenivano. Molti altri devoti suffragarono questa opinione.
Parecchi dei miei nuovi amici videro da vicino il linga, il mattino dopo la
sua produzione. Dappertutto si faceva un gran parlare di esso, paragonandolo
ad altri esemplari prodotti gli anni precedenti. Domandai che cosa ne fosse
stato, e mi fu detto che alcuni erano stati regalati a devoti molto fedeli;
di altri nessuno sapeva niente.
Ora, ero certo che alcuni erano in mano di qualche devoto e circa un anno
dopo una seguace di Sai Baba mi mostrò un bellissimo linga di Siva
proveniente dal corpo di Baba, che le era stato regalato. Essa lo portava
con se, accuratamente avvolto in un panno, e non lo lasciava toccare a
nessuno.
"Avete compiuto regolari puja per esso? " le chiesi.
"Si`", rispose, "Baba mi disse ciò che dovevo fare ed io l'ho fatto.
Non so perché me lo ha dato, poiché non ne sono degna". Capii, invece, che
lo era. Baba, che scruta nella profondità di ogni cuore, sa chi è degno e
chi no.
Io stesso potei esaminare il linga di Siva, un paio di giorni dopo la sua
manifestazione. Mi ero recato con un piccolo gruppo alla Mandir per uno
degli ambìti incontri con Sai Baba. Fummo introdotti in una stanza del
pianterreno. Dopo qualche minuto entrò Baba e posò il linga sul davanzale
della finestra perché tutti potessero vederlo. Era di color verde smeraldo,
così come era apparso alla luce artificiale la notte della sua
manifestazione. Kasturi, che si trovava sul palco della Shanti Vedika nel
momento in cui fu prodotto, così lo descrive nel suo libro:
"Un linga di smeraldo, alto 8 centimetri e fissato su un piedistallo largo
13, emerse dalla bocca di Baba- per la gioia e il conforto ineffabile
dell'enorme folla... ". Quando lo vidi sul davanzale non riuscii a
capacitarmi come anche il grosso piedistallo fosse uscito dalla bocca di
Baba, e valutai che le sue dimensioni fossero ancora superiori a quelle
riportate da Kasturi.
Dopo che tutti avemmo osservato bene il linga, senza per altro toccarlo,
Baba si accomodò su una sedia e noi ci sedemmo sul pavimento lungo le
pareti. Io mi collocai alla sua destra, il più vicino che potevo.
Per un po' egli fece chiacchiere apparentemente frivole. Domandò a ognuno
che cosa si attendesse da lui e rise ad alcune delle risposte.
Sembrava una madre in mezzo ai suoi figli, contenta solo quando può venire
incontro ai loro desideri e farli felici, sperando al tempo stesso che essi
imparino a desiderare i beni più importanti della vita, i tesori dello
spirito.
Poi si voltò di colpo verso di me e disse in un modo provocatorio:
"Se ti regalo una cosa, tu la perderai? ". "No, Baba, no che non la
perderò", protestai.
Si rimboccò la manica e agitò l'aria con la mano, quasi all'altezza dei miei
occhi; potevo vedere benissimo, sia sopra che sotto, ma non scorsi nulla,
finché voltando la mano egli non mostrò un grosso e lucente anello nel
mezzo. Sembrava d'oro e d'argento; più tardi mi spiegò che quel metallo era
pancaloha, una lega con cui sono fabbricate molte delle statue dei templi.
Affascinato, stesi la mano per accogliere il dono, ma egli ridendo porse
l'anello a qualcuno che stava dalla parte opposta. Esso passò di mano in
mano, e ognuno potè esaminarlo; molti anzi lo appoggiavano sulla fronte in
segno di riverenza prima di consegnarlo al vicino. Quando tornò a Baba, egli
me lo infilò nel dito medio. Era proprio della sua misura.
Mi sentii sprofondare, e ancor più quando vidi che la figura sbalzata in oro
sull'anello era quella di Sai Baba, di Shirdi. Non avevo mai accennato a
Satya Sai e a nessun altro del mio profondo affetto per il vecchio santo. Me
l'aveva forse letto nel pensiero?
Subito dopo ci ricevette ad uno ad uno in un'altra stanza, in modo che gli
potessimo porre i nostri problemi personali. Quando venne il mio turno, egli
mi intrattenne, parlando della mia vita e della mia salute.
Sembrava essere non solo un padre e una madre, ma l'essenza della paternità
e della maternità, l'archetipo di tutti i padri e di tutte le madri.
Era come se da lui emanasse un raggio d'amore che, penetrando nelle
profondità del mio essere, scioglieva ogni durezza e ogni rigidità
interiore. Sentii che questo era il purissimo e altissimo amore che è detto
premán in sanscrito, espressione spontanea di ciò che nell'uomo vi è di più
alto, la presenza divina.
Questa meravigliosa esperienza interiore si accordava con quanto mi avevano
riferito molti devoti sui loro contatti con l'universale e insieme
individualizzato premán di Baba. Così, al termine della mia visita alla
"Dimora di grande pace", capii che questo taumaturgo era tutto fuorché un
astuto illusionista o un "mago da strada" che ricorre a un limitato
repertorio di trucchi per cavare qualche rupìa dai passanti.
Sai Baba non apparteneva a nessuna di queste categorie. Che cosa era allora?
Ciò restava un mistero forse insolubile, in ogni caso una sfida per
chiunque.
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