Autore: Satish Kumar

FioriGialli Edizioni

Pagg. 288 - Prezzo € 16,00

 

 
 

 

Tu Sei
quindi Io Sono

una dichiarazione di dipendenza

 

“La vita di questo uomo vigoroso, saggio, compassionevole e umile è un esempio per tutti noi su come usare bene i nostri doni e creare le nostre proprie opportunità per servire il futuro dell’umanità”.
Hazel Henderson, autore di “Creare un futuro diverso”.

“Per me Satish Kumar è il saggio del Movimento dell’Ecologia Profonda”.
Fritjof Capra, autore del “Tao della fisica” e di “La rete della vita”

Satish Kumar è fra i più importanti educatori del 20° secolo”.
Theodore Roszak, autore di “ La nascita di una controcultura”

Satish Kumar ci offre il dono del So Hum – Tu sei, quindi io sono”.
Il suo viaggio mentale e la sua ispirazione dovrebbero divenire l’ispirazione di tutti per aiutarci a cambiare da violenza a nonviolenza, dall’avidità alla compassione, dall’arroganza all’umiltà.
Vandana Shiva, autrice di “Rimanere vivi”
Tu sei quindi Io sono. (So Hum) Una affermazione di dipendenza. Se esisti (tu), esisto anch’io. Una dichiarazione di interconnessione. Tu esisti. così come Io esisto. Una Dichiarazione di Interdipendenza.

Questo libro è il resoconto del profondo viaggio spirituale di Satish Kumar – monaco da giovane, pellegrino di pace, attivista ecologista ed educatore. In esso egli traccia le fonti di ispirazione che hanno formato la sua visione del mondo come una rete di relazioni multiple e diversificate. Tu sei quindi Io sono è formato da quattro parti.

Nella prima descrive i suoi ricordi delle conversazioni con la madre, il maestro e il suo insegnante spirituale, tutti profondamente religiosi.

La seconda parte narra delle sue discussioni con i saggi indiani Vinova Bhave e J. Krishnamurti, Bertrand Russell, Martin Luther King e E. F. Schumacher. Questi cinque famosi attivisti e pensatori lo ispirarono a impegnarsi nel sociale, nelle questioni politiche ed ecologiche.

Nella terza parte del libro Satish Kumar narra dei suoi lunghi viaggi in India che ne hanno nutrito la mente e che lo hanno riconnesso alle sue radici.

La quarta parte riassume il punto di vista del suo pensiero basato sulle relazioni e interconnessioni fra e con tutte le cose, piuttosto che sulla filosofia dualistica, di separazione e di divisione che si trova nella famosa massima di Cartesio “Penso, quindi sono”.

Satish Kumar rappresenta una visione emergente del modo di considerare il mondo, racchiusa in un fondamentale detto sanscrito, So Hum, molto conosciuto in India, ma non in Occidente, che può venir così tradotto: “Tu sei, quindi io sono”. Questo mantra riassume in fondo tutte le esperienze riportate in questo volume.

Prefazione dell'autore

Questo libro è un pellegrinaggio della mente. Ho qui voluto riportare le fonti d’ispirazione che hanno formato la mia comprensione del mondo, secondo la quale l’esistenza è una rete di relazioni multiple e variegate ma sempre interdipendenti.

Il libro è suddiviso in quattro parti. La prima parte descrive i miei ricordi di conversazioni con mia madre, con il mio insegnante e con il mio guru, i quali furono tutti profondamente religiosi e capaci di offrirmi una solida base spirituale. La seconda parte narra del tempo trascorso con Vinoba Bhave, il saggio indiano, con Krishnamurti, profeta della libertà, con Bertrand Russell, filosofo del razionalismo scientifico, con Martin Luther King, liberatore dell’oppresso, e con Fritz Schumacher, economista ecologico. Questi cinque grandi attivisti e pensatori mi hanno ispirato a impegnarmi in opere di carattere sociale, spirituale e politico. Nella terza parte parlo dei viaggi in India che hanno continuato a nutrire la mia mente e a collegarmi con le mie radici.

La quarta parte descrive una visione del mondo basata sulle relazioni e sul collegamento esistente tra tutte le cose, piuttosto che sulla filosofia del dualismo, della divisione e della separazione, di cui Cartesio fu probabilmente il padre fondatore. Tragedie come l’attacco dell’11 settembre 2001 alle torri gemelle di New York, cui io sono stato testimone, e altri conflitti internazionali – la corsa agli armamenti, la degradazione ecologica e l’ingiustizia sociale – sono tutte radicate nel dubbio cartesiano, nel dualismo, nell’individualismo e in tutti gli altri ‘ismi’. I semi del pensiero dualista sono rintracciabili nel famoso detto di Cartesio ‘Io penso, dunque sono’: Cogito, ergo sum.

Personalmente, io appoggio una visione del mondo, che è ora emergente, incapsulata nel detto sanscrito So Hum, molto noto in India e meno in Occidente. Questo è ormai il mio mantra, il mantra delle relazioni non-dualistiche e non-frammentarie. Io traduco So Hum con ‘Tu sei, dunque io sono’: Estis, ergo sum. Questo mantra è il fondamento di tutte le esperienze riportate nel libro.

 

Capitolo 8: Le 5 pratiche
Il giorno in cui presi l’abito bianco da monaco gurudev Tulsi mi chiamò, insieme ad alcuni altri novizi, per ricevere l’insegnamento religioso. Egli sedette su un basso sedile di legno e noi prendemmo posto su una soffice coperta sul pavimento.
“Vi insegnerò”, disse, “le pratiche fondamentali del monaco per la liberazione della propria anima. Mahavir seguì queste stesse pratiche eroiche, noi dovremmo fare altrettanto, se vogliamo liberarci dalla schiavitù e dall’angoscia causate dai nostri desideri meschini.
“I princìpi da ricordare sono cinque. Il primo è la nonviolenza (ahimsa), che significa non fare del male a se stessi o agli altri. Significa evitare i pensieri dannosi, le parole dannose e le azioni dannose. Implica il fatto di liberarsi da ogni traccia di cattiva volontà e di rifiutarsi di intrattenere pensieri negativi. In pratica significa evitare il contatto con scene di crudeltà, discorsi maligni e attività che possono causare dolore. Per praticare la nonviolenza dovreste sviluppare una disciplina che aumenta la buona volontà, il pensiero positivo, il parlare gentile e l’azione amorevole”.
Gurudev fece una pausa, quindi il mio compagno monaco Tara, domandò: “Come possiamo imparare queste qualità?”.
Gurudev rispose: “L’autocontrollo è la chiave, pensa di meno, parla di meno e fa’ di meno. Sii di più, medita di più, pratica il silenzio e servi gli altri”.
Seguì una pausa più lunga. Mi domandavo se gurudev avesse dimenticato che cosa stava per dire e, impaziente, domandai: “Qual è il secondo principio?”.
“Hai fretta? Hai già capito il primo principio? Allora, il secondo principio è la verità (satya), che significa comprendere la vera natura dell’esistenza, inclusa la vera natura di se stessi: accettare la realtà così com’è, essere veritieri, cercare di vedere le cose come sono, senza giudicarle buone o cattive. Significa ‘Non mentire’ nel suo significato più profondo, non avere illusioni riguardo a se stessi: quanto sei importante o quanto poco lo sei, quanto sei buono o quanto sei cattivo. Sospendi ogni giudizio. Affronta la verità senza paura. Le cose sono come sono, non sono né buone né cattive, né deboli né forti. Queste sono tutte interpretazioni”.
Eravamo ancora novizi, eppure gurudev non pensava che fossimo incapaci di comprendere i pensieri più profondi. Egli stava seminando nelle nostre menti i semi che avrebbero fruttificato nella pienezza del tempo. Gurudev proseguì: “Una persona veritiera va oltre la mente e oltre le parole per realizzare l’esistenza così com’è. Vivere nella verità significa evitare di manipolare le circostanze, le persone o la natura per soddisfare i propri desideri. Noi accettiamo che le altre persone abbiano una propria verità perché non esiste una verità unica, una verità che ogni mente può comprendere e che ogni lingua può esprimere. La verità è gemella di ‘non una sola conclusione’ (anekhant). La maggior parte delle religioni evidentemente crede che vi sia un'unica verità e che i saggi la esprimano in modi differenti. La percezione giainista è che la realtà ha molti centri. Ogni essere umano, ogni albero, ogni fiore, è il centro di un universo infinito. Non può esistere un solo centro, tanto meno una sola verità. Nessun monismo”.
“Come posso sapere”, domandò il monaco Tara, “se sono veritiero, dal momento che non esiste una sola verità?”.
Gurudev rispose: “Essere veritiero implica essere umile e aperto a nuove scoperte, pur accettando che non esiste una scoperta finale o suprema. La verità è quello che è. Mentalmente, verbalmente e fisicamente noi accettiamo ciò che è così com’è, ne parliamo così com’è e lo viviamo così com’è. Non abbiamo bisogno di imporre la nostra opinione su ciò che dovrebbe essere. Qualsiasi individuo o gruppo che affermi di conoscere l’intera verità afferma il falso”.
“Ma se diciamo la verità come noi la conosciamo, non è forse possibile ferire gli altri?” domandai. “Qui ci troviamo di fronte a un paradosso. Si deve affermare la verità senza provare timore, ma si deve anche imparare ad affermarla con garbo. Devi essere onesto, aperto e trasparente. Non devi nasconderti dietro delle banalità, né guardare altrove quando ti trovi di fronte a una falsità. Questa è l’abilità essenziale che, come monaco, devi imparare. La tua verità dovrà emergere dal pozzo profondo della tua compassione. Quando dici la verità devi evitare le parole aspre, devi dire la verità e tuttavia essere flessibile. Devi essere pronto ad affrontare la possibilità di esserti sbagliato. Devi essere preparato a cambiare la tua percezione e il tuo punto di vista se scopri di esserti sbagliato. Oltre a questo devi riconoscere che gli altri hanno la propria verità”.
Gurudev aveva l’abitudine di fare delle pause durante gli insegnamenti, lasciandoci spazio e tempo per assorbire il significato delle sue parole. Egli attese finché fu pronto a parlare. Disse: “Il terzo principio è non rubare (asteya). Questo significa astenersi dall’acquisire cose che non sono assolutamente indispensabili. È difficile scoprire quali sono i vostri bisogni essenziali: dovreste quindi valutare ciò che possedete, esaminare e porre in discussione la vostra vita, giorno dopo giorno, per scoprire quali sono le vostre necessità. La distinzione tra necessità e avidità potrebbe non essere evidente, e quindi è indispensabile che la valutazione delle necessità sia compiuta con onestà.
“Il commercio dei beni deve essere fondato sullo scambio onesto, per mezzo del quale il lavoro, il tempo e l’abilità delle due parti in causa devono essere misurati in termini giusti e leali.
“Prendere prima di dare significa rubare: quindi, in quanto monaci, prima di andare a elemosinare il cibo, dovreste offrire insegnamenti, consigli e benedizioni. Voi aiutate chi vive nella confusione, nell’agitazione e nella depressione. Dopo aver aiutato gli altri allora potrete ricevere da loro”. Terminata la breve spiegazione del terzo principio, gurudev parlò del quarto: “Dovreste praticare la castità e l’astinenza (brahmacharya). Brahma significa essere puro e charya significa dimorare; dunque, castità significa dimorare nella purezza. Questo è il principio dell’amore senza lussuria. Per i laici castità significa fedeltà nel matrimonio; per i monaci significa astinenza totale. Qualsiasi pensiero, parola o azione che avvilisca, degradi o offenda il corpo, è contrario al principio della castità (brahmacharya). Il corpo è il tempio della pura esistenza. Non si dovrebbero compiere azioni che lo contaminano.
“La castità amplia la santità del corpo umano fino al corpo della natura. Poiché Brahma, l’essere puro, è il principio essenziale della natura da lui permeata, la natura è il corpo di Brahma.
Riconoscere la sacralità dell’esistenza è vivere fedeli alla natura, il che significa portarle rispetto, consapevoli che la natura non è altro che noi stessi”.
Gurudev chiuse gli occhi respirando lentamente per alcuni minuti. Poi parlò ancora: “Il quinto è il principio di non accumulare né possedere (aparigraha). Non dovreste possedere nulla, ogni cosa appartiene a se stessa. Prendi ciò di cui hai bisogno e lascia il resto a se stesso. Se nessuno ammassa, possiede o accumula alcuna cosa, non può esservi scarsità. La natura è abbondante.
“Questa (aparigraha) è una modo per condividere. Proprio come i membri di una famiglia unita che condividono tutto senza senso di proprietà privata, così voi non dovreste avere proprietà privata.
“Aparigraha significa vivere semplicemente, senza ostentazioni, senza far sfoggio di ricchezza. L’abito, il cibo, l'arredamento dovrebbero essere semplici, eleganti ma austeri. Semplici nei mezzi, ma ricchi negli ideali. Se trascorri troppo tempo intento ad accumulare e a curare cose materiali, non avrai più tempo per la cura dell’anima.
“Il principio di aparigraha si applica anche alle idee, alla conoscenza, alla filosofia e ai pensieri religiosi. L’acquisizione di tale sapere immateriale diventa materialismo spirituale ed essi possono diventare gli attaccamenti più vincolanti in assoluto. Mantieni la semplicità nella vita esteriore e nei pensieri interiori”.
Dopo la consueta pausa gurudev domandò: “Avete qualche domanda?”.
Io ero molto loquace con mia madre, ma molto timido con gurudev, soprattutto quando voleva che facessi una domanda. Il monaco Tara non era timido. Egli s’inchinò a gurudev e domandò: “Non saranno difficili questi ideali per le persone che vivono in mezzo al mondo ordinario?”.
“Questi princìpi possono essere praticati in due modi”, disse gurudev. “I monaci e le suore seguono i princìpi più strettamente. Per esempio, i monaci non coltivano il cibo, né cucinano. Noi non usiamo alcun mezzo di trasporto, a parte le nostre gambe – nemmeno una barca per attraversare un fiume. Se non esiste un ponte noi non andiamo sull’altra riva. Noi non tocchiamo denaro, non usiamo candele, né elettricità, e non accendiamo mai un fuoco. Noi facciamo tutto alla luce del sole e, quando è notte, cantiamo e meditiamo nell’oscurità. I monaci fanno un uso minimale delle risorse materiali”.
“Alcuni monaci non indossano neppure abiti”, dissi.
“Sì, è vero, sono i monaci dell'ordine ‘vestito-di-cielo’ (digambara)”, osservò gurudev. “Essi usano le mani, messe a coppa, per elemosinare il proprio cibo e non possiedono altro che una scopa di piume di pavone per allontanare gli insetti dal sentiero, o dal proprio corpo, oltre a una ciotola di legno per l’acqua. Noi che indossiamo vesti bianche (shwetambara), siamo meno estremi. Noi utilizziamo due pezzi di tessuto privi di cuciture, due coperte, tre ciotole e alcuni manoscritti di testi religiosi”. Gurudev proseguì: “I laici sono meno rigorosi. Tuttavia anche per loro l’acquisizione di ogni singola pentola, sedia, tavolo o altro bene, è una decisione religiosa. Il materialismo non può andare d’accordo con il Giainismo. I giainisti limitano il tipo e la quantità di cibo che consumano ogni giorno e il numero di indumenti che indossano. Ogni giorno implica fare attenzione a limitare i consumi. Per un giainista fare o non fare una spesa è una decisione religiosa. E sempre la vita del monaco o della suora il modello da seguire. Un giainista è sempre intento a soppesare ‘l’avere’ contro ‘l’essere’ e la qualità della vita è sempre messa prima del tenore di vita."
“Per quale motivo vivere in modo tanto austero?”, domandò il monaco Tara.
“Questo stile di vita austero fu raccomandato da Mahavir, la cui filosofia riguardava la giusta collocazione dell’essere umano nello schema naturale delle cose. Mantenere controllato il numero della popolazione tramite la castità (brahmacharya), mantenere limitato il consumo tramite la non-acquisizione (aparigraha) sono pratiche che preservano l’equilibrio del mondo. Quanto più grande è l’equilibrio, tanto più grande è la libertà dalla paura. Essere liberi dalla violenza, dalla falsità, dal furto, dall’indulgenza e dalla possessività rende veramente liberi”.
Tara s’inchinò due volte, poi disse: “Ti sono grato, gurudev, per le tue risposte. Vorresti gentilmente guidarci più avanti e dirci per quale ragione dovremmo cercare la libertà?”.
Gurudev rispose: “Esiste un vasto mondo oltre la portata dei cinque sensi e un viaggio in quel mondo, il mondo dell’aldilà, il mondo del mistero infinito può essere sperimentato soltanto quando si è liberi dalla schiavitù delle meschine passioni di questo mondo. Tu cerchi la libertà da questo limitato mondo dei sensi per sperimentare l’universo del mistero.
“Noi non saremo capaci di scoprire quell’universo se scegliamo di dimorare unicamente e di farci intrappolare nel mondo della gratificazione sensuale, la quale cova insoddisfazione, malcontento e delusione. Il mondo dei sensi, il mondo delle idee e delle opinioni, il mondo della politica e del commercio ci trattengono. La libertà da questi mondi ci offre la possibilità di andare oltre. “Rispetta la materia ma sii libero dal materialismo. Essere ossessionati dalla materia, non vedere altro che la materia, guardare la materia come se esistesse soltanto per il controllo, la comodità e il tornaconto dell’uomo è materialismo. Valutare gli esseri umani in base ai loro possessi materiali, valutare le persone per ciò che ‘hanno’, piuttosto che per ciò che ‘sono’, valutare la materia per l’uso che se ne può fare, piuttosto che per ciò che è - anche questo è materialismo. Essere nella morsa di una simile ideologia materialista può rendere incapaci di vedere il quadro completo. “Quando sei guidato dallo spirito non hai alcun desiderio di combattere per acquisire terre, proprietà, potere. I giainisti non fanno guerre; per essere liberi, essi aiutano il male a trasformarsi in bene. Per risolvere i conflitti i giainisti utilizzano mezzi pacifici. Essi perdonano chi segue la strada della violenza e chiedono perdono a coloro che temono di aver danneggiato. In questo modo i giainisti si liberano dall’odio e dalla collera”.
Inchinandomi umilmente domandai: “Gurudev, è così facile essere risucchiati dalla collera e dal risentimento. Come possiamo liberarcene?”.
“Una volta l’anno” rispose gurudev, “abbiamo un ‘Giorno del Perdono’. In questa giornata tutti i giainisti digiunano per ventiquattr’ore durante le quali riflettono sull’anno trascorso e ricordano gli atti nocivi che hanno commesso nei confronti di altri esseri: terra, aria, fuoco, acqua, animali e umani. Mentre ricordano ogni azione, essi chiedono perdono. Quando tutte le azioni nocive sono state ricordate, i giainisti vanno dalle persone che credono di aver danneggiato o offeso con pensieri, parole o azioni e dichiarano di essere andati di persona per chiedere il loro perdono: ‘Io ti ho perdonato, non serbo alcun rancore nei tuoi confronti, non covo animosità ne ostilità nel mio cuore, sono tuo amico e d'ora in avanti non ho più nemici. Io ti chiedo di perdonarmi nel medesimo spirito’. Quando queste visite sono state compiute il giainista scrive una lettera a tutti quelli che non può incontrare di persona. Una volta che tutte queste azioni sono state portate a termine, allora e solo allora, al giainista è consentito di rompere il digiuno.
“È come fare tabula rasa. Liberandoti del passato puoi vivere la vita come se fosse sempre nuova. Quale sollievo poter respirare l’aria della libertà!”.
Tutti ci inchinammo a gurudev, e così si concluse l'insegnamento di quel giorno.
 

 

Dichiarazione di dipendenza:

“Siamo qui per svegliarci dall’illusione della nostra condizione di separazione.”  (Thich Nhat Hanh)

LA DICHIARAZIONE D’INDIPENDENZA AMERICANA nel 1776
può essere stata giusta nel suo tempo e nel contesto
dell’epoca. In tempi di schiavismo, colonialismo e imperialismo, è
giusto e opportuno che gli esseri umani vittime della colonizzazione si
battano per la loro dignità e reclamino libertà dall’oppressione.
Ma ora è l’alba dell’era dell’Ecologia e sta nascendo una nuova
consapevolezza. Sulla scia di molteplici crisi ambientali, noi stiamo
riscoprendo l’antica saggezza che riconosce la nostra dipendenza gli
uni dagli altri e dalla natura.
Noi dipendiamo dalla Terra. La rivoluzione industriale, le
scoperte scientifiche e le invenzioni tecnologiche hanno creato
l’illusione che noi, la razza umana, siamo i sovrani, che possiamo
appropriarci delle leggi di natura e fare di esse ciò che vogliamo.
Siamo i padroni della creazione; siamo a capo del mondo naturale – le sue foreste, i suoi fiumi, montagne, pesci, fossili, animali, uccelli, il suo petrolio, gas, carbone.
Noi abbiamo il dominio della terra, dell’oceano e del cielo. Possiamo
spaccare l’atomo, progettare i geni e camminare sulla luna.
Possiamo continuare a distruggere le regioni selvagge, rendere s
chiavi gli animali, costruire dighe sui fiumi e svuotare le riserve di
energia accumulatesi nel giro di millenni.
Al nostro potere non ci sono limiti. Questo è il massimo
dell’arroganza umana. Il risultato è che abbiamo ridotto
l’abbondante ricchezza di doni naturali ad una condizione di scarsità. Il tempo è infinito, e tuttavia noi l’abbiamo fatto diventare una merce limitata. Abbiamo ridotto
la Terra, il nostro pianeta, la nostra casa, in un campo di battaglia
dove noi siamo in concorrenza e in lotta per materie prime, mercati
e potere.

ORA CI TROVIAMO ad un bivio. Possiamo continuare a seguire
lo stesso cammino. Possiamo continuare a vivere nell’illusione della
perpetua crescita economica. Possiamo continuare a mantenere
la nostra dipendenza dalla tecnologia. Possiamo investigare la
tecnologia genetica, robotica, nano- e nucleare. Possiamo
prendere la strada che conduce alla rovina. Possiamo finire
nell’abisso. Oppure possiamo rivolgerci all’ecologia: il cammino
dei valori, etici ed estetici, il cammino dell’amore e della
venerazione per la natura, il cammino della scienza che
accomuna. Possiamo abbandonare la conoscenza che ci permette di
sopraffare la Terra.
Come i cinesi che nel Medioevo scoprirono la polvere da sparo, ma
decisero di usarla soltanto per i fuochi d’artificio, possiamo
appellarci alla saggezza e dire che abbastanza è abbastanza.
Per sopravvivere e vivere una vita buona abbiamo bisogno di
umiltà. Veniamo dalla terra e alla terra ritorneremo. Siamo parte
della natura, né al di sopra di essa né separati.
La natura è la sorgente di tutta la vita: la sorgente della gioia e
delle festività, la sorgente delle arti e dell’immaginazione,
la sorgente della poesia e dell’ispirazione, la sorgente dei talenti e
dell’inventiva.
La Terra ci offre l’esperienza di tempo e spazio, ci dà le stagioni e i
cambiamenti. Noi lavoriamo e ci riposiamo in risposta ai cicli della
terra.
La Terra ci dona un senso dei luoghi, da cui noi deriviamo il
nostro senso d’identità e di appartenenza.
La Terra è la sorgente della musica, della danza e del piacere. È la
sorgente della bellezza, della saggezza e dell’intuizione. Per la nostra
esistenza ed esperienza, per la nostra felicità e salute, per il
nostro cibo e nutrimento, noi dipendiamo dalla Terra.
Dipendiamo dall’amore dell’amato, dalla bellezza del bello e dalla
bontà del buono. Abbracciando la vulnerabilità e l’umiltà,
dichiariamo la nostra totale dipendenza dalla Terra e gli uni dagli
altri: Tu sei, quindi io sono.

Capitolo 26, dal libro Tu sei qui quindi io sono  di Satish Kumar 
 


 

indice:
Sommario
Ringraziamenti
Prefazione


Prima Parte: incontri significativi
1 Imparare dalla natura
2 Una mente indù
3 Il principio materno
4 La gioia del fare
5 Andando a Ladnun: l’incontro con il guru
6 Una visione giainista della realtà
7 La pratica del Dharma
8 Le cinque pratiche
9 Il sé e il mondo

Seconda Parte: cercando la completezza
10 Ritorno al mondo (camminando con Vinoba Bhave)
11 Suolo, anima, società
12 Imparare dal Sole
13 La verità è una terra senza sentieri (conversazione con J. Krishnamurti)
14 Nessuna nascita, nessuna morte
15 Razionalismo e nonviolenza (incontro con Bertrand Russell)
16 Giustizia prima dell’ordine (incontro con Martin Luther King)
17 Povertà e progresso (rivelazioni da E.F. Schumacher)

Terza Parte: viaggi in India
18 Islam, una religione di pace
19 Una terra di contrasti
20 Templi delle delizie
21 Una cultura artigiana
22 Essere un pellegrino
23 Sulle orme di Gandhi
24 Semi di rinnovamento (visita a Vandana Shiva)

Quarta Parte: una filosofia delle relazioni
25 Tu sei, dunque io sono: un’ecologia reverenziale
26 Una dichiarazione d’interdipendenza

Note
Indice
 
Satish Kumar nasce nel 1936 nello stato indiano del Rajasthan. All'età di nove anni rinuncia al mondo per unirsi alla fratellanza errante dei monaci gainisti. Dissuaso dal suo cammino da una voce interiore, a diciotto anni è promotore della riforma della terra, e lavora per trasformare in realtà la visione gandhiana di un'India rinnovata e di un mondo pacifico.

Infiammato dall'esempio di Bertrand Russell, Satish intraprende un pellegrinaggio per la pace e percorre, a piedi e senza denaro, 13000 chilometri, viaggiando dall'India all'Europa all'America e attraversando deserti, montagne, tempeste e nevi.

Nel corso di questa avventura, oltre a essere rinchiuso in prigione in Francia e a vedersi una pistola carica puntata in faccia in America, Satish consegna pacchetti di 'tè per la pace' ai governanti delle quattro potenze nucleari.

Nel 1973 Satish si stabilisce a Londra e assume l'incarico di editore capo della rivista Resurgence, di cui è tutt'ora editore. Satish è lo spirito guida di un certo numero di progetti ecologici, spirituali ed educativi con sede in Gran Bretagna.

Satish ha fondato la Small School di Hartland, una scuola secondaria a stampo pionieristico che accoglie nel proprio curriculum valori ecologici e spirituali. Il 1991 è l'anno della fondazione dello Schumacher College, un centro residenziale internazionale per lo studio dei valori ecologici e spirituali di cui egli è Direttore Didattico.

All'età di cinquant'anni, seguendo la tradizione indiana, Satish intraprende un nuovo pellegrinaggio: ancora una volta senza portare con sé denaro, raggiunge a piedi i luoghi santi della Gran Bretagna - Glastonbury, Canterbury, Lindisfarne e Iona. Incontrando vecchi amici e stringendo nuove amicizie lungo il cammino, Satish compie questo pellegrinaggio come celebrazione dell'amore per la vita e per la natura.

Nel luglio del 2000 l'Università di Plymouth conferisce a Satish Kumar la laurea ad honorem in Educazione.
Nel luglio del 2001 Satish riceve un'altra laurea ad honorem in Letteratura dall'Università di Lancaster; nel novembre dello stesso anno gli viene conferito il Premio Internazionale Jamnalal Bajaj per la promozione dei valori gandhiani oltreoceano.

La sua autobiografia, Senza Destinazione, è stata ristampata molte volte e in numerose edizioni. Pubblicata negli Stati Uniti da William Morrow, è uscita nel 2000 con il titolo di Sentiero senza destinazione.

"Il grande profeta dell'Inghilterra, William Blake, scrisse che 'tutto ciò che vive è sacro'. E' proprio questo l'insegnamento principale di Gaia, la nuova visione della Terra come organismo vivente a sé stante. E' nostra grande fortuna avere Satish Kumar come insegnante di questa nuova comprensione della verità, tanto nuova quanto antichissima, dell'unica vita indivisibile che ci sostiene. In Occidente, nel mondo materialista moderno, dobbiamo reimparare alcune verità, ormai dimenticate. Dal suo retroscena tradizionale giainista - ma anche dall'India moderna di Mahatma Gandhi, di Vinoba Bhave e di esempi viventi come Vandana Shiva - Satish porta un messaggio che, nel ventunesimo secolo, risveglia l'interesse di una generazione ansiosa di scoprire uno stile di vita capace di offrire guarigione alla Terra e al suo popolo".
- Kathleen Raine, poetessa e studiosa di Blake

"Ora che l'esclusione economica causata dalla globalizzazione e l'esclusione culturale causata dal terrorismo e dal fondamentalismo stanno distruggendo il tessuto delle società, ora che la nostra esistenza collettiva è distrutta dalla cultura del 'noi' contro 'voi' che tratta 'l'altro' come un nemico e crea odio e paura, Satish Kumar ci offre il dono di So Hum -'Tu Sei, dunque Io Sono'. Il viaggio mentale e le profonde comprensioni di Satish sono una fonte d'ispirazione per tutti perché aiutano a crescere dalla violenza alla nonviolenza, dall'avidità alla compassione, dall'arroganza all'umiltà".
- Vandana Shiva, autrice di Staying Alive

"Satish Kumar è un seminatore di ghiande".
- Jonathon Porritt, autore. Co-fondatore e Direttore Didattico di Forum per il Futuro

 

 

 
   

 

 
 

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