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Tu Sei
quindi Io Sono
una dichiarazione di dipendenza
“La vita di questo uomo
vigoroso, saggio, compassionevole e umile è un esempio per tutti noi
su come usare bene i nostri doni e creare le nostre proprie
opportunità per servire il futuro dell’umanità”.
– Hazel Henderson, autore di “Creare un futuro
diverso”.
“Per me Satish Kumar è il saggio del Movimento
dell’Ecologia Profonda”.
– Fritjof Capra, autore del “Tao della fisica” e di
“La rete della vita”
“Satish Kumar è fra i più importanti educatori del 20°
secolo”.
– Theodore Roszak, autore di “ La nascita di
una controcultura”
“Satish Kumar ci offre il dono del So Hum – Tu sei, quindi
io sono”.
Il suo viaggio mentale e la sua ispirazione dovrebbero divenire
l’ispirazione di tutti per aiutarci a cambiare da violenza a
nonviolenza, dall’avidità alla compassione, dall’arroganza
all’umiltà.
– Vandana Shiva, autrice di “Rimanere vivi” |
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Tu sei quindi Io sono.
(So Hum) Una affermazione di dipendenza. Se esisti (tu), esisto anch’io.
Una dichiarazione di interconnessione. Tu esisti. così come Io esisto.
Una Dichiarazione di Interdipendenza.
Questo libro è il resoconto del profondo viaggio spirituale di Satish
Kumar – monaco da giovane, pellegrino di pace, attivista ecologista ed
educatore. In esso egli traccia le fonti di ispirazione che hanno
formato la sua visione del mondo come una rete di relazioni multiple e
diversificate. Tu sei quindi Io sono è formato da
quattro parti.
Nella prima descrive i suoi ricordi delle conversazioni con la madre, il
maestro e il suo insegnante spirituale, tutti profondamente religiosi.
La seconda parte narra delle sue discussioni con i saggi indiani Vinova
Bhave e J. Krishnamurti, Bertrand Russell, Martin Luther King e E. F.
Schumacher. Questi cinque famosi attivisti e pensatori lo ispirarono a
impegnarsi nel sociale, nelle questioni politiche ed ecologiche.
Nella terza parte del libro Satish Kumar narra dei suoi lunghi viaggi in
India che ne hanno nutrito la mente e che lo hanno riconnesso alle sue
radici.
La quarta parte riassume il punto di vista del suo pensiero basato sulle
relazioni e interconnessioni fra e con tutte le cose, piuttosto che
sulla filosofia dualistica, di separazione e di divisione che si trova
nella famosa massima di Cartesio “Penso, quindi sono”.
Satish Kumar rappresenta una visione emergente del modo
di considerare il mondo, racchiusa in un fondamentale detto sanscrito,
So Hum, molto conosciuto in India, ma non in Occidente, che può venir
così tradotto: “Tu sei, quindi io sono”. Questo mantra riassume in fondo
tutte le esperienze riportate in questo volume. |
Prefazione dell'autore
Questo libro è un pellegrinaggio della mente. Ho qui voluto riportare le
fonti d’ispirazione che hanno formato la mia comprensione del mondo, secondo
la quale l’esistenza è una rete di relazioni multiple e variegate ma sempre
interdipendenti.
Il libro è suddiviso in quattro parti. La prima parte descrive i miei
ricordi di conversazioni con mia madre, con il mio insegnante e con il mio
guru, i quali furono tutti profondamente religiosi e capaci di offrirmi una
solida base spirituale. La seconda parte narra del tempo trascorso con
Vinoba Bhave, il saggio indiano, con Krishnamurti, profeta della libertà,
con Bertrand Russell, filosofo del razionalismo scientifico, con Martin
Luther King, liberatore dell’oppresso, e con Fritz Schumacher, economista
ecologico. Questi cinque grandi attivisti e pensatori mi hanno ispirato a
impegnarmi in opere di carattere sociale, spirituale e politico. Nella terza
parte parlo dei viaggi in India che hanno continuato a nutrire la mia mente
e a collegarmi con le mie radici.
La quarta parte descrive una visione del mondo basata sulle relazioni e sul
collegamento esistente tra tutte le cose, piuttosto che sulla filosofia del
dualismo, della divisione e della separazione, di cui Cartesio fu
probabilmente il padre fondatore. Tragedie come l’attacco dell’11 settembre
2001 alle torri gemelle di New York, cui io sono stato testimone, e altri
conflitti internazionali – la corsa agli armamenti, la degradazione
ecologica e l’ingiustizia sociale – sono tutte radicate nel dubbio
cartesiano, nel dualismo, nell’individualismo e in tutti gli altri ‘ismi’. I
semi del pensiero dualista sono rintracciabili nel famoso detto di Cartesio
‘Io penso, dunque sono’: Cogito, ergo sum.
Personalmente, io appoggio una visione del mondo, che è ora emergente,
incapsulata nel detto sanscrito So Hum, molto noto in India e meno in
Occidente. Questo è ormai il mio mantra, il mantra delle relazioni
non-dualistiche e non-frammentarie. Io traduco So Hum con ‘Tu sei, dunque io
sono’: Estis, ergo sum. Questo mantra è il fondamento di tutte le esperienze
riportate nel libro.
Capitolo 8: Le 5 pratiche
Il giorno in cui presi l’abito bianco da monaco
gurudev Tulsi mi chiamò, insieme ad alcuni altri
novizi, per ricevere l’insegnamento religioso.
Egli sedette su un basso sedile di legno e noi
prendemmo posto su una soffice coperta sul
pavimento.
“Vi insegnerò”, disse, “le pratiche fondamentali
del monaco per la liberazione della propria anima.
Mahavir seguì queste stesse pratiche eroiche, noi
dovremmo fare altrettanto, se vogliamo liberarci
dalla schiavitù e dall’angoscia causate dai nostri
desideri meschini.
“I princìpi da ricordare sono cinque. Il primo è
la nonviolenza (ahimsa), che significa non fare
del male a se stessi o agli altri. Significa
evitare i pensieri dannosi, le parole dannose e le
azioni dannose. Implica il fatto di liberarsi da
ogni traccia di cattiva volontà e di rifiutarsi di
intrattenere pensieri negativi. In pratica
significa evitare il contatto con scene di
crudeltà, discorsi maligni e attività che possono
causare dolore. Per praticare la nonviolenza
dovreste sviluppare una disciplina che aumenta la
buona volontà, il pensiero positivo, il parlare
gentile e l’azione amorevole”.
Gurudev fece una pausa, quindi il mio compagno
monaco Tara, domandò: “Come possiamo imparare
queste qualità?”.
Gurudev rispose: “L’autocontrollo è la chiave,
pensa di meno, parla di meno e fa’ di meno. Sii di
più, medita di più, pratica il silenzio e servi
gli altri”.
Seguì una pausa più lunga. Mi domandavo se gurudev
avesse dimenticato che cosa stava per dire e,
impaziente, domandai: “Qual è il secondo
principio?”.
“Hai fretta? Hai già capito il primo principio?
Allora, il secondo principio è la verità (satya),
che significa comprendere la vera natura
dell’esistenza, inclusa la vera natura di se
stessi: accettare la realtà così com’è, essere
veritieri, cercare di vedere le cose come sono,
senza giudicarle buone o cattive. Significa ‘Non
mentire’ nel suo significato più profondo, non
avere illusioni riguardo a se stessi: quanto sei
importante o quanto poco lo sei, quanto sei buono
o quanto sei cattivo. Sospendi ogni giudizio.
Affronta la verità senza paura. Le cose sono come
sono, non sono né buone né cattive, né deboli né
forti. Queste sono tutte interpretazioni”.
Eravamo ancora novizi, eppure gurudev non pensava
che fossimo incapaci di comprendere i pensieri più
profondi. Egli stava seminando nelle nostre menti
i semi che avrebbero fruttificato nella pienezza
del tempo. Gurudev proseguì: “Una persona
veritiera va oltre la mente e oltre le parole per
realizzare l’esistenza così com’è. Vivere nella
verità significa evitare di manipolare le
circostanze, le persone o la natura per soddisfare
i propri desideri. Noi accettiamo che le altre
persone abbiano una propria verità perché non
esiste una verità unica, una verità che ogni mente
può comprendere e che ogni lingua può esprimere.
La verità è gemella di ‘non una sola conclusione’
(anekhant). La maggior parte delle religioni
evidentemente crede che vi sia un'unica verità e
che i saggi la esprimano in modi differenti. La
percezione giainista è che la realtà ha molti
centri. Ogni essere umano, ogni albero, ogni
fiore, è il centro di un universo infinito. Non
può esistere un solo centro, tanto meno una sola
verità. Nessun monismo”.
“Come posso sapere”, domandò il monaco Tara, “se
sono veritiero, dal momento che non esiste una
sola verità?”.
Gurudev rispose: “Essere veritiero implica essere
umile e aperto a nuove scoperte, pur accettando
che non esiste una scoperta finale o suprema. La
verità è quello che è. Mentalmente, verbalmente e
fisicamente noi accettiamo ciò che è così com’è,
ne parliamo così com’è e lo viviamo così com’è.
Non abbiamo bisogno di imporre la nostra opinione
su ciò che dovrebbe essere. Qualsiasi individuo o
gruppo che affermi di conoscere l’intera verità
afferma il falso”.
“Ma se diciamo la verità come noi la conosciamo,
non è forse possibile ferire gli altri?” domandai.
“Qui ci troviamo di fronte a un paradosso. Si deve
affermare la verità senza provare timore, ma si
deve anche imparare ad affermarla con garbo. Devi
essere onesto, aperto e trasparente. Non devi
nasconderti dietro delle banalità, né guardare
altrove quando ti trovi di fronte a una falsità.
Questa è l’abilità essenziale che, come monaco,
devi imparare. La tua verità dovrà emergere dal
pozzo profondo della tua compassione. Quando dici
la verità devi evitare le parole aspre, devi dire
la verità e tuttavia essere flessibile. Devi
essere pronto ad affrontare la possibilità di
esserti sbagliato. Devi essere preparato a
cambiare la tua percezione e il tuo punto di vista
se scopri di esserti sbagliato. Oltre a questo
devi riconoscere che gli altri hanno la propria
verità”.
Gurudev aveva l’abitudine di fare delle pause
durante gli insegnamenti, lasciandoci spazio e
tempo per assorbire il significato delle sue
parole. Egli attese finché fu pronto a parlare.
Disse: “Il terzo principio è non rubare (asteya).
Questo significa astenersi dall’acquisire cose che
non sono assolutamente indispensabili. È difficile
scoprire quali sono i vostri bisogni essenziali:
dovreste quindi valutare ciò che possedete,
esaminare e porre in discussione la vostra vita,
giorno dopo giorno, per scoprire quali sono le
vostre necessità. La distinzione tra necessità e
avidità potrebbe non essere evidente, e quindi è
indispensabile che la valutazione delle necessità
sia compiuta con onestà.
“Il commercio dei beni deve essere fondato sullo
scambio onesto, per mezzo del quale il lavoro, il
tempo e l’abilità delle due parti in causa devono
essere misurati in termini giusti e leali.
“Prendere prima di dare significa rubare: quindi,
in quanto monaci, prima di andare a elemosinare il
cibo, dovreste offrire insegnamenti, consigli e
benedizioni. Voi aiutate chi vive nella
confusione, nell’agitazione e nella depressione.
Dopo aver aiutato gli altri allora potrete
ricevere da loro”. Terminata la breve spiegazione
del terzo principio, gurudev parlò del quarto:
“Dovreste praticare la castità e l’astinenza (brahmacharya).
Brahma significa essere puro e charya significa
dimorare; dunque, castità significa dimorare nella
purezza. Questo è il principio dell’amore senza
lussuria. Per i laici castità significa fedeltà
nel matrimonio; per i monaci significa astinenza
totale. Qualsiasi pensiero, parola o azione che
avvilisca, degradi o offenda il corpo, è contrario
al principio della castità (brahmacharya). Il
corpo è il tempio della pura esistenza. Non si
dovrebbero compiere azioni che lo contaminano.
“La castità amplia la santità del corpo umano fino
al corpo della natura. Poiché Brahma, l’essere
puro, è il principio essenziale della natura da
lui permeata, la natura è il corpo di Brahma.
Riconoscere la sacralità dell’esistenza è vivere
fedeli alla natura, il che significa portarle
rispetto, consapevoli che la natura non è altro
che noi stessi”.
Gurudev chiuse gli occhi respirando lentamente per
alcuni minuti. Poi parlò ancora: “Il quinto è il
principio di non accumulare né possedere (aparigraha).
Non dovreste possedere nulla, ogni cosa appartiene
a se stessa. Prendi ciò di cui hai bisogno e
lascia il resto a se stesso. Se nessuno ammassa,
possiede o accumula alcuna cosa, non può esservi
scarsità. La natura è abbondante.
“Questa (aparigraha) è una modo per condividere.
Proprio come i membri di una famiglia unita che
condividono tutto senza senso di proprietà
privata, così voi non dovreste avere proprietà
privata.
“Aparigraha significa vivere semplicemente, senza
ostentazioni, senza far sfoggio di ricchezza.
L’abito, il cibo, l'arredamento dovrebbero essere
semplici, eleganti ma austeri. Semplici nei mezzi,
ma ricchi negli ideali. Se trascorri troppo tempo
intento ad accumulare e a curare cose materiali,
non avrai più tempo per la cura dell’anima.
“Il principio di aparigraha si applica anche alle
idee, alla conoscenza, alla filosofia e ai
pensieri religiosi. L’acquisizione di tale sapere
immateriale diventa materialismo spirituale ed
essi possono diventare gli attaccamenti più
vincolanti in assoluto. Mantieni la semplicità
nella vita esteriore e nei pensieri interiori”.
Dopo la consueta pausa gurudev domandò: “Avete
qualche domanda?”.
Io ero molto loquace con mia madre, ma molto
timido con gurudev, soprattutto quando voleva che
facessi una domanda. Il monaco Tara non era
timido. Egli s’inchinò a gurudev e domandò: “Non
saranno difficili questi ideali per le persone che
vivono in mezzo al mondo ordinario?”.
“Questi princìpi possono essere praticati in due
modi”, disse gurudev. “I monaci e le suore seguono
i princìpi più strettamente. Per esempio, i monaci
non coltivano il cibo, né cucinano. Noi non usiamo
alcun mezzo di trasporto, a parte le nostre gambe
– nemmeno una barca per attraversare un fiume. Se
non esiste un ponte noi non andiamo sull’altra
riva. Noi non tocchiamo denaro, non usiamo
candele, né elettricità, e non accendiamo mai un
fuoco. Noi facciamo tutto alla luce del sole e,
quando è notte, cantiamo e meditiamo
nell’oscurità. I monaci fanno un uso minimale
delle risorse materiali”.
“Alcuni monaci non indossano neppure abiti”,
dissi.
“Sì, è vero, sono i monaci dell'ordine
‘vestito-di-cielo’ (digambara)”, osservò gurudev.
“Essi usano le mani, messe a coppa, per
elemosinare il proprio cibo e non possiedono altro
che una scopa di piume di pavone per allontanare
gli insetti dal sentiero, o dal proprio corpo,
oltre a una ciotola di legno per l’acqua. Noi che
indossiamo vesti bianche (shwetambara), siamo meno
estremi. Noi utilizziamo due pezzi di tessuto
privi di cuciture, due coperte, tre ciotole e
alcuni manoscritti di testi religiosi”. Gurudev
proseguì: “I laici sono meno rigorosi. Tuttavia
anche per loro l’acquisizione di ogni singola
pentola, sedia, tavolo o altro bene, è una
decisione religiosa. Il materialismo non può
andare d’accordo con il Giainismo. I giainisti
limitano il tipo e la quantità di cibo che
consumano ogni giorno e il numero di indumenti che
indossano. Ogni giorno implica fare attenzione a
limitare i consumi. Per un giainista fare o non
fare una spesa è una decisione religiosa. E sempre
la vita del monaco o della suora il modello da
seguire. Un giainista è sempre intento a soppesare
‘l’avere’ contro ‘l’essere’ e la qualità della
vita è sempre messa prima del tenore di vita."
“Per quale motivo vivere in modo tanto austero?”,
domandò il monaco Tara.
“Questo stile di vita austero fu raccomandato da
Mahavir, la cui filosofia riguardava la giusta
collocazione dell’essere umano nello schema
naturale delle cose. Mantenere controllato il
numero della popolazione tramite la castità (brahmacharya),
mantenere limitato il consumo tramite la
non-acquisizione (aparigraha) sono pratiche che
preservano l’equilibrio del mondo. Quanto più
grande è l’equilibrio, tanto più grande è la
libertà dalla paura. Essere liberi dalla violenza,
dalla falsità, dal furto, dall’indulgenza e dalla
possessività rende veramente liberi”.
Tara s’inchinò due volte, poi disse: “Ti sono
grato, gurudev, per le tue risposte. Vorresti
gentilmente guidarci più avanti e dirci per quale
ragione dovremmo cercare la libertà?”.
Gurudev rispose: “Esiste un vasto mondo oltre la
portata dei cinque sensi e un viaggio in quel
mondo, il mondo dell’aldilà, il mondo del mistero
infinito può essere sperimentato soltanto quando
si è liberi dalla schiavitù delle meschine
passioni di questo mondo. Tu cerchi la libertà da
questo limitato mondo dei sensi per sperimentare
l’universo del mistero.
“Noi non saremo capaci di scoprire quell’universo
se scegliamo di dimorare unicamente e di farci
intrappolare nel mondo della gratificazione
sensuale, la quale cova insoddisfazione,
malcontento e delusione. Il mondo dei sensi, il
mondo delle idee e delle opinioni, il mondo della
politica e del commercio ci trattengono. La
libertà da questi mondi ci offre la possibilità di
andare oltre. “Rispetta la materia ma sii libero
dal materialismo. Essere ossessionati dalla
materia, non vedere altro che la materia, guardare
la materia come se esistesse soltanto per il
controllo, la comodità e il tornaconto dell’uomo è
materialismo. Valutare gli esseri umani in base ai
loro possessi materiali, valutare le persone per
ciò che ‘hanno’, piuttosto che per ciò che ‘sono’,
valutare la materia per l’uso che se ne può fare,
piuttosto che per ciò che è - anche questo è
materialismo. Essere nella morsa di una simile
ideologia materialista può rendere incapaci di
vedere il quadro completo. “Quando sei guidato
dallo spirito non hai alcun desiderio di
combattere per acquisire terre, proprietà, potere.
I giainisti non fanno guerre; per essere liberi,
essi aiutano il male a trasformarsi in bene. Per
risolvere i conflitti i giainisti utilizzano mezzi
pacifici. Essi perdonano chi segue la strada della
violenza e chiedono perdono a coloro che temono di
aver danneggiato. In questo modo i giainisti si
liberano dall’odio e dalla collera”.
Inchinandomi umilmente domandai: “Gurudev, è così
facile essere risucchiati dalla collera e dal
risentimento. Come possiamo liberarcene?”.
“Una volta l’anno” rispose gurudev, “abbiamo un
‘Giorno del Perdono’. In questa giornata tutti i
giainisti digiunano per ventiquattr’ore durante le
quali riflettono sull’anno trascorso e ricordano
gli atti nocivi che hanno commesso nei confronti
di altri esseri: terra, aria, fuoco, acqua,
animali e umani. Mentre ricordano ogni azione,
essi chiedono perdono. Quando tutte le azioni
nocive sono state ricordate, i giainisti vanno
dalle persone che credono di aver danneggiato o
offeso con pensieri, parole o azioni e dichiarano
di essere andati di persona per chiedere il loro
perdono: ‘Io ti ho perdonato, non serbo alcun
rancore nei tuoi confronti, non covo animosità ne
ostilità nel mio cuore, sono tuo amico e d'ora in
avanti non ho più nemici. Io ti chiedo di
perdonarmi nel medesimo spirito’. Quando queste
visite sono state compiute il giainista scrive una
lettera a tutti quelli che non può incontrare di
persona. Una volta che tutte queste azioni sono
state portate a termine, allora e solo allora, al
giainista è consentito di rompere il digiuno.
“È come fare tabula rasa. Liberandoti del passato
puoi vivere la vita come se fosse sempre nuova.
Quale sollievo poter respirare l’aria della
libertà!”.
Tutti ci inchinammo a gurudev, e così si concluse
l'insegnamento di quel giorno.
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Dichiarazione di dipendenza:
“Siamo qui per svegliarci dall’illusione della
nostra condizione di separazione.” (Thich
Nhat Hanh)
LA DICHIARAZIONE D’INDIPENDENZA AMERICANA nel 1776
può essere stata giusta nel suo tempo e nel
contesto
dell’epoca. In tempi di
schiavismo, colonialismo e imperialismo, è
giusto e opportuno che gli
esseri umani vittime della colonizzazione si
battano per la loro dignità e reclamino libertà
dall’oppressione.
Ma ora è l’alba dell’era dell’Ecologia e sta
nascendo una nuova
consapevolezza. Sulla scia di
molteplici crisi ambientali, noi stiamo
riscoprendo l’antica saggezza che riconosce la
nostra dipendenza gli
uni dagli altri e dalla
natura.
Noi dipendiamo dalla Terra. La rivoluzione
industriale, le
scoperte scientifiche e le
invenzioni tecnologiche hanno creato
l’illusione
che noi, la razza umana, siamo i sovrani, che
possiamo
appropriarci delle leggi di natura e fare
di esse ciò che vogliamo.
Siamo i padroni della
creazione; siamo a capo del mondo naturale – le
sue foreste, i suoi fiumi, montagne, pesci,
fossili, animali, uccelli, il suo petrolio, gas,
carbone.
Noi abbiamo il dominio della terra, dell’oceano e
del cielo. Possiamo
spaccare l’atomo, progettare i
geni e camminare sulla luna.
Possiamo continuare a
distruggere le regioni selvagge, rendere s
chiavi
gli animali, costruire dighe sui fiumi e svuotare
le riserve di
energia accumulatesi nel giro di
millenni.
Al nostro potere non ci sono limiti. Questo è il
massimo
dell’arroganza umana. Il risultato è che
abbiamo ridotto
l’abbondante ricchezza di doni
naturali ad una condizione di scarsità. Il tempo è
infinito, e tuttavia noi l’abbiamo fatto diventare
una merce limitata. Abbiamo ridotto
la Terra, il
nostro pianeta, la nostra casa, in un campo di
battaglia
dove noi siamo in concorrenza e in lotta
per materie prime, mercati
e potere.
ORA CI TROVIAMO ad un bivio. Possiamo continuare a
seguire
lo stesso cammino. Possiamo continuare a
vivere nell’illusione della
perpetua crescita
economica. Possiamo continuare a mantenere
la nostra dipendenza dalla
tecnologia. Possiamo investigare la
tecnologia genetica, robotica,
nano- e nucleare. Possiamo
prendere la strada che
conduce alla rovina. Possiamo finire
nell’abisso.
Oppure possiamo rivolgerci all’ecologia: il
cammino
dei valori, etici ed estetici, il cammino
dell’amore e della
venerazione per la natura, il
cammino della scienza che
accomuna. Possiamo
abbandonare la conoscenza che ci permette di
sopraffare la Terra.
Come i cinesi che nel Medioevo scoprirono la
polvere da sparo, ma
decisero di usarla soltanto
per i fuochi d’artificio, possiamo
appellarci alla
saggezza e dire che abbastanza è abbastanza.
Per sopravvivere e vivere una vita buona abbiamo
bisogno di
umiltà. Veniamo dalla terra e alla
terra ritorneremo. Siamo parte
della natura, né al
di sopra di essa né separati.
La natura è la sorgente di tutta la vita: la
sorgente della gioia e
delle festività, la
sorgente delle arti e dell’immaginazione,
la
sorgente della poesia e dell’ispirazione, la
sorgente dei talenti e
dell’inventiva.
La Terra ci offre l’esperienza di tempo e spazio,
ci dà le stagioni e i
cambiamenti. Noi lavoriamo e
ci riposiamo in risposta ai cicli della
terra.
La Terra ci dona un senso dei luoghi, da cui noi
deriviamo il
nostro senso d’identità e di
appartenenza.
La Terra è la sorgente della musica, della danza e
del piacere. È la
sorgente della bellezza, della
saggezza e dell’intuizione. Per la nostra
esistenza ed esperienza, per la nostra felicità e
salute, per il
nostro cibo e nutrimento, noi
dipendiamo dalla Terra.
Dipendiamo dall’amore dell’amato, dalla bellezza
del bello e dalla
bontà del buono. Abbracciando la
vulnerabilità e l’umiltà,
dichiariamo la nostra
totale dipendenza dalla Terra e gli uni dagli
altri: Tu sei, quindi io sono.
Capitolo 26, dal libro Tu sei qui quindi io sono
di Satish Kumar
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indice:
Sommario
Ringraziamenti
Prefazione
Prima Parte: incontri significativi
1 Imparare dalla natura
2 Una mente indù
3 Il principio materno
4 La gioia del fare
5 Andando a Ladnun: l’incontro con il guru
6 Una visione giainista della realtà
7 La pratica del Dharma
8 Le cinque pratiche
9 Il sé e il mondo
Seconda Parte: cercando la completezza
10 Ritorno al mondo (camminando con Vinoba Bhave)
11 Suolo, anima, società
12 Imparare dal Sole
13 La verità è una terra senza sentieri (conversazione con
J. Krishnamurti)
14 Nessuna nascita, nessuna morte
15 Razionalismo e nonviolenza (incontro con Bertrand
Russell)
16 Giustizia prima dell’ordine (incontro con Martin Luther
King)
17 Povertà e progresso (rivelazioni da E.F. Schumacher)
Terza Parte: viaggi in India
18 Islam, una religione di pace
19 Una terra di contrasti
20 Templi delle delizie
21 Una cultura artigiana
22 Essere un pellegrino
23 Sulle orme di Gandhi
24 Semi di rinnovamento (visita a Vandana Shiva)
Quarta Parte: una filosofia delle relazioni
25 Tu sei, dunque io sono: un’ecologia reverenziale
26 Una dichiarazione d’interdipendenza
Note
Indice
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Satish Kumar nasce nel 1936 nello stato
indiano del Rajasthan. All'età di nove anni rinuncia al mondo
per unirsi alla fratellanza errante dei monaci gainisti.
Dissuaso dal suo cammino da una voce interiore, a diciotto
anni è promotore della riforma della terra, e lavora per
trasformare in realtà la visione gandhiana di un'India
rinnovata e di un mondo pacifico.
Infiammato dall'esempio di Bertrand Russell, Satish
intraprende un pellegrinaggio per la pace e percorre, a piedi
e senza denaro, 13000 chilometri, viaggiando dall'India
all'Europa all'America e attraversando deserti, montagne,
tempeste e nevi.
Nel corso di questa avventura, oltre a essere rinchiuso in
prigione in Francia e a vedersi una pistola carica puntata in
faccia in America, Satish consegna pacchetti di 'tè per la
pace' ai governanti delle quattro potenze nucleari.
Nel 1973 Satish si stabilisce a Londra e assume l'incarico di
editore capo della rivista Resurgence, di cui è tutt'ora
editore. Satish è lo spirito guida di un certo numero di
progetti ecologici, spirituali ed educativi con sede in Gran
Bretagna.
Satish ha fondato la Small School di Hartland, una scuola
secondaria a stampo pionieristico che accoglie nel proprio
curriculum valori ecologici e spirituali. Il 1991 è l'anno
della fondazione dello Schumacher College, un centro
residenziale internazionale per lo studio dei valori ecologici
e spirituali di cui egli è Direttore Didattico.
All'età di cinquant'anni, seguendo la tradizione indiana,
Satish intraprende un nuovo pellegrinaggio: ancora una volta
senza portare con sé denaro, raggiunge a piedi i luoghi santi
della Gran Bretagna - Glastonbury, Canterbury, Lindisfarne e
Iona. Incontrando vecchi amici e stringendo nuove amicizie
lungo il cammino, Satish compie questo pellegrinaggio come
celebrazione dell'amore per la vita e per la natura.
Nel luglio del 2000 l'Università di Plymouth conferisce a
Satish Kumar la laurea ad honorem in Educazione.
Nel luglio del 2001 Satish riceve un'altra laurea ad honorem
in Letteratura dall'Università di Lancaster; nel novembre
dello stesso anno gli viene conferito il Premio Internazionale
Jamnalal Bajaj per la promozione dei valori gandhiani
oltreoceano.
La sua autobiografia, Senza Destinazione, è stata ristampata
molte volte e in numerose edizioni. Pubblicata negli Stati
Uniti da William Morrow, è uscita nel 2000 con il titolo di
Sentiero senza destinazione.
"Il grande profeta dell'Inghilterra, William Blake, scrisse
che 'tutto ciò che vive è sacro'. E' proprio questo
l'insegnamento principale di Gaia, la nuova visione della
Terra come organismo vivente a sé stante. E' nostra grande
fortuna avere Satish Kumar come insegnante di questa nuova
comprensione della verità, tanto nuova quanto antichissima,
dell'unica vita indivisibile che ci sostiene. In Occidente,
nel mondo materialista moderno, dobbiamo reimparare alcune
verità, ormai dimenticate. Dal suo retroscena tradizionale
giainista - ma anche dall'India moderna di Mahatma Gandhi, di
Vinoba Bhave e di esempi viventi come Vandana Shiva - Satish
porta un messaggio che, nel ventunesimo secolo, risveglia
l'interesse di una generazione ansiosa di scoprire uno stile
di vita capace di offrire guarigione alla Terra e al suo
popolo".
- Kathleen Raine, poetessa e studiosa di Blake
"Ora che l'esclusione economica causata dalla globalizzazione
e l'esclusione culturale causata dal terrorismo e dal
fondamentalismo stanno distruggendo il tessuto delle società,
ora che la nostra esistenza collettiva è distrutta dalla
cultura del 'noi' contro 'voi' che tratta 'l'altro' come un
nemico e crea odio e paura, Satish Kumar ci offre il dono di
So Hum -'Tu Sei, dunque Io Sono'. Il viaggio mentale e le
profonde comprensioni di Satish sono una fonte d'ispirazione
per tutti perché aiutano a crescere dalla violenza alla
nonviolenza, dall'avidità alla compassione, dall'arroganza
all'umiltà".
- Vandana Shiva, autrice di Staying Alive
"Satish Kumar è un seminatore di ghiande".
- Jonathon Porritt, autore. Co-fondatore e Direttore
Didattico di Forum per il Futuro
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