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Da
una legge sacra di Cirene appare che la parola
Kolossos significava "statuetta aniconica di argilla,
legno o cera rappresentante la copia di un individuo, maschio o femmina".
Il vocabolo appartenente ad una lingua pre-greca di ceppo asiatico,
significò, ancora in età pre-ellenica, non solo, statuetta di valore
magico, ma statua vera e propria. Con tale significato, fu acquisito dal
dialetto dorico, quando i Dori colonizzarono le isole e l'Asia Minore. Per
tale ragione troviamo attribuito questo termine alla statua gigantesca di
Helios che la città dorica di Rodi
innalzò in ricordo della vittoriosa resistenza all'assedio di
Demetrio Poliorcete.
La statua venne costruita da Chares di Lindo,
scolaro di Lisippo. Dopo che venne eretta il vocabolo
kolossos indicò solo le statue di grandissime dimensioni
ed essa venne annoverata tra le sette meraviglie del mondo antico.
L'iscrizione a dedica è conservata nelle fonti scritte e forse si può
ricostruire l'epigramma dell'artista. La costruzione dell'opera durò 12
anni, sicché si può pensare che l'opera fu eretta nel 290 a.C. a
Helios. Pare che essa fu elevata sotto Seleuco
Nicatore, data che non sposta tale cronologia.
Dal
racconto di Filone di Bisanzio riguardante la costruzione
della statua, si apprende che essa era alta 32 metri e che
l'artista, dopo aver infisso solidamente con grossi perni di ferro i piedi
di bronzo della statua in una base di marmo, elevò il resto del corpo a
strati avendo cura di preparare, nell'interno della statua,
un'intelaiatura di ferro, formata da barre orizzontali e di montanti, che
seguivano la forma della statua e che erano fissati con perni alle pareti
di essa.
Lo scheletro di ferro era stabilizzato da un riempimento fatto con blocchi
di pietra. Per la fusione, sul posto, delle parti bronzee era stato
elevato tutto intorno un terrapieno. Non è escluso che essa fosse di legno
e che la quantità di assi e di travi occorrenti fosse prelevata dalla
colossale torre d'assedio, l'Elepoli, alta 40 metri,
impiegata da Demetrio Poliorcete.
Negli
anni 224 e 223 a.C. il Colosso di Rodi crollò in seguito
ad un terremoto, spezzandosi alle ginocchia. Secondo Strabone non fu
restaurato per un divieto sacro. I pezzi si trovavano ancora
distesi a terra nel 653 d. C.; furono sottratti in quel periodo dagli
Arabi durante una loro scorreria e venduti ad un
ebreo di Emesa. Durante il dominio dei Cavalieri di Rodi
e nel Rinascimento, nacque la leggenda che il
Colosso di Rodi sorgesse nel porto minore di Rodi e che le navi
passassero sotto le gambe divaricate della statua; ricostruzione non
accettabile per considerazioni stilistiche e tecniche. Migliore è
l'ipotesi secondo cui il Colosso di Rodi sorgesse là
dov'è oggi il "forte di S. Nicola", eretto dai
Cavalieri Giovanniti.
Non
si sa se essa reggesse una fiaccola o una lancia. L'impostazione era
verticale perchè, date le dimensioni, la statica doveva essere
sicurissima. E' pensabile che nel rendimento dei lineamenti del volto e
nell'espressione psicologica nel Colosso di Rodi,
Chares si sia ispirato all'immagine del Sole sulla quadriga
eretta per gli abitanti di Rodi da Lisippo.
Le immagini di Helios nelle monete rodie non ci
forniscono elementi per la ricostruzione dell'immagine lisippea,
perchè dal primo conio del 408 a.C. si susseguirono varianti non tanto
differenziate da poter riconoscere un nuovo tipo, il quale riproducesse il
volto dell'Helios di Lisippo. La
scultura di Chares, con ogni probabilità, aveva intorno
al capo una fitta raggiera, come altre immagini del sole scoperte a
Rodi.
Fonte: Libercogitatio
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