IL TARANTISMO TRA SCIAMANESIMO E MITO DELLA DEA MADRE

di Leonella Cardarelli

 

COS’E’ IL TARANTISMO

Il tarantismo è un fenomeno storico religioso pugliese (precisamente salentino) che ha sempre destato molta curiosità da parte degli antropologi, in primis se ne è degnamente occupato l’etnologo napoletano Ernesto De Martino. Il termine ‘tarantismo’ deriva da ‘Taranto’, città in cui si ritiene sia nato questo rito-ballo esorcizzante, che in verità si fonda su riti e credenze antichissimi che affondano le loro radici nello sciamanesimo. La credenza vuole che il protagonista di questo rito sia una donna (ma talvolta erano anche gli uomini) che viene morsa da un ragno (tarantola o taranta) e per liberarsi dal veleno iniettato dal ragno deve sottoporsi al rito. Si tratta di un esorcismo a carattere musicale in quanto la donna guarisce attraverso la musica e la danza (come nelle danze sciamaniche). Il tarantato presenta disturbi molto simili a quelli dell’epilessia e dell’isteria, nonché un offuscamento dello stato di coscienza e turbe emotive. Al ritmo della pizzica o tarantella (musica dal ritmo sfrenato, detta tarantolata) il tarantato danza e canta per molte ore finché cade a terra sfinito: secondo la credenza popolare, infatti, mentre il tarantato consuma le proprie energie nella danza il ragno si consuma e soffre fino a morire. Alla fine della danza il tarantato fa il gesto di schiacciare il ragno.

IL RITUALE

Questo rituale  coniuga sia elementi pagani che cristiani. Quando il tarantato avverte i primi sintomi (sintomi che sono reali) chiede che vengano i musicisti a casa o nella piazza del paese a suonare la pizzica. Oltre alla pizzica si suona anche il tamburello, il violino, l’organetto, l’armonica e la chitarra. L’orchestra ha a disposizione dodici melodie per ogni tipo di taranta e  le accenna fino a quando il tarantato trova quella giusta, cioè la musica che lo fa reagire ballando.  Il soggetto si scatena quindi in una lunga danza e in questa prima fase si cerca di capire da quale ragno è stata morsa la vittima (alcune volte si poteva venir morsi anche da scorpioni o serpenti, infatti con il termine tarantola si identificano un po’ tutti i ragni velenosi e gli animali striscianti in generale). Nella seconda fase si cerca di individuare il colore del ragno: il tarantato viene attratto, in modo violento,  dalle vesti o  dai fazzoletti delle persone circostanti o dagli oggetti e il colore dell’oggetto da cui viene attratto si riteneva che corrispondesse a quello del ragno. Nella terza fase l’individuo si abbandona a convulsioni, sfoghi, assume atteggiamenti in cui si identifica con la taranta stessa (strisciando sul dorso) o se ne allontana (alzandosi in piedi e saltellando)  e alla fine fa il gesto di schiacciare simbolicamente il ragno per indicare la sua guarigione.

Durante il rituale la donna può comportarsi pubblicamente da isterica, arrivando a perdere la propria identità. C’è quindi una morte simbolica seguita da una rinascita a vita nuova, che è la guarigione.

Questi rituali, per funzionare, devono essere condivisi da tutto il gruppo. Essi fanno parte di un universo mitico magico religioso che deve essere condiviso da tutta la comunità di riferimento. E’ tutto il gruppo che permette alla donna di guarire, oltre che la danza. Il gruppo sostiene il rituale, ci crede, si ferma nella sua attività per tutto il tempo necessario al rito, il gruppo si modifica in rapporto al soggetto per farlo guarire. Se la donna si sente alienata, il gruppo le permette di esternare il suo dolore durante il rituale, di accettarla nel gruppo e di aiutarla. In questo modo le donne guarivano e non venivano considerate “pazze”. Purtroppo in seguito queste cerimonie furono proibite e le donne che non potevano guarire con le tarantelle sono finite in convento, in manicomio o peggio ancora in galera.

 

LA MUSICOTERAPIA E LO SCIAMANESIMO

La tarantolata è  una musicoterapia a tutti gli effetti, anzi più precisamente si tratta di una terapia coreutica-musicale. La musica ed il ballo sono terapeutici (e questo lo sostiene anche l’Ayurveda) poiché funzionano come catalizzatori degli stati alterati di coscienza ed accompagnano la crisi verso un riscatto che segna la guarigione. Oltre a curare le malattie, le danze, secondo molti popoli,  proteggono dagli spiriti maligni che causano le malattie e quindi rappresentano anche una forma di prevenzione.

Inoltre “quando lo strumento che dà origine al suono è ornato di raffigurazioni speciali, come immagini religiose o segni magici, allora le vibrazioni possono acquistare potere terapeutico”. [1]  In  questo caso lo strumento per eccellenza che dà origine al suono è il tamburo. Il tamburo è lo strumento sciamanico per antonomasia in quanto cagiona lo stato di trance. Tamburo = trance = sciamanesimo. Il tamburo è noto per il suo complesso simbolismo e per le sue virtù magiche. Secondo una credenza lo sciamano costruisce il tamburo tramite un ramo dell’Albero cosmico, che si trova al Centro del mondo, ove lo sciamano si reca durante i suoi sogni iniziatici. L’Albero cosmico, da cui si costruisce il tamburo, rappresenta la comunicazione tra cielo e terra. Anche il tipo di legno con cui verrà costruita la cassa del tamburo dipende dagli spiriti o da una volontà trans-umana. E’ grazie al tamburo che lo sciamano viaggia. E’ grazie al tamburo che il tarantato guarisce.  A livello fisico, il ballo aumenta la formazione di adrenalina ed endorfina, che portano buonumore, euforia ed entusiasmo. In dosi eccessive, però, questi due ormoni possono causare eccitabilità ed aggressività. Non a caso la danza veniva utilizzata prima di attacchi di guerre.

Virdung in Musica generale , nel 1511, scrive che a suo parere i tamburi furono inventati dal diavolo. In quel periodo infatti, a causa del sopravvento della Chiesa, i tamburi e le danze ebbero vita difficile e sparirono molti strumenti musicali, tra cui i tamburi che per via delle loro dimensioni non si potevano nascondere facilmente. Nonostante ciò molti canti e balli riuscirono a sopravvivere, ad esempio nei cimiteri si è ballato fino al Settecento. Nei cimiteri si ballava sovente nudi e con molte risate e salti, al fine di scacciare gli spiriti maligni. Per rafforzare il potere della magia contro la morte si usava ballare all’indietro ma vi sono anche altre due tipologie di danza: la danza estatica e la danza in cerchio (che può essere oraria o antioraria). La prima veniva utilizzata primariamente per entrare in comunicazione con il mondo dei morti e degli spiriti (questo tipo di rituale è a tutt’oggi presente nel sufismo musulmano dei dervisci danzanti  e nella macumba brasiliana). La seconda rappresenta un momento particolare  della ritualità della natura medievale ed è utilizzata principalmente a scopi magici, infatti la Chiesa ha perennemente cercato di combatterla.

Oltre alla tarantolata salentina, in Italia abbiamo anche l’argia oristanese, che prende il suo nome da un ragno. L’argia è un ragno temutissimo e si diceva che il morso di questo ragno, talvolta letale, facesse cadere le persone in una sorta di possessione demoniaca, per riprendersi dalla quale si facevano dei riti musicali e magici. L’argia oristanese è  fortemente sessualizzata e molto complessa. Essa è meno nota e meno studiata del tarantismo salentino ma è davvero molto interessante dal punto di vista antropologico (vedere sezione ‘per approfondimenti’ a fondo articolo).


TARANTISMO, SIMBOLI  E DEA MADRE

La tarantola è un ragno  in realtà  innocuo. Si sostiene infatti che dietro il tarantismo ci fosse un bisogno della donna di ricevere maggiori attenzioni dal proprio marito o di riscattarsi dopo un anno passato solo ed esclusivamente a lavorare. I giorni della tarantolata erano dei giorni speciali, in cui alla donna era concesso di fare tutto ciò che voleva, era una sorta di carnevale in cui le classi subalterne si riscattavano dalla precarietà delle condizioni in cui vivevano.
Ma se il ragno era innocuo ed era “solo una scusa” per partecipare alla tarantolata viene spontaneo chiedersi: perché proprio il ragno? Come summenzionato, oltre alla tarantola, l’animale ‘incriminato’ poteva essere anche uno scorpione o un serpente, vale a dire animali striscianti. Perché proprio questi animali? Cosa significano?

Il ragno è un animale carico di simboli positivi e negativi (positivi per la sua laboriosità, negativi per il morso, il pizzico e il veleno) presso moltissime culture. In India è considerato simbolo dell’ordine cosmico per via della ragnatela precisa che riesce a creare, la quale simboleggia l’emanazione dell’intelletto divino. Nella mitologia africana e Cherokee  il ragno è il portatore del fuoco alla civiltà umana. In Cina è simbolo di buon auspicio (può significare il ritorno del “figliol prodigo”). Nello sciamanesimo il ragno può essere uno spirito guida  che appare in sogno allo sciamano, ma non solo! La medicina popolare attribuisce al ragno molti poteri taumaturgici e terapeutici. Nell’Islam i ragni bianchi erano considerati buoni, quelli neri cattivi. In Occidente è maggiormente diffusa la valenza negativa di questo insetto a causa della paura e della repulsione che esso suscita. Questa paura, però, nonostante risulti più radicata in Occidente, è atavica e deriva dalla consapevolezza che il morso del ragno è potenzialmente dannoso e velenoso. Il ragno è considerato anche un simbolo di femminilità, precisamente rappresenta la sottile malizia femminile. Personalmente credo però che un ragno velenoso e che pizzica, come nel caso del tarantismo, sia da considerarsi più un simbolo fallico che un simbolo femminile.

Non è quindi un caso se la tarantola talvolta poteva essere identificata anche con un serpente, simbolo fallico per antonomasia (ma può essere anche  un simbolo femminile a causa del ventre divorante). Qui in Occidente il serpente è legato a Satana e quindi, come il ragno, ha presso i nostri popoli una valenza perlopiù negativa.

Cosa significa dunque il ragno nel rito del tarantismo? E per quale ragione erano le donne ad essere le quasi esclusive protagoniste? Ritengo che il tarantismo sia legato alla dualità maschile-femminile e che affondi le sue radici nel mondo della Dea Madre. Il ragno pizzica la donna e le inietta il suo veleno. La donna, per liberarsi da questo veleno, deve ballare e concedersi dei giorni di pausa e di ballo per tornare “normale”. Letto in chiave simbolica questo rito è un riscatto della donna sulla sua condizione non solo contadina e subalterna, ma volendo anche sociale e sessuale. E’ un riscatto del femminile sul maschile, della Dea Madre, ormai svalutata da una società patriarcale e maschilista, da religioni che mettono in primo piano il Dio Padre che si è fatto UOMO e che hanno dimenticato l’immenso valore e potere della femminilità. Neumann sostiene infatti che “il rischio dell’umanità consiste oggi, in parte, proprio nello sviluppo cosciente unilaterale e patriarcale dello spirito maschile, non più equilibrato dal mondo ‘matriarcale’ della psiche”.2

La Grande Madre non è un’entità concreta e fisica, bensì un archetipo universale

 

GEOGRAFIA ED EVOLUZIONE DEL TARANTISMO

Il tarantismo era presente in Puglia sin dal Medioevo, ebbe il suo culmine nel XVIII secolo e iniziò a declinare nel secolo successivo. Era diffuso non solo nel Salento ma anche nelle province di Matera e  Bari. La Chiesa, che non approva riti pagani, ha cercato di dare una spiegazione cristiana a questo rito tramite il culto di San Paolo. San Paolo, che secondo la tradizione è sopravvissuto al veleno di un serpente dell’isola di Malta, è stato scelto come protettore di tutti coloro che vengono pizzicati da un animale velenoso. I tarantati venivano sovente condotti nella chiesa di San Paolo a Galatina (LE) a bere l’acqua sacra del pozzo della cappella. Questo tentativo di cristianizzazione però non sortì grandi effetti poiché le donne durante il rituale esibivano anche comportamenti osceni e San Paolo cominciò ad essere associato alla sessualità. Con il passare del tempo il tarantismo si è andato estinguendo ed è sopravvissuto solo in determinate zone salentine. Oggi si celebra la messa esorcismo il 29 giugno nella chiesa di San Paolo a Galatina ma naturalmente si sono estinti molti momenti tradizionali, come la partecipazione contadina collettiva (oggi ci sono solo alcuni curiosi che vengono a vedere) e la durata stessa del rito, che attualmente dura solo pochi minuti anziché molte ore o giorni interi.

leonellacardarelli@virgilio.it

 


Bibliografia

Eliade, M. (1974) Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Ed. Mediterranee, Roma

Fabietti, U; Remotti F. (a cura di) (1997) Dizionario di antropologia, Ed. Zanichelli, Bologna

Neumann, E. (1981) La grande madre, Ed. Astrolabio-Ubaldini, Roma

Scarpa, A. (1988) Pratiche di etnomedicina, Ed. Red, Como

Zucca, M. (2001) Antropologia pratica e applicata, Ed. Ellissi, Napoli

Zucca, M. (2004) Donne delinquenti, Ed. Simone, Napoli

Dizionario dei simboli (1993), Ed. Piemme, Casale Monferrato (AL)

 

Articoli

Bonvicini, F. La terra del rimorso, in http://www.ipgp.jussieu.fr/~tarantola/Files/Familiar/Tarantola_Salentina/index.html

E.S. (a cura di) Il tarantismo, in http://www.trovasalento.it/informazioni/il_tarantismo/index.htm

 

Webgrafia

http://it.wikipedia.org/wiki/Ragno_(immaginario)

http://wikipedia.it/wiki/wiki/Speciale:Ricerca?search=tarantismo&go=Vai

 

Per approfondimenti

De Martino, E. (1997) Il mondo magico, Ed. Boringhieri, Torino

De Martino E. La terra del rimorso (1996) Ed. Il Saggiatore, Milano

De Martino, E. Sud e magia (2000)  Ed. Feltrinelli, Milano

Farci, O. (2005) Argia. Rito, mito, ritmo, canto, in  http://www.atelierdimusica.it/musicoterapia/ottavioFarciEstrattoTesi.pdf

Romanazzi, A. (2006) Il ritorno del Dio che balla, Ed. Venexia, Roma


 

[1] Scarpa A. (1988) pag. 37

2 Neumann, E. (1981) pag. 14

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