EVOLUZIONE E KARMA
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Universo significa andare verso l’Uno.
Questa definizione, in apparenza semplicistica, implica che il Vivente, per dirla con gli Egizi, cioè tutto ciò che vive, abbia la tendenza a ricongiungersi all’Uno da cui ab origine proviene. Questa spinta evolutiva, termine che usiamo non soltanto in senso biologico, ma anche e soprattutto in senso psichico e spirituale, ha consentito nel corso degli eoni alla materia vivente di organizzarsi in termini sempre più complessi e funzionali al fine di evolvere in forme più adatte allo scopo.
Esseri monocellulari si sono aggregati in organi ed organismi più completi e successivamente in forme le cui componenti, differenziandosi, si sono specializzate in funzioni specifiche dando vita ad esseri viventi in grado di rapportarsi con l’ambiente nelle condizioni, le più varie, adattandosi a sopravvivere e prosperare negli habitat più estremi che la vita sulla terra, o nell’acqua consentiva ad essi.
In conclusione, la spinta evolutiva è la forza che rende ogni essere capace di organizzarsi per la sopravvivenza ed a migliorare le sue prestazioni al fine di evolvere in forme sempre più perfette e funzionali. Questa immensa forza è alla base della Vita sulla terra, è presente in ogni entità di natura e, se si può dire, funziona automaticamente fino ad un certo punto.
Nell’uomo, il percorso evolutivo cambia modalità e cessa di agire in modo automatico. L’uomo è la forma di vita più perfetta perché è dotato di coscienza e per ciò stesso è in grado di operare un salto di qualità che le altre forme non hanno la possibilità di operare. Da questo momento in poi ogni ulteriore evoluzione dell’uomo potrà essere orizzontale, cioè nella vita, e poco importa che sia di tipo intellettuale, scientifico, tecnologico, filosofico, oppure verticale, vale a dire in senso spirituale, in grado quindi di conseguire lo scopo per cui si è biologicamente organizzato ed evoluto.
La consapevolezza, o coscienza, postula per il prosieguo dello sviluppo l’apporto della volontà, e l’esercizio della volontà non sempre è semplice perché inderogabilmente porta a scelte che spesso vanno contro l’interesse materiale di chi la esercita; ma questo è il percorso obbligato dell’uomo che vuole proseguire il suo percorso evolutivo.
Da questo momento in poi nulla avviene per forza d’inerzia bensì con il concorso della consapevolezza e l’esercizio ferreo della volontà. Gli atti volitivi tendenti all’evoluzione spirituale dell’uomo, sempre frutto di sacrifici e di rinunzie sul piano dell’egocentrismo e della soddisfazione dei bisogni meramente materiali, lentamente operano dei mutamenti nel grado di consapevolezza dell’individuo e provocano l’espansione della coscienza.
L’uomo in quanto dotato di coscienza e volontà è responsabile di ogni sua azione nei confronti di se stesso, degli altri e dell’ambiente che lo circonda, ed in base ai suoi comportamenti progredisce, o regredisce, sul piano della sua evoluzione personale.
Questo meccanismo di cumulo delle azioni viene chiamato karma, la legge che in base alla qualità delle azioni compiute in una vita prepara gli eventuali correttivi, nella vita stessa e nelle altre al fine di equilibrare l’individuo per consentirgli la continuazione del suo sviluppo spirituale. A questo punto scattano i meccanismi delle Religioni relativi ai premi o ai castighi conseguenti ai comportamenti tenuti nella vita, l’Inferno il Paradiso, la pesatura delle anime etc…
Meccanismi farraginosi che postulano la presenza di giudici che censurando gli atti compiuti stabiliscono castighi e premi dividendo le anime in buone e cattive. Certo le religioni con le loro minacce costringono l’uomo a tentare di comportarsi nella maniera meno ferina possibile, e, in questo senso hanno un ruolo indispensabile quali equilibratrici sociali, in grado di aiutare lo sviluppo e la convivenza più o meno pacifica tra gli uomini.
La legge del karma dispiega tutta la sua efficienza nella semplicità più assoluta.
Non giudici, non maiali pronti a mangiare l’anima prava, non demoni con forconi né fiamme eterne: il trapassato, trascorso il tempo necessario a riprendere possesso della dimensione di là, esamina gli eventi della vita appena, si rende conto degli errori eventualmente commessi, dei progressi compiuti e dei correttivi da applicare alla prossima vita al fine di superare gli ostacoli per continuare il suo cammino verso l’Uno. Il concetto del giudizio supremo davanti a un giudice più o meno severo implica una mancanza di comprensione del concetto di divinità, che in questo caso si arrogherebbe il diritto di pesare le azioni del defunto in funzione di regole morali che oltre ad essere riduttive, potrebbero essere differenti in base al tipo di religione professato in vita, dando vita a una serie di giudizi difformi e conseguentemente a risultati non oggettivi.
E se Dio fosse semplicemente la somma, il succo delle intelligenze, delle sensibilità, delle iterazioni di tutte le infinite forme di vita dell’Universo?...
In questo caso cadrebbero tutti gli apparati burocratico-giudiziali e l’uomo, recuperata la dignità di parte di un Tutto immenso, presa coscienza della sua co-divinità semplicemente sceglierebbe i correttivi da applicarsi per la vita successiva al fine di riparare agli errori della vita di prima restaurando le condizioni più adatte a consentirgli di proseguire più speditamente il suo cammino verso l’Uno.
Unica testimone la Dea Maat: Giustizia e Verità cioè il concetto assoluto di una oggettività senza sconti e giustificazioni.
Carmelo Coglitore gpcc.due@virgilio.it |
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