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ERMETISMO
"E' vero senza menzogna, certo, assolutamente veritiero.
Ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto,
e ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso,
per fare il miracolo di una cosa unica.
E come tutte le cose sono state prodotte
e sono venute da uno per la mediazione di uno,
così tutte queste cose sono provenute
da questa cosa unica per adattamento. Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre,
il vento l'ha portato nel suo grembo; la terra è la sua nutrice.
Il padre di tutto, il telesma di tutte le cose è qui.
La sua forza o potenza è intera se è convertita in terra. Tu separerai la terra dal fuoco, il sottile dallo spesso,
dolcemente, con grande industria. Esso sale dalla terra al cielo, e di nuovo ridiscende in terra,
e così riceve la forza delle cose superiori e inferiori. Tu avrai per questo mezzo la gloria di tutto il mondo
e per questo ogni oscurità fuggirà da te. E' la forza forte d'ogni forza perché essa vincerà
ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa spessa. Così il mondo è stato creato.
Da questa (forza) nasceranno mirabili mutamenti, il mezzo dei quali è qui (rivelato). E' per questo che sono stato chiamato Hermes Trismegistos,
colui che possiede le tre parti della Filosofia del mondo intero.
Ciò che ho detto dell'operazione del Sole è perfetto, è compiuto".
Nel XVII e XVIII secolo, l'iconografia ermetica si arricchisce con immagini simboliche di provenienza sia neopagana rinascimentale sia da una sintesi proposta dai libri di emblemi e di imprese. Ma cosa indicano esattamente questi ultimi termini? Nel 1531 esce un lavoro, ad opera di Andrea Alciato[1] dal titolo "Emblemata" (Emblematum Liber), in cui compaiono per la prima volta questi "accostamenti": da un lato c'è una figura, un'immagine (chiamata "corpo") che ha valenza allegorica, dall'altro delle parole che esprimono un motto, (chiamate "anima"). Possono essere accompagnate da brevi frasi in versi o prosa che tentano di dare una spiegazione di tale accostamento. In genere sono costituiti da fini incisioni che le ornano (in genere sono conosciuti più per queste ultime che per altro). L’intelligenza deve portare a superare l’apparente dicotomia per rintracciarvi l’intenzione simbolica unificatrice. Il prototipo degli "emblemata" può farsi risalire agli "Hyerogliphica" di Horapollo, un trattato breve che risale ai primi secoli dopo Cristo, in cui vengono spiegati i geroglifici usati dagli Antichi Egizi in base al loro senso morale e simbolico, tramite una lettura ideografica e che giunse in Europa per mezzo di una copia acquistata nel 1419 nell'isola greca di Andro e da lì portata a Firenze, dove iniziò a destare notevole interesse nell'ambiente neoplatonico di Marsilio Ficino. Gli umanisti vi scorsero,infatti,la testimonianza di un linguaggio arcano in cui c'era un tramite tra l'immagine e la parola, che non potevano essere disgiunte. Si recuperò la sacra Sapienza Egizia dopo che era caduta nell'oblio per quasi dieci secoli (l'ultimo tempio 'pagano’ in Egitto, a Philae, in cui perdurava il culto della dea Iside, fu chiuso nel 560 per ordine dell'Imperatore Giustiniano,che ne fece portare le statue del culto a Costantinopoli e incarcerare i sacerdoti presenti).
La scrittura geroglifica ammette una frattura tra il senso primario di un testo religioso (fonetismo) e il suo significato profondo (il glifo inteso come simbolo vivente).
La parola diventa quindi "Sacra" (o il sacro si articola alla parola) e diventa simbolismo esoterico, ovvero comprensibile a colui che lo padroneggia, tanto che per tutti gli altri è impenetrabile senza l'apposita "chiave" di lettura. J. Francois Champollion[2], nel suo "Precis de systeme hieroglyphique": distinse infatti tre tipi diversi di scrittura del nome del Sovrano: fonetico, figurativo e simbolico. Gli Egizi adottavano una scrittura per i testi sacri e un'altra per i libri contabili, opportunamente celata dall'utilizzo di simboli che indicavano il significato "divino" (rivelazione, materia prima) della prima o il carattere materiale della seconda scrittura. Naturalmente possiamo ritenere che tutti gli antichi testi contengano una duplice chiave di lettura e di interpretazione (nell'inno 10.71 dei "Rig Veda"[3] sono riassunte le idee dei Rishi sul linguaggio: "La parola sacra è un'invenzione degli antichi saggi... solo l'eletto è chiamato a "vedere". L'iniziazione passa da un apprendimento attraverso la lettura)". Nel 1499 venne pubblicato a Venezia il più celebre libro illustrato rinascimentale, opera di Francesco Colonna[4] dal titolo "Hypnerotomachia Poliphili", che nel 1600 venne ristampata a Parigi in una versione diversa firmata da Bèroalde de Verville[5], che intese rivelarne i contenuti alchemici (e che pare rifarsi ad un precedente lavoro di Jacques Kerver del 1546). Verso il 1540 Nostradamus[6] scrisse "Interpretation des hièroglyphes de Horapollo". La strada era ormai tracciata (dal '500 all' '800 prolifereranno gli emblemi su base mitologico-pagana) e molti alchimisti si riferiranno nei loro scritti appunto a questi, nei quali il segno sacro diventa rappresentazione della presenza delle forze cosmiche, in cui sono insite le geometrie nascoste della Natura, con i suoi Numeri, Pesi e Misure. Nel 1588 viene pubblicata a Roma un'opera, di Principio Fabrizi, intitolata "Delle allusioni et emblemi sopra la vita, opere et attioni di Gregorio XIII", in occasione della celebrazione del Papa. Le incisioni sono chiaramente di ispirazione pagano-alchemica. Nel 1612 viene stampato il primo grande trattato alchemico sui miti greci ed Egizi, "Arcana Arcanissima", dovuta ad un paracelsiano e rosacroce, medico e segretario privato dell'Imperatore–alchmista Rodolfo II a Praga: Michael Maier[7] (1568-1622). In quest'opera l'autore colloca la mitologia pagana quale allegoria ermetica dell'Antica Scienza Alchemica, opera che diverrà un caposaldo per tutti gli alchimisti dei tempi seguenti. Nel corso del 1600 vedono la luce altre opere fondamentali per l'iconografia ermetica: l'Atalanta Fugiens, sempre del Maier, costituita da cinquanta incisioni eseguite dal maestro tedesco Matthaus Merian il Vecchio,e il Viridarium Chymicum, di Daniel Stolcius[8], costituito da centosette incisioni. In essi, il concetto di "emblema" comunemente inteso, viene "trasferito" sul piano alchemico e alle varie fasi dell'opus alchemico e sul modo in cui procedere. Contemporaneamente anche molti scritti filosofici vengono recuperati o interpretati, segno che gli alchimisti vogliono discutere della loro scienza. Nel 1593 compare una Iconologia, di Cesare Ripa[9],che vedrà la prima pubblicazione illustrata nel 1603, in cui vi sono schedate ed elencate varie figure cui potranno riferirsi stereotipatamente gli alchimisti seguenti, e nel 1686 appare un "opera costituita da incisioni in-folio, "Escalier des Sages ou la Philosophie des Anciens", composta da Barent Coenders van Helpen[10]. Nel 1758 A. Joseph Pernety, compilerà "Les fables egyptiennes et grecques dèvoilèes", l'ultimo e più completo trattato sull'argomento, che gli era stato ispirato dall'opera di Mair, "Arcana Arcanissima". La cosa di fondamentale importanza è che l'iconografia alchemica che compare nel primo '600, rappresenta la saldatura, di natura iconologica, di due basilari aspetti della cultura europea del 1400 e del 1500: la rivisitazione dei miti pagani e la ricerca filologica di stampo umanistico sulle immagini geroglifiche. Molti artisti rinascimentali, che respirarono questo clima, quantomeno furono attratti dall'Arte Regia, quando non si accostarono direttamente ad essa (i colori usati per molti dipinti furono preparati con procedimenti alchemici) ed intesero trasporne i contenuti occultandoli (a volte neanche troppo) nelle loro opere. Di questa visione e volontà di trasmettere un messaggio preciso non si è ancora tenuto debito conto, in quanto ancora poco indagato il significato alchemico contenuto in molti dipinti e sculture, che purtroppo vengono ancora viste dai più attraverso un canale puramente estetico. Il momento della riflessione sul simbolo deve essere quello della conversione dello sguardo su sé e sul mondo. Assistiamo attualmente ad un'epoca in cui c'è molto bisogno di riconciliarsi con il Sé, inteso come Universo e le sue manifestazioni. Quindi, dobbiamo riuscire a trovare nei simboli la funzione unificatrice. Gli Antichi lo sapevano ed erano in grado di farlo "vivere" per armonizzare il "grande" con il "piccolo", il Cielo con la Terra, lo Spirito con la Materia. Mi sia consentito citare un passo di Micheal Mirabail[11]:" Il tempo unificatore del simbolo non ha mai disertato la temporalità dell'esperienza umana, soggetta ai cicli evolutivi e non ripetitivi delle mitologie, nel momento stesso in cui crede, dopo il XIX secolo, di poter spezzare il modello ellittico dell'evoluzione a favore della storia lineare, sintomo della frattura tra significante e significato, tra senso e linguaggio, delle nostre culture schizofreniche".
Per Erodoto i Misteri della Grecia devono molto all’Egitto. I grandi saggi dell’antica Grecia sono venuti a cercare la conoscenza presso i saggi egiziani. Molti fra loro sono stati iniziati ai Misteri e hanno assicurato così la trasmissione della conoscenza egiziana verso il mondo ellenico. Il primo dei sette saggi, Talete di Mileto (~624-~548) frequenta i loro sacerdoti e misura le piramidi con Solone. Plutarco dichiara che è stato Talete a portare in Grecia la geometria egiziana. Solone (~640-~558) viene diverse volte in Egitto e discute di filosofia con i sacerdoti. Egli trasmette i racconti su Atlantide ai Greci, che Platone riprenderà presto nel “Timeo” e nel “Crizia”. Talete esorta Pitagora a recarsi in Egitto. Secondo Giamblico, Pitagora ha studiato nei templi egiziani per ventidue anni. Dopo si stabilisce a Crotone, in Italia, dove fonda una scuola per insegnare secondo la tradizione delle Scuole di Misteri egiziane. Secondo Apollo di Rodi, Ermete, tramite suo figlio Aithalides è il diretto antenato di Pitagora.
Diodoro Siculo riferisce che Orfeo ha viaggiato in Egitto ed è stato iniziato ai Misteri di Osiride. Di ritorno nel suo paese istituisce nuovi riti, i Misteri orfici (verso il VI secolo a.C.). Plutarco precisa che i Misteri orfici e bacchici sono in realtà d’origine egiziana e pitagorica e Diodoro Siculo riporta che gli Ateniesi osservano a Eleusi dei riti simili a quelli degli Egiziani. Nel V secolo a.C. Erodoto visita l’Egitto, assiste ai riti e parla con i sacerdoti. Nei suoi racconti evoca i Misteri di Osiride che si celebrano a Saïs. Il filosofo greco Democrito di Abdère (~460-~370), scopritore dell’atomo, è stato iniziato nei templi egiziani e diventa allievo dei geometri del Faraone. Platone (~427-~347) sarebbe rimasto tre anni in Egitto e iniziato dai sacerdoti. Anche uno dei suoi discepoli, Eudossio di Cnido (~405-~355), matematico e geometra, ha viaggiato attraverso le terre del Nilo ed è stato iniziato sia sul piano scientifico sia su quello spirituale. Strabone ha frequentato i sacerdoti di Heliopolis per 13 anni.
Sin dai tempi più antichi la civiltà egizia è oggetto di ammirazione. Le sue Scuole di Misteri, università e allo stesso tempo monasteri, custodiscono le sue conoscenze. Queste scuole si diffondono specialmente sotto l’egida di Akhenaton (~1353-~1336) allorché vi introduce il concetto di monoteismo. Con i suoi culti misteriosi la religione egiziana incuriosisce. Nel pantheon egiziano, Thot, il dio con la testa di ibis, gode di un'aura particolare. Scriba del Tribunale divino, è considerato l’inventore della scrittura e impersona la medicina, l’astronomia e la magia. È la Luce di RA nel suo aspetto notturno e questo fa di lui l’iniziatore ai Misteri. È lo sposo di Maat, la dea della Giustizia e della Verità. Queste qualità fanno di Thot l’emblema dei Misteri d’Egitto e forse è per questa ragione che Thot subirà presto delle strane metamorfosi.
La Tradizione Primordiale
Adamo, l’Egitto, la Persia, i saggi greci, gli Arabi non sono evocati per caso in relazione alle origini del Rosacrocianesimo. Tali origini si riferiscono a un concetto molto diffuso prima del suo avvento, quello della “Tradizione Primordiale”, concetto comparso nel Rinascimento. In quest’epoca si riscopre il “Corpus Hermeticum”, un insieme di testi misteriosi attribuiti a un sacerdote egiziano, Ermete Trismegisto. Da allora questo concetto di rivelazione primordiale, di cui l’Egitto sarebbe stato la culla, desterà un considerevole scalpore.
Non è qui intenzione tracciare un quadro dell’esoterismo egiziano, ma piuttosto dimostrare come questa eredità si sia trasmessa. La strada che collega l’Egitto all’Occidente è lunga e offre un paesaggio vario. Noi non ne descriveremo tutti gli anfratti poiché questo quadro occuperebbe un intero volume. Tuttavia faremo qualche sosta che ci permetterà di comprendere le origini della Rosa-Croce. Mi è sembrato che per intraprendere un tale viaggio fosse necessario seguire una guida ed Ermete mi è parso il personaggio più indicato. La storia e i miti relativi a questo personaggio sono, in effetti, particolarmente ricchi di insegnamenti utili al nostro proposito.
Thot-Ermete
A poco a poco i Greci si appropriano degli eroi e degli dèi più celebri d’Egitto. A partire dal II secolo a.C. Ermete, figlio di Zeus e della ninfa Maia, è considerato un discendente di Thot. Il Dio egiziano avrebbe avuto per figlio Agathodemon che avrebbe generato a sua volta un figlio di nome Ermete. Quest’ultimo, considerato il secondo Ermete, gode del titolo di Trismegisto, cioè “tre volte grande”. Ermete è la guida dei viaggiatori verso l’altro mondo; Zeus l’ha dotato dei sandali alati che gli permettono di spostarsi alla velocità del vento. Ben presto Thot ed Ermete saranno considerati come un solo e unico personaggio.
Alessandria
Con la conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno (nel 333 a.C.) il mondo greco assimila maggiormente la cultura egiziana. Nel 331 a.C., dove le acque del Nilo si mescolano al Mediterraneo, nasce la città di Alessandria. Luogo di incontro delle culture egiziana, ebraica, greca e cristiana, diviene il centro intellettuale dell’Oriente. Terapeuti, Gnostici, e molti altri movimenti mistici si sviluppano intorno a questa città. La sua ricca biblioteca dotata di più di 50.000 volumi, raccoglie tutte le conoscenze dell’epoca.
Alessandria è il crogiolo dove fiorisce l’alchimia greco-egiziana, infatti vede nascere l’alchimia che appare come la continuazione, l’eredità di un’antica pratica egiziana, riformulata e ripresa dal pensiero greco. La sua originalità consiste nel proporre una disciplina concreta e universale, svincolata dall’influsso di una religione. Ermete Trismegisto viene presentato dagli alchimisti alessandrini come il fondatore di quest’arte che diviene il nuovo vettore dell’antica Tradizione. Precisiamo, tuttavia, che essa esisteva già in Cina e in India. Tra gli alchimisti alessandrini, Bôlos de Mendès (100 a.C.), è una figura singolare. È spesso presentato come il fondatore dell'alchimia greco-egiziana.
Nel 30 a.C. Alessandria diviene la capitale della provincia romana d’Egitto. I Romani equiparavano l’Ermete greco-egiziano al loro Mercurio, dio del commercio e dei viaggiatori. Mercurio-Ermete è il messaggero degli dei, il condottiero delle anime, la guida. Roma adotta l’Egitto e i suoi culti con facilità. Anche Plutarco, amico dell’imperatore Traiano e membro del collegio sacerdotale di Apollo a Delfi, dove era grande sacerdote, cercherà la conoscenza sulle rive del Nilo. Qui è iniziato da Cléa una sacerdotessa di Iside e Osiride. Nel suo libro “Iside e Osiride”, Plutarco evoca le “opere chiamate Libri di Ermete” e sottolinea l’importanza dell’astrologia egiziana. Riporta, inoltre, che molte autorità considerano Iside la figlia di Ermete.
Il Corpus Hermeticum
Tre secoli prima dell’era cristiana comincia l’elaborazione della cosiddetta «Ermetica», testi attribuiti ad Ermete Trismegisto. Questa letteratura si diffonde abbondantemente a partire dal I secolo. La redazione di Ermetica continua fino al III secolo d.C. nella regione del delta del Nilo. Scritti in greco, tali testi rendono pubblico un esoterismo egiziano. Clemente d’Alessandria parla dei 42 libri di Ermete che gli egiziani trasportavano nelle loro cerimonie. Giamblico attribuisce a Ermete 20.000 libri, mentre Selecus e Manetone ne evocano 36.525. I più celebri, scritti fra il I e il III, secolo sono 17 trattati raggruppati con il titolo di “Corpus Hermeticum”, che si compongono principalmente di dialoghi fra Ermete, suo figlio Tat e Asclepio. Il primo di questi trattati intitolato “Pimandro”, evoca la creazione del mondo.
Un altro testo importane è l’”Asclepio”, che descrive la religione degli Egiziani e i riti magici che praticavano per attirare le potenze cosmiche con lo scopo di animare le statue degli dei. Infine, i “Frammenti di Stobeo” costituiscono il terzo gruppo dell’Ermetica. Si compongono di 39 testi e comprendono dei dialoghi fra Iside e Horus sulla creazione del mondo e l’origine delle anime. Questi testi, generalmente attribuiti a Ermete Trismegisto, si presentano come traduzioni dall’egiziano, ma contengono pochi elementi egiziani autentici. Sono caratterizzati essenzialmente dalla filosofia greca, ma anche dall’ebraismo e dalla religione persiana. Non compongono un tutto coerente e presentano numerose contraddizioni dottrinali. Torneremo in seguito su questi testi.
Pax Romana
Nel II secolo la «Pax Romana» instaura la pace nel mondo mediterraneo. In quest’epoca si prova una vera passione per le civiltà passate: gli Indù, i Persiani, i Caldei e soprattutto gli Egiziani, per il fascino dei loro templi ancora operanti. I ricchi romani accorrono nel paese dei faraoni e vi giunge anche Apuleio, scrittore latino incuriosito dai misteri. Egli ci descrive a modo suo i Misteri egiziani nell’opera “L’Asino d’Oro”.
Assieme all’alchimia assumono un ruolo di primo piano la magia e l’astrologia. Claudio Tolomeo, un greco vissuto ad Alessandria, ha scritto il “Tetrabiblos”, un trattato che codifica tutti i principi dell’astrologia greca (d’influenza egiziana e caldea): segni , case, aspetti, quattro elementi. Tolomeo non è un semplice astrologo, è anche un astronomo al quale si deve il geocentrismo e la teoria degli epicicli, che ebbero il sopravvento fino al XVII secolo. Egli trasmette all’Occidente le conoscenze astronomiche greche. Clemente d’Alessandria (150-213), padre della chiesa greca, traccia in “Stromates” il ritratto degli astrologi egiziani del suo tempo, che dovevano sempre essere pronti a recitare i quattro libri astrologici di Ermete.
Olimpiodoro (V e VI secolo) presenta l’alchimia come un’arte sacerdotale praticata dagli egiziani. I papiri di Leida e di Stoccolma (II secolo), mostrano effettivamente dei processi metallurgici legati a delle formule magiche. Nel III secolo Zozimo di Panapolis si stabilisce ad Alessandria per dedicarsi all'alchimia. Gli scritti alchemici di Zozimo non sono unicamente rivolti al lavoro di laboratorio, evocano anche le trasformazioni dell'anima e inseriscono una ricerca mistica. Zozimo è il primo grande autore alchemico conosciuto, colui che darà a questa scienza i suoi concetti e la sua simbologia. L'alchimia assume una tale importanza nel III secolo che l’imperatore Diocleziano, preoccupato per una possibile svalutazione dei metalli preziosi, promulga un editto che impedisce la sua pratica e condanna al rogo i testi alchemici.
Neoplatonismo
I neoplatonici si sono molto interessati all’Egitto. Giamblico (240-325) iniziato ai riti caldei, egiziani e siriani, è un personaggio enigmatico. Al «divino Giamblico», capo di una scuola neoplatonica, si attribuiscono poteri straordinari. Quando pregava, il suo corpo si elevava dal suolo a più di dieci cubiti, con la pelle e i vestiti immersi in una luce dorata. L’Egitto mantiene nei suoi scritti un posto di prim’ordine. Nei “Misteri Egiziani”, nelle vesti di Abamon, si presenta come un Maestro della gerarchia sacerdotale egiziana e come un interprete della saggezza di Ermete. Egli promuove la teurgia e le pratiche divinatorie egiziane. Più tardi un altro neoplatonico, Proclo (412-485), anch’egli molto improntato alla teurgia, si considererà appartenente alla “catena di Ermete”. Egli avrà un’influenza preponderante sul sufismo e sui pensatori cristiani come Scot Erigene, Maestro Eckart e molti altri.
Quest’epoca è quindi quella che vede l’Egitto affacciarsi al cristianesimo nascente. Alessandria svolge un ruolo importante nelle differenti controversie che seguono l’avvento di questa religione, imposta da Costantino. Nel III secolo gli Egiziani abbandonano la scrittura geroglifica e adottano la scrittura copta per trascrivere la loro lingua. I copti adattano le scienze segrete dei faraoni al cristianesimo. Ben presto l’imperatore Teodosio promulgherà un editto contro i culti non cristiani, che segnerà la fine del clero egiziano e delle sue cerimonie.
I cristiani dinanzi a Ermete
In generale i padri della chiesa amavano esplorare la simbologia per scoprirvi le origini del vangelo. Ermete Trismegisto continua a suscitare il loro rispetto. Lattanzio (250-325), nelle sue “Istituzioni Divine” vede nel “Corpus Hermeticum” la verità cristiana formulata prima del cristianesimo. Sant’Agostino (354-430), padre della chiesa nella “Città di Dio” fa di Ermete un discendente di Mosè. Aveva letto l’«Asclepio» nella traduzione di Apuleio di Madaure.
Nonostante ammirasse Ermete Trismegisto, rifiutava la magia illustrata nell’ «Asclepio». Clemente d’Alessandria si dilettava a paragonare l’Ermete-Logos al Cristo-Logos.
Con l'imperatore Giuliano l’Apostata (dal 361 al 363) si assiste a un breve ritorno del culto dei misteri. Egli promulga dei provvedimenti contro i cristiani e reinstaura il paganesimo; influenzato dal neoplatonismo esalta la teurgia antica. Questo ritorno sarà breve; nel 387 il patriarca cristiano Teofilo tenta di distruggere i templi dell’Egitto per trasformarli in luoghi di culto cristiano. Egli perdurerà, malgrado un focolaio egiziano sull'isola di Philae e sarà fermato solo nel 551, per ordine dell’imperatore Giustiniano. Come si può constatare alcuni templi egiziani erano rimasti attivi fra il I secolo e il VI secolo, cioè durante il periodo che copre la redazione dell’Ermetica. Si sottolinea che questi testi sono pessimisti riguardo al futuro della religione egiziana; questo induce a pensare che siano stati scritti in ambiente egiziano da una classe sacerdotale, certo ancora depositaria di frammenti della saggezza egiziana, ma sottoposta al processo di ellenizzazione e costretta a esprimersi in modo indiretto.
Alessandria costituiva il punto di passaggio dalla scienza egiziana verso i mondi greci e romani. È stata il centro di una riformulazione della tradizione antica attraverso l’alchimia, l’astrologia e la magia. Questo focolaio, dopo essersi diffuso in gran parte dell’Oriente, verso il VI secolo va scomparendo e gli arabi riprenderanno la fiaccola.
I Sabei
Nel 642 la città di Alessandria viene conquistata dagli Arabi; questa data segna la fine del prestigio di Alessandria, tuttavia non costituisce l’origine dell’esoterismo nel mondo arabo, poiché gli arabi incontrano Ermete molto prima di quest’epoca. I Sabei ne sono l’esempio. Questo regno mitico, nel quale si vedevano i luoghi del paradiso terrestre si chiamava un tempo «l’Arabia Felice». Passava per essere il paese della fenice. Christian Rosenkreutz la visiterà più tardi per raccogliervi delle conoscenze meravigliose. La Bibbia riporta che la regina di questo paese, la regina di Saba, incontrò il Re Salomone e non specifica il paese, ma il Corano indica che si tratta dell’Arabia del sud (Yemen).
I Sabei erano degli astrologi rinomati e Maimonide dimostra che questa scienza svolgeva un ruolo predominante. La tradizione vuole che i magi venuti a salutare il Cristo provenissero da questo paese leggendario. I Sabei possedevano degli scritti di Ermete sull'alchimia e il «Corpus Hermeticum». Erano molto saggi e avevano introdotto le scienze nell’Islam anche se evolvevano ai margini di questa religione. I Sabei riconducevano la loro origine a Ermete, al quale dedicavano un culto particolare. Il contenuto dei loro libri, affermavano, era stato rivelato da Ermete come la «Risâlat fi’n-nafs»(lettera sull’anima) e le «Istituzioni liturgiche di Ermete» da Thâbit ibn Qorra, una figura eminente del Sabeismo di Bagdad (IX secolo).
Idris-Ermete
Il VII secolo segna l’inizio dell’islamismo. Benché il Corano non facesse riferimento a Ermete, gli agiografi dei primi secoli dell’Islamismo identificano il profeta Idris, menzionato nel Corano, in Ermete e in Enoch. Questa associazione permette all’islamismo di collegarsi alla tradizione ellenico-egiziana. Nell’islamismo, Idris-Ermete è presentato sia come profeta, sia come un personaggio senza tempo. Qualche volta è associato ad Al-Khezr, il misterioso mediatore, il saggio che iniziò Mosè e che nel sufismo svolge un ruolo fondamentale come manifestazione della guida personale. Abu Ma`shar, un astrologo persiano dell’ottavo secolo, che diverrà celebre in Europa sotto il nome di Albumasar, formula un racconto che traccia la genealogia di Ermete. Questo testo, che si instaura nel mondo arabo, distingue tre Ermete susseguenti. Il primo, Ermete maggiore, sarebbe vissuto prima del diluvio; è identificato in Thot e presentato come il civilizzatore dell’umanità, colui che fece costruire le piramidi e vi incise i geroglifici sacri d’Egitto per le generazioni future. Il secondo visse a Babilonia dopo il diluvio. Fu un maestro in medicina, in filosofia e in matematica. Sarebbe stato l’iniziatore di Pitagora. Infine il terzo Ermete è presentato come il continuatore dei suoi predecessori nella sua funzione di civilizzatore. Fu un maestro di scienze occulte e trasmise l’alchimia all’umanità.
La Tavola di Smeraldo
Nella stessa epoca appariva la Tavola di Smeraldo, un testo che ha assunto una considerevole importanza nella Tradizione. La sua versione più antica è in lingua araba e risale al VI secolo. La paternità è attribuita ad Apollonio di Tiana, un filosofo taumaturgo del I secolo. Questo testo ci è pervenuto grazie alla tradizione araba di Sâgiyûs, un sacerdote cristiano di Nâbulus. Esso figura nel «libro segreto della creazione» di Balînûs (traduzione araba di Apollonio di Tiana). In questo libro Apollonio di Tiana racconta come ha scoperto la tomba di Ermete. Dice di aver trovato in questo sepolcro un vecchio seduto su un trono, che teneva in mano una tavoletta di smeraldo, sulla quale figurava il testo della famosa «Tavola di Smeraldo». Davanti a lui c’era un libro che spiegava i segreti della creazione degli esseri e la scienza delle cause di tutte le cose. Questo racconto troverà risonanza più tardi nella «Fama Fraternitatis».
L’alchimia araba
È molto noto il ruolo degli arabi nella diffusione dell’alchimia nell’Occidente medievale. Ci hanno anche lasciato in eredità il vocabolario tipico di quest’arte: (al kemia, la chimica, al tanur, l’athanor). L’Islam non si è limitato ad un ruolo di trasmissione, come sottolinea Pierre Lory in “Alchimia e mistica in terra d’Islam”, gli arabi l’hanno concettualizzata in una forma che secondo loro si imporrà ovunque. La loro alchimia non è solo un’arte di laboratorio, si propone anche di svelare le leggi nascoste della creazione e comporta una dimensione mistica e filosofica. Se l’alchimia araba rivendica un’origine egiziana, la sua pratica è anteriore alla conquista dell’Egitto da parte degli arabi nel 639. È grazie ai Siriani che gli arabi hanno ricevuto l’alchimia greca, ma i loro primi maestri in quest'arte furono gli iraniani, che avevano ereditato tradizioni esoteriche mesopotamiche.
Il primo alchimista arabo conosciuto, il principe omeyyade Khâlid ibn Yazîd (? –704), fu iniziato da un cristiano di Alessandria, Morienus. L’alchimia conosce un rapido successo nel mondo islamico e i trattati greci sono rapidamente tradotti. La figura più illustre dell’alchimia araba è Jâbir ibn Hayyân (morto intorno all’815), conosciuto in occidente con il nome di Geber. Egli sottolinea i concetti fondamentali della Grande Opera. Le sue riflessioni sfociano in un’alchimia spirituale di vasta portata.
A Geber si devono anche numerose scoperte in campo chimico. Il “Corpus di Jabir” contava più di 3000 trattati per la maggior parte apocrifi. Probabilmente sono opera di una scuola che si formò intorno ai suoi insegnamenti. L’alchimia araba conoscerà molti maestri, per citarne qualcuno: Abu Bakr Mohammed ibn Zakarya, detto al-Razi o Rhasès (X secolo); Senior Zadith (Mohammed ibn Umail al-Tamimi); ibn Umayl (X secolo), Abd Allah al-Jaldakî (XIV secolo).
I loro testi penetreranno ben presto in Europa attraverso la Spagna e segneranno profondamente l’Occidente latino.
La magia e l’astrologia
Anche la magia occupa un aspetto centrale nella spiritualità araba. L’Islam metterà in opera una magia di lettere simile alla cabala ebraica per penetrare i segreti del corano. Del resto la magia araba di cui Christian Rosenkreutz dirà in seguito che non era molto pura, copriva larghi campi: la medicina, l’astrologia, la talismanica. L’astrologia è molto presente nel mondo islamico. Anche se sospetta per le sue origini pagane, si sviluppa moltissimo a partire dall’ottavo secolo quando il «Tetrabiblos» di Tolomeo è tradotto in arabo. L’astrologia all’epoca di Al-Mansur, il secondo califfo abbasside (754-775) non è unicamente merito dei greci. Subisce l’influenza Indù, dei cristiani, della Siria e dei Giudaici-Aramaici e sicuramente degli Esseni. In generale le diverse scienze esoteriche hanno svolto un ruolo fondamentale nell’Islam, in particolare in ambiente sciita come ha dimostrato Henri Corbin. A partire da allora si può comprendere perché Christian Rosenkreutz andrà verso i paesi arabi per cogliere gli elementi essenziali, a partire dai quali costruirà l’ordine della Rosa-Croce.
La teosofia orientale
Nel IX secolo (circa) Ibn Wahshîya in un trattato intitolato «La conoscenza degli alfabeti occulti svelata» presenta diversi alfabeti occulti attribuiti a Ermete. Fa anche riferimento alle quattro classi di sacerdoti egiziani discendenti da Ermete. Egli chiama «Ishrâqîyûn» (dall’oriente) coloro che appartengono alla terza classe, cioè i figli della sorella di Ermete Trismegisto. Presto Sohravardî (?-1191), uno dei più grandi mistici dell’Islam iraniano, riprenderà questa espressione «Ishrâqîyûn» nel senso di «Teosofi orientali», per designare i maestri che avevano conosciuto l’illuminazione. Per lui, filosofia ed esperienza mistica sono indissociabili e nel suo «libro della saggezza orientale» evoca la catena degli iniziati del passato, i teosofi orientali. Per lui, questa esperienza è collegata a Ermete, il padre dei saggi, di cui è l’antenato. Questi filosofi estatici, che egli qualifica come «pilastri della saggezza», sono Platone, Empedocle, Zoroastro e Mohammed. La cosa interessante è che contrariamente agli autori che abbiamo incontrato fino qui, Sorhravardî non cerca di stabilire una filiazione storica umana tra Ermete e i saggi delle diverse tradizioni, ma una filiazione iniziatica celeste, basata sull’esperienza interiore.
[1] Andrea Alciato (1452-1550) illustre giurista lombardo che prestò la propria professione di insegnante ad Avignone, Bruges, Bologna e Pavia ma che ha lasciato una celebre opera di stampo filosofico, "Emblematum Liber", in cui raccolse epigrammi latini accompagnadoli con figure allegoriche in cui emerge la sua notevole conoscenza della classicità antica. Vi ricorrono riferimenti mitologici, simbolici e favolosi. L’opera venne ripubblicata ben 180 volte nell’arco di duecento anni e fu tradotta in varie lingue.
[2] J. F. Champollion (1790-1832) è considerato il moderno decifratore dei caratteri geroglifici Egizi dandone l’interpretazione fonetica e ideografica.
[3] Raccolta di 1070 testi di incerta datazione (almeno prima del 1600 a.C.) che rappresentano il più antico trattato della letteratura indiana. I "Veda" completi sono costituiti da altre tre raccolte di documenti scritti.
[4] Francesco Colonna è famoso per il più celebre libro illustrato rinascimentale (in italiano "La Battaglia d’amore in sogno di Polifolo"), edito da Aldo Manuzio. Personaggio misterioso, viene identificato con un omonimo frate veneziano ma è più probabile che possa trattarsi del protonotaro apostolico nonché patrizio romano, Francesco Colonna, signore di Palestrina.
[5] Bèroalde de Verville, nome vero Francois Brouard (1566 ca.-1629 ca.) fu medico, dedito all’alchimia, poligrafo, umanista, abiurò il protestantesimo. Fu autore di molte opere.
[6] Michel de Nostredame (1503-1566) era provenzale e fu medico ed astrologo alla corte del re Carlo IX, protetto dalla regina Caterina dè Medici, sua madre e reggente. Con lo pseudonimo di Nostradamus scrisse le famose ed enigmatiche "Centurie" profetiche.
[7] M.Maier: godette nel ‘600 grande notorietà,in parte per i libri dei suoi emblemi(oltre all’Atalanta Fugiens,ricordiamo "Symbola Aureae Mensae"), in cui per la prima volta rivisita in modo organico i miti pagani, interpretandoli in chiave ermetica.
[8] Daniel Stolcius fu alchimista alla corte dell’imperatore Rodolfo II (1552-1612).
[9] C. Ripa (ca. 1500 –1620 o forse 1625) intese riferirsi costantemente ai miti pagani e l’opera citata ha costituito uno dei repertori figurativi più seguiti da poeti, pittori e scultori fino al 1800.
[10] La sua identità non è nota, anonimo scrittore di alchimia del 1600.
[11] M.Mirabail, docente di psicopedagogia e studioso di esoterismo, nel 1976 ha fondato un Centro di Ricerche Esoteriche in Francia.
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