,
Eusebio
Barrida
L’
ELETTRO MAGICO
dal
Grimorio o Magia Naturale
di
prima
traduzione italiana © Vittorio Fincati 1998
PARIS
Chamuel
Editeur
5,
rue de Savoie, 5
1897
DELLA
FABBRICAZIONE E PREPARAZIONE VULCANICA E MAGICA DELLE ARMI DI ACHILLE
IL
celebre poeta Omero scrive nel diciottesimo libro dell’Iliade, e lo troviamo
negli altri storici greci, che Theti, moglie di Peleo, re di Tessaglia, e
madre d’Achille, il grande eroe dell’antica Grecia, pregò Vulcano, fabbro
degli dèi, di forgiare delle armi per suo figlio,
sulle quali fare affidamento in guerra e nella mischia del combattimento. Le
dimensioni di quest’eroe erano, secondo alcuni, di sette cubiti; per tale
motivo il poeta Licofrone lo chiama Eptaperon.
Erodoto scrive che Oreste era della medesima taglia. Ecco come Omero riferisce
le parole di Theti a Vulcano:
...Or
io pel figlio
vengo
supplice madre al tuo ginocchio;
Onde
a conforto di sua corta vita
Di
scudo e d’elmo provveder tu il voglia,
e
di forte lorica e di schinieri
Con
leggiadro fermaglio[1]
Rispose
Vulcano:
Ti
riconforta, Teti, e questa cura
Non
ti gravi il pensier. Così potessi
Alla
morte il celar, quando la Parca
Sul
capo gli starà, com’io di belle
Armi
fornito manderollo, e tali,
Che
al vederle ogni sguardo ne stupisca.
Omero
prosegue poi il suo racconto:
Lasciò
la Dea, ciò detto, e impaziente
Ai
mantici tornò, li volse al fuoco,
E
comandò suo moto a ciascheduno.
Eran
venti che dentro la fornace
Per
venti bocche ne venìan soffiando;
E
al fiato che mettean dal cavo seno,
Or
gagliardo, or leggier, come il bisogno
Chiedea
dell’opra e di Vulcano il senno,
Sibilando
prendea spirto la fiamma.
In
un commisti allor gittò nel fuoco
Argento
ed auro prezioso e stagno
Ed
indomito rame. Indi sul toppo
Locò
la dura risonante incude;
Di
pesante martello armò la dritta,
Di
tanaglie la manca; e primamente
Un
saldo ei fece smisurato scudo
Di
dèdalo rilievo, e d’auro intorno
Tre
bei fulgidi cerchi vi condusse;
Poi
d’argento al di fuor mise la soga.
Cinque
dell’ampio scudo eran le zone;
E
gl’intervalli, con divin sapere,
D’ammiranda
scultura avea ripieni.
Inoltre,
verso la fine del libro:
...A
fin condotto
Questo
lavoro, una lorica ei fece
Che
della fiamma lo splendor vincea.
Poi
di raro artificio un saldo e vago
Elmo
alle tempie ben acconcio, e sopra
D’auro
tessuta v’innestò la cresta.
Fur
l’ultima fatica i bei schinieri
Di
pieghevole stagno. E terminate
L’armi
tutte,
il gran fabbro alto levolle,
E
al piè di Teti le depose.
Ecco
ciò che possiamo sapere da Omero per quanto concerne la fabbricazione delle
armi di Achille fatte da Vulcano; né c’è
bisogno di ulteriori spiegazioni.
Ci
sono infatti molti che prendono la descrizione
omerica di questa fabbricazione, per una semplice favola o per una finzione
poetica né vi vorranno trovare un’intenzione storica o riconoscerne la
veridicità. Ma, siccome potremmo dire il contrario
appoggiandoci ad altri autori degni di fede, lasciamo tutti costoro ai loro
pregiudizi senza preoccuparci più di tanto.
Per
quel che ci riguarda, diciamolo subito, appoggiandoci all’opinione di molti
studiosi, il Vulcano dei pagani è proprio quel Tubalcain che le Sacre
Scritture identificano come Maestro nella realizzazione di
ogni specie di opere in bronzo e ferro.
IL
nome di Vulcano, infatti, è l’abbreviazione di Tubalcain. Bisogna supporre
che i pagani ne abbiano sentito parlare, sia dallo
stesso Japhet che da qualcuno della sua discendenza... essendo Tubalcain il
capostipite dei fabbri, questi pagani ne fecero il dio dei metallurgi e dei
cesellatori, annoverandolo tra i loro idoli. Poi, siccome l’Etna, in
Sicilia, vomitava turbini di fuoco, fiamme e fumo, questi hanno,
nella loro immaginazione, visto in tal luogo l’incudine, il martello e
l’intera officina di Vulcano. E, quando qualche abile
artigiano scopriva, per lunga pratica e innumerevoli esperienze, alcuni
segreti dell’arte, le attribuiva a Vulcano, dio dei fabbri. E’ ciò
che d’altronde si legge in Omero.
Leggiamo
inoltre che Vulcano fabbricò quei venti tripodi che, muovendosi da se stessi
come automi, si schieravano a battaglia, battendosi con tale furia e forza,
che spesso gettavano lo scompiglio in un’intero esercito,
sconvolgendone le linee e tornando poi al campo, mentre che forse fu qualche
abile artigiano che li inventò e li produsse. Tale fu l’opinione
dell’abate Tritemio e noi non aggiungeremo altro sul fabbro delle armi di
Achille.
Già
c’erano stati automi del genere che funzionavano secondo un principio
matematico ma soprattutto secondo la Magia naturale. Ce ne furono, credo, tra
i Caldei, gli Egizi, gli Assiri e ce ne sono oggi un po
dovunque, principalmente in Germania. Quest’ultimi, creati da maestri abili
e ingegnosi, ridono, piangono, cantano, ballano e fanno ogni sorta di cose che
non vale la pena menzionare.
Ricordiamoci
solamente del piccione di legno del filosofo
Archita di Taranto che volava da solo, e di cui un filosofo parla in questi
termini: “Ita erat libramentis
simulacrum hoc suspensum et aura spiritus inclusa atque occulta concitum, ut
volando aerem tranare conspiceretur”. Della stessa natura furono le
mosche d’oro del Regiomontano, le civette dell’architetto ateniese Ictino
e le sfere di Archimede che si muovevano da se
stesse e nelle quali - come nelle bolle di vetro e cristallo di Sapore, re di
Persia - si poteva scorgere il movimento dei sette pianeti e di tutti gli
astri del firmamento.
Non
ci dilungheremo parlando di quegli orologi così complessi ed elaborati, dei
vasi che camminano, degli insetti d’acciaio e di automi
del genere, perché tutto ciò è così comune che ognuno può vederli nei
musei e nelle raccolte degli antiquari. Non c’è che da visitare, i musei di
Praga, di Dresda, di Monaco, di Stuttgard, gli arsenali di Norimberga, di
Augsbourg, di Strasburgo, non si ha che da viaggiare in Italia, in
Francia e Spagna, visitare i Palazzi, i Giardini, le Grotte ecc., per vedere
le meraviglie dell’arte e per scoprire tutto quello che c’è di nuovo. IL
vecchio Lobsinger, di Norimberga, volava nell’aria grazie a due ali
artificiali come fosse un uccello. Ma, il
meccanismo che faceva muovere queste ali un giorno
si inceppò, e lui cadde spezzandosi una gamba. La sua sorte ricorda quella di
Icaro.
Supponiamo
che il comandante di un’armata abbia sua disposizione apparecchi similari, e
che dei soldati, muniti di torce, che ne il vento né
l’acqua sono in grado di spegnere, piombino la notte su una città nemica,
che fragore e quale terrore si impadronirebbe degli avversari facili da
sconfiggere a causa dello spavento!
Per
fare fiaccole che ne il vento o la pioggia possano
spegnere, ecco cosa si deve impiegare:
Prendete
del cotone, o della stoppa o della seta finissima, mettete nell’olio e
fatene delle fiaccole con della cera o del sego. Queste torce non verranno
spente né dal vento, né dalla pioggia. Se ne è
già fatta l’esperienza a Parigi.
Qui
ci occorre di menzionare l’operato del matematico
Taysner, di cui lui stesso ci offre la descrizione. Si tratta di una macchina
che, una volta messa in movimento, non si arresta più, posto che sia lasciata
dov’è; questo movimento, che è circolare ha
ricevuto inoltre il nome di moto perpetuo. Cornelius Trebel presentò
una macchina di tal genere all’imperatore Rodolfo II, e la
si può vedere ancora oggi.
Al
giorno d’oggi
molti studiosi, ricchi o poveri, si sono sforzati, in vano, di scoprire
il moto perpetuo artificiale e di servirsene per attingere l’acqua delle
montagne e far andare i mulini. Ma a riguardo non si è ancora trovato nulla, malgrado
le voci che si sono fatte correre ed è molto probabile che non se ne farà
nulla. Voglia Dio che si trovi un giorno la soluzione.
Si
sono anche pensati dei carri a cui non fosse
necessario attaccare dei cavalli: i carri falcati di cui si servivano gli
antichi nei combattimenti, erano forse di questo tipo. Ulrico, duca di
Mecklembourg, possedeva infatti un carro che
percorreva da solo qualche lega.
E’
anche questo il genere di quei carri a vela adoperati in Olanda; ma non ce ne
si può servire che in pianura. Gli abitanti di Antorff,
a loro volta, adoperavano di queste macchine.
Ma
tutto ciò esula dal nostro argomento; facciamoci ritorno.
Sapendo
essere Vulcano il forgiatore delle armi di Achille,
cerchiamo ora con quale materia queste armi furono fabbricate. Omero nella sua
opera cita quattro metalli: il rame, lo stagno, l’oro e l’argento.
Virgilio, condotto a parlare di queste armi nell’ottavo libro dell’Eneide
cita pure lui questi metalli, ma gliene aggiunge un quinto: l’acciaio
vulnifero.
Perché,
infatti, si sarebbe dovuto togliere di mezzo, contrariamente a tutte le regole
di Magia naturale, quest’acciaio o Marte metallico che dona la tempra più
dura e la materia più appropriata ad una tale opera?
Ascoltiamo
ancora, in questo stesso libro virgiliano, ciò che Vulcano dice a Venere:
Ogni
attenzione dell’arte mia, ch’io possa
prometterti,
tutto
ciò che può farsi col ferro fuso e l’elettro,
per
quanto fuoco e mantici valgono, non ti mostrare
quasi
dubbiosa delle tue forze, pregando![2]
Queste
parole indicano molto chiaramente la vera materia con cui furono fatte queste
armi di Achille, da cui
quel
terrore dei Frigi,decoro e sostegno
della
stirpe Pelasga
(Ovidio:
Metamorfosi, XV)
questo
valente, potente, bollente Achille, al dire di Virgilio e Catullo, mostra così
tanto coraggio.
Come
abbiamo visto, l’Elettro, che Filippo Teofrasto Paracelso chiama Elettro
magico, composto da sette metalli riuniti in uno
solo, non è stato citato da Omero, ma Virgilio l’ha designato chiaramente e
con precisione. Ecco cosa dice Omero:
allor
gittò nel fuoco
Argento
ed auro prezioso e stagno
Ed
indomito rame
Ed
ecco come ne parla Virgilio:
IL
bronzo a ruscelli fluisce e dell’oro il metallo,
il
ferro omicida fonde nell’ampia fornace.
Ecco,
d’altra parte, cosa ne scrive Paracelso nel suo libro Sull’Elettro
magico: “Se riesci a racimolare e fondere in un solo metallo e
nell’ordine dovuto i sette metalli, quest’unico metallo che noi chiamiamo Elettro
racchiude tutte le virtù dei sette che lo compongono.
Non solo possiede le proprietà specifiche dei singoli metalli, ma ha,
inoltre, preziose virtù soprannaturali”. Più oltre aggiunge:
“Quando
un piatto o un bicchiere è fatto di quest’Elettro, non si potrebbe
avvelenare, ne affatturare la persona che ne usa,
purchè essa presti un pò d’attenzione. Ecco cosa bisogna considerare: in
quest’Elettro risiede una meravigliosa simpatia verso l’uomo, simpatia
provocata dai sette pianeti celesti, in modo che in caso di pericolo, si
ricopre di goccioline di
umidità. Gli Antichi tenevano in gran conto il nostro Elettro e ne
ricavavano ogni specie di utensili come
ne rinveniamo talvolta negli scavi. Ne facevano anche dei monili, come
anelli, braccialetti, catene, medaglie , sigilli,
immagini, campane, specchi, monete ecc., che poi argentavano o doravano. Ma
oggi tutto ciò è caduto in oblio e disprezzato”.
IL
vecchio Jean Matthésius, predicatore a Joachimstahl, scrive nella sua Sarepta,
al sermone Sull’Elettro:
“Gli
Antichi chiamavano pure Elettro una
miscela d’oro e d’argento, che, al dire di Plinio, scintillava alla luce
delle fiaccole più dell’oro fino di cui era
adorna la sala del re Nenélut, e che pur’essa aveva lo splendore del sole.
I principi e i gran signori se ne facevano fare
delle corazze e delle bracciere. Si fabbricavano pure coppe e ciotole,
soprattutto con dell’oro mescolato naturalmente
con dell’argento, perché questi contenitori non assorbivano i veleni; così
pure, infatti, se si versava del vino avvelenato, si vedevano formarsi alla
sua superficie elle onde e dei cerchi che andavano e venivano senza posa, come
quando si getta una pietra nell’acqua. Avevano il riflesso dell’arcobaleno
e emettevano scintille, come quando si passa di
notte la mano sul dorso di un gatto. Ma questo
metallo ha tale proprietà soltanto quand’è naturale; fabbricato
artificialmente, non gode più di nessuna virtù”.
Tutto
ciò che stiamo dicendo vale non solo per l’Elettro, mescolanza naturale
d’oro e d’argento estratto tutto preparato dalle miniere, come ritiene
Matthésius, che ha potuto parlarne per esperienza diretta, ma anche da un
Elettro forgiato secondo l’insegnamento di Omero,
Virgilio e del sapiente Paracelso, e a cui bisogna prestare fede come a dei
maestri in quest’arte, soprattutto Paracelso. Matthésius che ignorava
questa composizione artificiale non ne poteva
certamente parlare. Non nego per ciò stesso l’eccellenza di questa lega
naturale d’oro e d’argento di cui parla il predicatore, se pur se ne può
avere. Questa lega in cui i metalli entrano in parti uguali, sarebbe ottima e
utilissima e la si potrebbe aggiungere agli altri
cinque metalli.
E’
anche molto probabile che i due antichi candelieri di metallo che erano ancora
qualche anno addietro nel chiostro di San Michele arcangelo a Hildesheim,
diocesi di Colonia, a otto leghe da Wolfenbuttel, e
che si sono a lungo venerati come oggetti sacri, erano anch’essi formati di
quest’Elettro, poiché, su uno dei due si leggevano queste parole: “Non
son d’oro né d’argento, ma di quello che tu cerchi”, e sull’altro:
“Barbardo giurò di considerare questo candelabro come un suo fanciullo”.
Ancora
Teofrasto Paracelso scrive, nel suo libro Sull’Elettro
prima citato:
“Non
possiamo trattenerci dal far conoscere alcune meravigliose virtù ed effetti
del nostro Elettro, che abbiamo visto coi nostri
propri occhi e che possiamo attestare con sincerità. Abbiamo visto degli
anelli proteggere coloro che li portavano al dito dai crampi e dal mal di
denti; costoro non sentivano alcun dolore. Questi anelli salvano anche
dall’apoplessia e dal mal caduco; poiché
quando lo si mette al dito del cuore di un
epilettico (si tratta del quarto dito), si blocca anche la crisi più violenta
e la guarigione ne consegue poco appresso. Abbiamo anche constatato
che quando una persona porta uno di questi anelli al quarto dito della mano, e
che questa persona ha qualche malattia nascosta o ne è minacciata, l’anello
comincia a sudare e a macularsi, per simpatia. E’ anche bene sapere che il
nostro Elettro si oppone e resiste agli spiriti maligni; poiché racchiude una
virtù celeste e subisce l’influenza dei sette pianeti”.
Che
nessuno prenda per impossibilità e cosa incredibile tutto quello che si sta
dicendo sulla virtù degli anelli fatti con quest’Elettro magico naturale o
artificiale contro i crampi, il mal di denti ecc. Ancor oggi si fanno degli
anelli, cesellati da abili maestri e preparati in modo tale che arrestano i
crampi, l’epilessia, il mal di denti e moltri altri disturbi.
In
tutto ciò constatiamo che ci sono nella natura
molte cose nascoste e che vengono alla luce solo con l’Arte.
E nondimeno - O
tempora! O mores! - gli ignoranti se ne fanno
beffe; solo i saggi vi prestano attenzione e le ammirano.
Si
conoscono d’altronde nell’officina
microcosmica della natura universale molteplici specie di filatteri
- detti latinamente Amuleti
- e se ne preparano ancora contro ogni sorta di malattie, sortilegi, infermità
umane o negatività, che si portano
appesi intorno al collo con successo contro ogni superstizione, o attorno al
polso o al dito o al piede, ossia sono utili per ogni altra causa,
specialmente per eliminare le fatture e le malattie. Non esitiamo ad
offrire qualche esempio.
Geber
dice che quando si porta su di se un pezzo d’osso del braccio di un uomo e
l’osso superiore di un’ala d’oca, questo guarisce dalla febbre quartana.
Ermete Trismegisto scrive, che se un idropico o una persona che ha
l’itterizia beve per qualche giorno la propria urina a digiuno, ne ricaverà
molto sollievo!
Del
pari, inoltre, quando per il mal di denti, si appende al collo del paziente un
dente d’uomo, questi ne ricava subito un sollievo; ancor più se vi si
aggiunge una fava o si è fatto un foro e messo un pidocchio
che si è poi racchiuso in un pezzo di seta, il sollievo è ancor più
rapido.
Gian
Battista Porta scrive nella sua Magia
Naturale che quando si scuote, molto dolcemente e leggermente, l’erba
detta Verbasco, il mattino quando
apre i suoi fiori, essi cadono gli uni dopo gli altri, come se lo stelo fosse
completamente secco o come se fosse stato affatturato. Così, dice Porta,
persone inesperte e profane, potrebbero davvero
credere che si tratti di stregoneria, soprattutto se chi la sbatte muove allo
stesso tempo le labbra come per pronunciare qualche segreta parola.
Mizaldus
riferisce che gli hanno assicurato per vero, che portare nella propria mano
sinistra il cuore di un cane in mezzo a cui si è infisso un dente di cane,
impedisce ai cani di abbaiare in propria presenza, specie se si tratta del
cuore di un cane nero. Guglielmo Varignana e Pietro Argelate, chirurghi, ci assicurano:
Che se lo sposo minge attraverso
l’anello nuziale, si libera dalla fattura e dall’impotenza venerea, a cui
era stato legato da un maleficio.
Gilberto
Angelo scrive che quando si porta su sé della semenza di acetosa
raccolta da un ragazzino (cioè ancora
vergine) non si riesce ad eiaculare, ne da svegli né durante il sonno;
ecco perché questi semi sono di grande momento per
le polluzioni notturne.
L’unghia
di un alce, portata sulla nuda pelle, e i nervi della stessa bestia, legati ai
piedi e alle mani, fermano i dolori dei crampi.
L’acoro
acquatico, divelto nel mese di maggio, e il dente
dell’animale marino Ippotimo o
cavallo marino, portato da Lisbona in Germania, e del quale Jacob
Tabernemontanus fa menzione nel suo tesoro acquatico, Dello
Spasmo, hanno le stesse virtù non solo contro
i crampi ma pure contro la dissenteria e le emorragie, sia di uomini che di
donne.
IL
cranio, le corna, i nervi e l’unghia dell’alce, prese nel loro tempo
balsamico, sono state sperimentate valide ed
eccellenti anche nell’epilessia. Lo stesso dicasi
per la radice o i semi di peonia e per il fiore di sambuco cosparsi sul
cadavere putrefatto di un passero
epilettico, e ciò in
virtù della spirituale simpatia o antipatia naturale dei vegetali e degli
animali così come delle cose inanimate, ma tuttavia abbastanza sensibili
all’effetto.
Quali
virtù non son forse riferite alla vera crapodina,
se i sapienti la tengono in considerazione, tanto da portarla sempre addosso? Infatti
dove giungono i veleni sia dentro che fuori dell’uomo, subito tale pietra
muta di colore e, come se stesse sudando, secerne delle gocce.
E
del corallo, cosa dovremmo dire? Non solo gli studiosi ma anche altri
scrittori, assicurano che i coralli rossi trasparenti, hanno, per una segreta
virtù che Dio gli ha concesso, la proprietà di scacciare, tenere lontano e
dissolvere la grandine e le tempeste. Fanno anche fuggire i fantasmi
che suscitano tali uragani, gli spiriti maligni, che seppur invisibili,
ronzano attorno agli uomini rendendoli tristi e malinconici.
E’
per questo motivo che si appende e attacca al collo dei bambini, contro la
paura che potrebbe coglierli nel sonno, e al collo delle persone tristi (e
infatti in verità la melanconia il letto di Satana e il bagno del
Diavolo) dei belli e grossi grani di corallo rosso trasparente.
Un
vecchio buon Conte di Germania mi ha egualmente assicurato, raccontandolo pure
a molte altre persone come di un fatto acquisito, che un contadino del suo
distretto aveva l’abitudine, ogni volta che lavorava o seminava i campi, di
gettarvi, quà e là, dei piccoli pezzi di corallo. Mai né la grandine né le
tempeste rovinarono i suoi raccolti benchè ciò accadesse a volte agli altri
contadini i cui campi confinavano coi propri, ma
che non avevano adottato questo accorgimento.
Tra
le erbe, l’Iperico e l’Harthaù, fanno lo stesso effetto, ed è ciò che
ha prodotto quelle vecchie strofe tedesche
che Gerolamo Trug. Riferisce
nel suo libro Sulle Erbe.
das
harthaù und weisheit
thut
dem teuffel viel zu leid
Debbo
a questo punto fare menzione di una ricetta che mostra come si può, in modo
davvero naturale, stornare, con l’Iperico, le più grosse tempeste. Questo
segreto non sarà di poca utilità per un capo militare che potrà così
tenere lontane dal suo campo tutte le intemperie. Ecco la ricetta:
“L’indomani
del giorno di San Giovanni Battista, quando questa festività cade con la luna
nuova, si coglie l’Iperico prima del levar del sole. Ai quattro angoli del
campo o del giardino che si vuole difendere, si piantano quattro pioli di
quercia, il venerdì prima del sorgere del sole. Vi si appende l’Iperico e
la tempesta cesserà”.
Ce
ne sono altre che si prestano per altri impieghi:
“Essi
tracciano una croce su un piatto e vi incidono
la parola AGLA. Passano un coltello sulla croce tagliando in direzione
contro-vento e le tempeste si acquietano”.
In
Moravia alcuni signori sotterrano questi piatti sotto il pavimento. I marinai
se ne servono ugualmente quando hanno il vento contro.
“Altri
tracciano per terra, due cuori e vi incidono la
stessa parola, ma nessuno deve toccare i segni. E
ciò fa lo stesso effetto”.
Si
sa d’altronde ciò che possono la cicoria bianca,
il toro e l’origano contro la stregoneria in simili casi.
Contro
la grandine e le tempeste i fulmini e i tuoni si può
pure fare così; si tracci dapprima il segno della croce, si gettino nel fuoco
tre chicchi di grandine, (quelli che son caduti per primi) invocando la
Santissima Trinità, e si legga dopo il Vangelo di Giovanni: In
principio era il Verbo, ecc.; ci si faccia dopo il segno della croce
contro la grandine e i fulmini a sinistra e da tutti i lati e per terra ai
quattro punti cardinali. Poi, quando l’esorcista avrà pronunciato per tre
volte: il Verbo si è fatto carne,
aggiungendovi sempre queste parole: “che la
tempesta si allontani da qui in virtù di questo annuncio evangelico”, la
tempesta cesserà, soprattutto se è stata causata da una stregoneria.
Johannes Wierius afferma che questo procedimento è sicuro, valido e
assolutamente consentito (De Prestigiis Daemonum incantationibus ac veneficis,
libro IV).
Che
pensate della croce di bacche di ginepro? Si è constatata
la virtù di tali bacche su coloro che son posseduti dagli spiriti maligni, in
qualsiasi modo venga applicata.
Si
sa pure, per esperienza, che quando una donna mette al mondo sette figli un
dopo l’altro, senza che nessuno sia femmina, l’ultimo di questi nati può
sanare le scrofole toccandole poiché
è anche un privilegio che fu dato un tempo raramente ai cristianissimi re di
Francia.
Tra
le bestie, si apprezza molto il liocorno e la “croce”, il fegato e il
sangue dei lucci più giovani.
Ci
sarebbero ancora molte cose analoghe da riferire, ma ci dilungheremmo.
Continuiamo pertanto a raccontare ciò che Paracelso pensa del nostro Elettro
magico:
“Non
posso - egli scrive - passare sotto silenzio quel gran miracolo che ho visto
compiere in Spagna da un necromante. Costui possedeva una campana del peso di
appena due libbre. Quando suonava questa campana,
apparivano ogni sorta di spettri e
fantasmi. Tracciandoci sopra certe parole e caratteri, gli spiriti gli
apparivano con le sembianze che lui desiderava. Poteva anche, suonandola,
farsi comparire dinnanzi delle anime e poi bandirle: fu proprio questo che mi
fece vedere. Quando voleva guardare un’altro tipo
di apparizione, era costretto a rifare i segni. Non volle rivelarmi quelle
parole e quei caratteri segreti, ma io vi meditai sopra e lo scoprii senza
difficoltà. Vidi inoltre che la campana era più importante delle parole che
vi poteva tracciare, poiché son certo che questa era fatta con il nostro
Elettro. Di una campana simile parla Virgilio, al cui suono tutti gli adulteri
della corte di re Artius, a tal punto spaventati, caddero in un
torrente spinti da una forza invisibile”.
Questa
storia della campana di Virgilio non è una favola, ma un fatto accaduto come
si può leggere nelle cronache della Corte di re Acturius, o Artius, o
Messenius come pure è detto. IL vescovo Paolo Gionio dice pure che ciò non
dev’essere preso per una favola, poiché se ne parla anche nel libro di
Giovanni Frisio Sulla Conservazione degli Archivi e nelle Storie
d’Inghilterra e, ancora, in Polidoro Virgilio. Ancora altri studiosi vi
fecero riferimento, tra cui Jean Richard Menzer nel Tyrocinio
Emblematum.
Si
può leggere ancora in Paracelso, Dell’Aspetto
delle Costellazioni, com’erano fatti i tre meravigliosi specchi
fabbricati con il nostro Elettro Magico. Ma non è
necessario parlarne. Torniamo dunque ad Achille e alla sua armatura.
Ricevette
dunque da sua madre Theti queste armi meravigliose forgiate da Vulcano con il
nostro Elettro:
Armi
ti prendi di Vulcan, che mai
Mortal
non indossò. - Così dicendo,
Le
depose al suo piè.
Essendosene
rivestito per affrontare il nemico, seminò il terrore tra tutti gli
avversari. Così avvenne il combattimento contro i Mirmìdoni, narrato da
Omero:
...Dier
quelle un suono
Che
terror mise ai Mirmidòni: il guardo
Non
le sostenne, e si fuggir.
Zisca,
che comandava gli Hussiti, in Boemia, conosceva senza
alcun dubbio queste meravigliose operazioni
del Magnete spiritualmente di natura antipatica e invisibilmente attraente gli
avversari. Infatti quel generale aveva
ordinato, se fosse morto, di togliergli la pelle e farne un tamburo,
assicurandogli che in battaglia il rimbombo di un siffatto
strumento avrebbe atterrito i nemici, come se egli stesso, che era il
loro terrore, vi presiedesse ancora.
Si
legge inoltre nella Canzone di Rolando che il suono del corno Olifante
possedeva una virtù soprannaturale e magica.
Io
ho appreso, da un vecchio cercatore di topi (al
quale così come alla sua arte bisogna prestar fede),
che al suono di un fischietto ricavato dalla spina dorsale di un grosso
topo e di un piccolo tamburo ottenuto dalla pelle dello stesso, tutti i sorci
che l’ascoltano, gli obbediscono: accorrono al suo richiamo, si radunano e
si lasciano condurre dove si vuole.
Fu
con questo sistema che la città di Hameln sul Weser, nell’Hesse, fu
liberata da ratti e topi. Uno di questi cercatori, infatti, giunto un giorno
in tale città, stipulò un patto con il borgomastro e la popolazione, in base
al quale, grazie ad una data ricompensa, si sarebbe
impegnato a liberare la città da tutti i roditori. Mantenne la parola:
estratto un fischietto di tasca, fece accorrere a quel
suono tutti i topi e i ratti della città. Questi lo seguirono e si
annegarono nel Weser. L’uomo richiese pertanto il suo compenso, ma siccome
il magistrato e i notabili della città opponevano delle difficoltà, egli li
invitò più volte di risolvere la questione amichevolmente. Le sue parole non
sortirono alcun effetto; allora, estraendo un diverso fischietto dalla tasca,
emise un fischio acutissimo. Immediatamente tutti i bambini della città gli
si fecero intorno; lo seguirono mentre l’uomo entrava con loro dentro una
montagna che li richiuse dentro, e da quel momento
non se ne seppe più niente.
Si
cita a proposito di questo fatto che negli atti di nascita e battesimo e in
tutti gli scritti pubblici, i Magistrati della città di Hameln non
conteggiano più gli anni a partire dalla nascita di Gesù Cristo, ma dalla
partenza di quei fanciulli. Quando
io passai di là, mi si fece vedere il posto della montagna dov’essi erano
entrati. In Austria, come in altri luoghi, mi è stato detto che tali fanciulli
erano stati portati in Transilvania o in Ungheria, come si presuppone per
la parlata e la singolarità della lingua e dei discorsi differenti da quelli
transilvani.
Per
tornare al nostro argomento, diremo pertanto che le armi forgiate da Vulcano
rafforzarono il coraggio di Achille. Omero lo
riferisce con queste parole:
...Ma
come
Le
vide Achille, maggior surse l’ira,
E
sotto le palpèbre orrendamente
Gli
occhi qual fiamma balenar
Vulcano,
talmente sicuro della propria arte e abilità, mantenne davvero la promessa
fatta a Theti dicendogli:
...Così
potessi
Alla
morte il celar, quando la Parca
Sul
capo gli starà, com’io di belle
Armi
fornito manderollo, e tali
Che
al vederle ogni sguardo ne stupisca.
La
storia ci conferma le parole del dio; Achille infatti,
con queste armi indosso fu pieno di coraggio e invincibile. Fu necessario che
Priamo, figlio del re troiano, l’invitasse a venire nel tempio di
Apollo sotto il pretesto di una riconciliazione e con la promessa di
dargli in sposa la bella principessa Polissena, propria sorella, perché, nel
momento in cui non temendo nulla non aveva indossato quest’armatura, due
traditori: Paride e Deifobo, gli trapassarono il petto con le loro freccie,
uccidendo in tal modo colui che, nelle battaglie più accanite, non era mai
stato sopraffatto, così come scrisse Ovidio.
E
così dunque tu , Achille, vincitore famoso di così
grandi guerrieri...
Ciò
che mostra una volta di più il valore inestimabile di queste armi
Elettro-magiche, fu la disputa che sorse tra i due eroi greci Aiace e Ulisse
per il possesso di questa stessa armatura. Entrambi erano
degni di averla; uno rivaleggiava in coraggio con Achille, l’altro era il più
saggio di tutto l’esercito greco. Essendo state assegnate ad Ulisse le armi di
Achille, Aiace, pieno di rabbia, si uccise, ciò che prova ancora il
prezzo inestimabile e le meravigliose virtù di quelle armi. In difetto di ciò,
infatti, i due eroi non avrebbero lottato con tanto ardore per conquistarle e
non sarebbero arrivati a certe esagerazioni, per non dire che nemmeno
lo stesso Ovidio, con l’eloquenza declamatoria dei suoi tempi, trattando
dello stesso argomento, avrebbe decantato in quella
maniera il giudizio delle armi di Achille.
Tutti
questi fatti ci testimoniano della reale esistenza di quelle armi, che
è lecito credere essere esistite nella natura
delle cose.
Ma
per tornare alla fabbricazione del nostro Elettro magico, sappiamo che
dev’essere composto “da una mescolanza simpatica indissolubile secondo il
moto dei pianeti e degli astri celesti, rivelando ciò che è superiore a ciò
che è inferiore, ossia attraverso quest’operazione magica naturale ciò che
è superiore partecipa della stessa natura di ciò che è inferiore”.
Ecco secondo i dettami di Paracelso come si compie quest’operazione
artificiale:
PROPORZIONE
DEI PESI DEI METALLI DELLA COMPOSIZIONE
Oro
e argento di ciascuno 10 parti. Sole e Luna 10
dracme.
Rame
e Acciaio di ciascuno 5 parti. Venere e Marte 5
dracme.
Stagno
e Piombo 2 parti. Giove e Saturno 2 dracme.
Mercurio
1 parte. Mercurio 1 dracma
Occorre
che questi metalli siano purissimi, secondo i precetti di Paracelso nel suo
libro Sull’aspetto delle
Costellazioni.
Per
comporre l’Elettro magico con tutti questi metalli, Paracelso ci dice che
occorre scegliere il momento in cui c’è congiunzione
tra Saturno e Mercurio. Quando questa congiunzione
sta per avvenire, teniamo pronto il fuoco, gli utensili, il piombo e il
mercurio, e procediamo poi come indica Paracelso nel libro Sull’Aspetto
delle Costellazioni finchè l’Elettro è composto. Ecco le parole di
Paracelso a riguardo:
“In
questo modo si è preparato artificialmente l’Elettro magico. Con questa
composizione davvero magica furono fatte le armi reali forgiate da Vulcano”.
Tale modo di fabbricarle secondo la dottrina esposta da Paracelso nella sua Filosofia
Sagace si riferisce alla quarta specie dell’arte
magica naturale specialmente sumpta, che si chiama gamaheas,
modo che consiste, scrive sempre Paracelso, nel fare, “invisibilmente e
spiritualmente con l’aiuto dell’arte tutto ciò che la natura può fare
visibilmente e corporalmente senza l’aiuto dell’arte”.
IL
corpo, infatti, non entra affatto in quest’operazione; agisce con efficacia
soltanto l’anima invisibile: Lo
spirito di quest’ente naturalmente composto, ossia l’anima invisibile che
esce magneticamente e rientra nell’anima degli uomini avversari e fascina
questi stessi in modo naturale, impedendo le loro volontà e azioni in maniera
spettacolare.
Ciò
corrisponde praticamente a quell’erba scoperta da
Ippocrate che spegneva il fuoco e salvava dalle ustioni chi, da un mastello
forato in più punti, assorbiva un tanto dell’acqua che conteneva la pianta.
E’ anche quello che opera la radice del vero Aconitum
pardalianches che, somigliando ad uno scorpione, uccide tutti gli
scorpioni con cui viene a contatto, tanto è piena
di forza e acredine.
Si
potrebbe credere che avviene lo stesso con i
contatti corporali, ma è facile provare il contrario.
Se
qualcuno vuole depositare troppo vicino a voi i suoi escrementi e se ciò vi
dispiace molto, potete vendicarvi di questo affronto
senza toccare il suo corpo. Ponete sui suoi escrementi dei carboni ardenti con
dell’acquavite e delle bacche di ginepro o di pepe, e ciò gli farà sentire
un dolore nella parte interessata , e ciò senza
contatto corporeo, ma tuttavia non senza un contatto spirituale, di natura
magnetica e invisibile, anche a distanza, ed i dolori dureranno per più
giorni.
Si
potrebbe ancora, se fosse necessario, riferire diversi esempi di
quest’azione indiretta, derivata dalla natura. Si può obiettare che il
Diavolo ci si immischia, ma faremo notare, che non
è cristiano voler attribuire in tal modo al demonio più potere di quanto se
ne attribuisce all’infinita saggezza e onnipotenza di Dio.
Lasciamo
dunque alla natura i suoi grandi misteri; essa è più potente di quanto ci si
possa immaginare.
Non
ci sono forse un’infinità di uomini celibi o
sposati che, con questi mezzi del tutto naturali, vengono legati
con operazioni di genere venereo, e ciò senza alcuna azione diretta, ma solo
mediante un’influenza a distanza tutta magnetica e tutta invisibile.
Ed
il Diavolo non vi entra per nulla, nè apertamente, nè segretamente, per
quanto l’abuso di qusta magia naturale che fanno
gli uomini in certi paesi, è causa spesso di grandi danni.
Si
potrebbe ancora aggiungere, che il Diavolo, senza essere invocato
espressamente o tacitamente può intervenire in questi malefici, svolgendovi
quanto meno una certa azione, poiché è il nemico giurato del matrimonio, ed
aspira a sconvolgere la pace e la buona
intesa delle famiglie, volendo impedire la propagazione del
genere umano. A quest’obiezione, non risponderò.
Che
si potrebbe dire ancora dei mezzi con cui un coniuge si può servire per
rendere l’altro impotente? E di ciò che una donna può fare al proprio
marito che sospetta di adulterio? Quando
costui parte in viaggio o non importa in quale altra occasione, non può essa,
dopo il coito, legarlo
invisibilmente, e in maniera del tutto naturale, ed impedirlo a tal punto, da
essere incapace di ragionare, di avere gradevolmente commercio carnale con
un’altra donna? Ma su ciò si è detto
abbastanza.
SEGUE
LA CONFEZIONE DELLE ARMI DI ELETTRO MAGICO
FATTA
PER FABBRICAZIONE VULCANICA E FISICOMAGICA
Per
confezionare e forgiare gli oggetti di Elettro
Magico che è un’operazione di carattere “marziale”, bisogna
necessariamente che tutto ciò che vi concorre sia
altrettanto “marziale”: il
cielo, l’aria, il tempo, il giorno, l’ora, il minuto, il luogo, gli
utensili, il fuoco, il coraggio, la voce e l’atteggiamento di colui che le
fabbrica. Bisogna consultare e osservare scrupolosamente i consigli che
Paracelso offre nei suoi due libri: Sul
Tempo e La Posizione delle
Costellazioni.
E’
anche opportuno leggere quello Sulle
Immagini per saper ben riconoscere le costellazioni e la posizione degli
astri nel cielo; ciò si compie nella
scuola ortodossa dei grandi naturali.
Pertanto
posso qui di seguito affermare che non si ha assolutamente a che fare con gli
spiriti diabolici, né con la necromanzia, ma soltanto con la Magia naturale
permessa e con tutte le altre scienze che Dio ha conferito al padre del
genere umano, Adamo, e che si sono trasmesse di generazione in generazione.
Per ogni spiegazione a riguardo si possono leggere le seguenti parole nel
libro di Martini del Rio Sulle
Disquisizioni Magiche (I,3): “la magia
naturale, come avvertono Proclo e Psello non è nient’altro che una più
esatta cognizione degli arcani della natura, del corso
e dell’influsso dei cieli e degli astri, e osservate le simpatie ed
antipatie delle cose più singolari, a suo tempo, luogo e modo di applicarsi,
ed è meraviglia a guardare delle cose individue...”
Del
Rio parla allora in questo brano di Tobia che rende la vista a suo padre
grazie al fiele (della bile) di un pesce che Gallieno e altri antichi chiamano
col nome di “Gallonymo”.
Per
la stessa ragione il suono di un tamburo fatto con
la pelle di lupo ne fa lacerare un altro fatto con pelle d’agnello.
Cardano
scrive del pari che a Venezia, un Turco si lavava le mani, senza mai
bruciarsi, nel piombo fuso.
Sant’Agostino
cita lui pure molti fatti relativi alla Magia
naturale: la carne di pavone che non si corrompe; la paglia, che con la sua
freschezza conserva il ghiaccio e gli impedisce di liquefarsi; il calore, che
può far cadere i frutti; il sale di Agrigento che fonde al fuoco e coagula
nell’acqua; i magneti; la fontana d’Epiro ecc.
Notiamo
pure ciò che Tertulliano riferisce del Dittamo, con il quale un cervo è in
grado di estrarre il ferro dalla ferita; della Celidonia di cui si serve la
rondine per dare la vista ai suoi piccoli.
Alessandro
il retore parla del veleno della Tarantola o Falangio di Calabria il cui morso
non potrebbe esser curato. Non vi si può rimediare in alcun modo, se non
facendo danzare al suono di uno strumento le persone morsicate fino a che
cadono esanimi al suolo.
Se
qualcuno ne vuol sapere di più sull’argomento
non ha che da leggere Aristotele (Delle
Aggiunte Notevoli), e Guglielmo di Alvernia (Sull’Universo).
Si leggano pure Robert Triez (Sugli
Inganni dei Demoni); Sirem (Sul
Fato, lib.9, cap.5); Fracastoro (Delle
Simpatie e Antipatie); Joan Lang (Lettera
33).
E’
ammesso da tutti che il re Salomone conoscesse alla
perfezione questa Magia naturale. Si afferma pure, del tutto verosimilmente,
che fosse stata conosciuta dai tre Magi del Vangelo
che cercarono Gesù Cristo. Ci si domanda allo stesso modo se costoro conoscessero
la Magia nera o diabolica. Posta la questione, se furono davvero colpevoli di
questo crimine, è certo che dopo aver cercato e trovato Gesù Cristo, dopo
averlo riconosciuto e adorato come loro Dio, ne furono liberati. D’altronde,
è un argomento su cui non vale la pena soffermarsi.
Teofilatto,
nei suoi sogni, afferma che praticavano la stregoneria....
Ma
dove andremo a finire con questi discorsi?
Tenete
dunque per certo che in questa fabbricazione delle armi elettro-magiche, non
c’è bisogno di nessuno scongiuro, né di consacrazione, come talvolta
avviene nella Magia nera. Sarebbe d’altronde poco cristiano. Se i pagani
hanno potuto avere, fabbricare ed usare con profitto l’elettro-magico senza
scongiuri, ne consacrazioni, di cui Omero e
Virgilio non fanno alcuna menzione, perché, noi, che siamo cristiani,
vorremmo contro l’espresso divieto di Dio, sottometterci alla potenza del
Diavolo, rinnegare così di proposito la parola divina, il santo nome di Dio e
i santi sacramenti, tutto ciò per la nostra perdizione, rovina e dannazione
eterna.
Non
è certo questo l’insegnamento di Paracelso, che, al
contrario, nella sua prefazione alla Filosofia
Occulta, ci avverte seriamente di tenercene alla larga
accuratamente.
Dunque,
quando vi vorrete fabbricare e forgiare delle armi, fate in modo che prima di
cominciare abbiate sottomano tutto ciò che necessita,
per non mancare di nulla e non
intralciare il lavoro quando sarà avviato.
Quindi
apprestate il fuoco; intendo quel fuoco magico di Tubalcain o Vulcano,
appropriato e preparato specialmente e marzialmente per quest’opera, molto
noto a quei figli dell’arte magica naturale e pratica, fuoco che deve
servire ad animare nella misura convenevole il fuoco comune, cioè
il fuoco del cielo. Si deve allora prendere del legno bruciato dalla folgore -
cui presiede sempre un certo nume
marziale - e che, secondo le leggi scientifiche, deve essere sempre
conservato, ardente, in una lampada, per poterne fare uso. Si legge, infatti,
che Vulcano avesse sempre di questo fuoco, e lo
conservasse nell’isola di Lemno per servire alle sue differenti operazioni.
E’ ciò che dice a Venere con le seguenti parole:
Per
quanto fuochi
e mantici valgono
Un
gentiluomo scozzese possedette a lungo, sembra,
questo fuoco.
Tenete
subito disponibile la massa metallica dell’Elettro, i mantici, l’incudine,
il martello, e quando si presenta il momento propizio, come dovrete sapere
dalle vostre osservazioni astronomiche, prendete in
mano il martello, colpite con forza e coraggio il metallo e forgiate le armi
dandogli l’aspetto che voi vorrete.
Non
bisognerà però scordare la congiunzione degli astri interiori microcosmici (astrorum
coeli microcosmi humani) e farli agire allo stesso tempo, senza di che
un’operazione di questo tipo di arte naturale
magica, non potrebbe giungere a buon fine. E’ una delle ragioni che hanno
ostacolato molte persone, peraltro istruite sull’argomento, nel
raggiungimento dello scopo di preparare
i sigilli astronomici e gamahetici; non vi arriverete mai se trascurerete
quest’espressione e quell’impressione di
Coraggio “marziale”, quand’anche osservaste tutto
il resto con scrupolo, comprese le costellazioni del cielo
microcosmico. C’è, infatti, in
quest’influenza degli astri del cielo microcosmico, ossia in
quest’espressione ed impressione naturale dell’animo fascinante, uno di
quei tre principi dell’arte magica naturale, dei quali fa menzione l’abate
Tritemio nella lettera al Conte di Westemburg e Cornelio Agrippa nei suoi
scritti.
Se
ne rinviene un’istruzione sufficiente e completa
nelle opere di Paracelso, principalmente nei Libri
Aurei di Filosofia Occulta, Sulla
Longevità nella Filosofia Sagace, Del Tempo, Sulle
Immagini, Sulla Peste nel Paramyro
e Sull’Elettro Magico o Composizione
dei Metalli. Lì rimando
tutti coloro che vorranno esercitarsi più
particolarmente nell’arte di Vulcano.
COME
SI DEVE PREPARARE L’ELETTRO
Aspettate
dapprima il verificarsi di una “congiunzione” tra Saturno e Mercurio.
Preparate poi un crogiolo, del piombo rotto il piccoli
pezzi e delle gocce di mercurio. Quando la
“Congiunzione” sarà in atto, fate fondere il piombo a basso regime, in
modo che il mercurio non evapori quando ve lo aggiungerete. Con la
“Congiunzione” aggiungete poi il mercurio, dopo aver ritirato il crogiolo
dal fuoco, e lasciate il tutto a raffreddare. In seguito attendete il
verificarsi di una “Congiunzione” di Giove con Saturno o Mercurio.
Preparate di nuovo tutto ciò che occorre. Fondete in crogioli separati stagno
inglese e piombo+mecurio. Toglieteli poi dal fuoco, uniteli assieme e
lasciateli raffreddare completamente. Avrete così ottenuto i primi tre
metalli, i più facili a fondere riuniti in uno solo, e che d’altronde
conviene unire per primi.
Aspettate
ora un’altra tra le
“Congiunzione” di questi quattro pianeti. Del sole,
della luna, di venere o di marte con uno dei primi tre: saturno, mercurio o
Giove. Non importa quale dei tre. Apprestate tutto come si deve e fate
fondere a parte la prima lega e gli altri metalli. Infine uniteli.
Fate
lo stesso con tutti i metalli finchè non li avrete
riuniti tutti e sette in uno solo, secondo la congiunzione del proprio pianeta
corrispondente, e l’Elettro sarà pronto. Nel forgiarlo siate coraggiosi e
forti, pronunciando più volte in voi stessi i seguenti versi con voce
marziale, cioè non rotta, irosa, aspra,
minacciosa, spaventevole, di grande effetto.
Io
dell’irruente divino Marte fabbrico
le
armi: a chi le indosserà nulla potrà nuocere, né il fuoco,
né
il ferro, né l’acqua ma saranno timore e terrore
per
gli uomini che le vedranno su me
e
che esse mi rendano di orrido aspetto
Ora
soffiate sul vostro lavoro e ricominciate più volte, molto vigorosamente,
dicendo:
Come
il lupo feroce atterrisce gli imbelli agnelli
e
il timido capriolo impaurisce di fronte a fulvi molossi
così
quest’armi incutano sgomento ai mortali
Soffiate
ancora più volte più che potete sulla vostra
opera, e dite:
Non
mihi proesenti poterit consestere mente
quicunque
his armis audax vult obvius ire
irrita
tela dabis, quicunque minabere nobis
Soffiate
sempre più forte e, lavorando la vostra opera per dargli l’aspetto voluto,
dite:
Come
quest’Elettro si liquefa rapido al fuoco
Come
quest’Elettro si modella docile ai colpi,
Così
alla vista di quest’armi si sciolgano i cuori,
Così
quest’opera fortunata renda vana ogni minaccia
Quando
i Turchi cercano erbe e radici per il loro Maslach, preparano sempre gli
stessi rimedi per molteplici applicazioni. Ma applicano il looro spirito, i
loro sensi, i loro pensieri, le loro parole e le loro azioni a queste
preparazioni secondo l’uso che vogliono farne.
Così,
se il rimedio deve renderli forti e coraggiosi, lo assumono assumendo
un’aria spavalda e combattiva e se ne servono per i combattimenti. Se
il rimedio deve servire per eccitare le loro passioni carnali, agiscono di
conseguenza. Se piangono e si lamentano, il
medicamento li fa piangere ed essi se ne servono per piangere i loro defunti;
se ridono, cantano o si divertono cogliendo queste erbe, il rinedio, più
tardi, li farà ridere e cantare - in breve - secondo la loro disposizione di
spirito, secondo i loro pensieri e azioni, il risultato differisce. Per
comporre questo Maslach sembra che prendano radici di salice da cui ottengono,
con acquavite, un estratto che conforta il cuore ma
al Maslach della temerarietà aggiungono radice di Mandragora.
Lo
stesso dicasi
per il Lelek di Boemia; gli archivi della Corte d’Appello di Praga ne fanno
menzione ed un giudice di quel tribunale lo riferì ancora a persone degne di
fede.
D’altronde,
che c’è di strano? L’asaro e la radice di nocciolo non purgano
forse dall’alto o dal basso a seconda che la si sradichi dall’alto o dal
basso?
Così
in natura ci sono una miriade di fenomeni simili. Chi li osserva e conosce non
può non restarne ammirato.
Ecco
ciò che vuole Vulcano e quello che esprime ancora in questi versi:
Per
quanto fuochi
e mantici valgono..
Quando
avrete fatto le vostre armi, secondo le prescrizioni di Paracelso, non vi
resterà che da mettere a posto i vostri strumenti e nascondere le armi per
otto giorni. Le riprenderete alla
stessa ora e allo stesso giorno, le luciderete con cura e le custodirete
per servirvene alla prima occasione. Sulla corazza inciderete poi qualche
segno o figura, cara a colui che porterà queste
armi, facendo una salutare impressione sul suo spirito.
Infatti
gli oggetti dei nostri sensi e gli stessi uomini tra loro agiscono
differentemente; e ci sono gli irritanti, gli incitanti e quasi calcaria a
stimolare l’appetito dell’animo in questo contesto marziale, come i
gloriosi e generosi che lo portano avanti in maniera invece virtuosa. L’uomo
infatti, causa un continuo riandare con la memoria a questi oggetti,
con ferma fiducia e fede di
costante stimolo, contempla la
porta dei miracoli a tal punto infiammato, che tanto è fonte di salvezza,
quanto e tanto di mirabile virtù è donata dal celo; al punto che
è di sostegno a molti tra i più
insigni affari, come quei tali, che dai profani a malapena sono presi sul
serio.
Fu
così che l’imperatore Costantino portava una croce con queste parole: Con
questo segno vincerai. Altri principi, dopo di lui, adottarono altri
emblemi. Se ne misero più tardi sugli stendardi e sui vessilli di cui ci si
serviva in guerra. Si può vedere infatti , nelle
relazioni delle campagne dell’imperatore Mattia, che questo principe donava
sempre degli emblemi alle proprie truppe e ai suoi generali quasi
fossero sprone e stimolo di virtù e fortezza. E’ lo stesso pensiero
espresso da Omero nei versi citati all’inizio di questo libro:
Cinque
dell’ampio scudo eran le zone;
E
gl’intervalli, con divin sapere,
D’ammiranda
scultura avea ripieni.
Le
corregge che devono servire ad attaccare la corazza
devono essere di pelle di iena. In
mancanza di questa andrà bene quella di un lupo ma bisogna
tagliarla da un lupo vivo, visto che tale animale è terribile e coraggioso.
Spesso
dei cacciatori e dei viaggiatori hanno subito da parte di qualche lupo, senza
dubbio con i raggi degli spiriti che visitano, una specie di fascinazione
simile a quella che esercita la iena ed in cui hanno perso la voce, non
potendo in tal modo gridare o chiamare aiuto. Ciò avviene soprattutto quando
sono i lupi per primi che si accorgono degli uomini. Pertanto
Virgilio scrive (Bucoliche: IX):
...persino
la voce
abbandona
Meri: i lupi lo hanno visto per primi.
Certe
virtù permangono anche dopo la morte degli animali in diverse parti del loro
corpo. Si può, a riguardo, citare numerosi esempi riferiti da studiosi e
medici. Così, si è spesso e utilmente seguito il consiglio
di fare altrettanto con la pelle di un lupo e prenderne dei pezzi per
servirsene come di un filatterio.
Si
dice, comunemente, che una buona spada
e un buon cavallo fanno onore a un cavaliere.
Dunque, per dare ad un cavaliere un’indole marziale, bisogna porgli in mano
delle armi fabbricate con questo intento. Si
scelga, per esempio, per fare una spada una lama con la quale una o più
persone sono state uccise. Si
prenda, per fabbricarne l’elsa, il raggio di una ruota che è servita a
suppliziare un criminale; ci si serva per fare il pomo e la guardia di
una catena di ferro su cui si è impiccato e strangolato un malfattore; che si
metta infine attorno all’elsa il
primo sangue mestruale di una vergine che si dovrà aver raccolto in un
pannolino e ricoperto con un’altra materia qualsiasi.
Per
fare un pugnale, fate nella stessa maniera.
L’esperienza
ha dimostrato che le persone che si sono servite di spade e pugnali di tal
fatta, non solo hanno sconfitto i loro avversari, ma che quest’ultimi, colti
da subitanea paura e scoramento, sono stati costretti a battere in ritirata.
In più, e con loro grande stupore, le loro armi
gli si spezzavano in mano.
Non
c’è che da leggere Cornelio Agrippa (Della
supremazia del Sesso femminile), per scorgere le virtù e le numerose
proprietà del primo sangue mestruale
raccolto in una pezzuola. Marco Claudio Paradino scrive nell’opera In
Heroicis, di Tommaso d’Aquino, che possedeva un coltello col quale
poteva tagliare in due una piuma.
Era
una spada del genere quella che possedeva Hoernin Seyfried di cui si può
vedere l’antichissima riproduzione sul palazzo municipale di Worms. Si
mostra pure, un poco fuori di quella città, il Giardino delle Rose, dove
morirono non pochi eroi.
IL
grande segreto di Hoernin Seyfried consisteva, si
dice, in una corazza fatta di corno e feltro, e che né spada o pugnale
potevano trapassare.
Si
dice che il nome della città di Worms deriva dai versi che occupavano il
luogo e che Hoernin Seyfried distrusse e bruciò in gran numero. Questo è il
motivo per cui
quando al conservatorio di quella città un artista canta in pubblico e
senza che gli esaminatori ne censurino alcunchè, tutta la storia di Hoernin
Seyfried, riceve, secondo un’antica usanza, una grossa somma di denaro.
Così,
checchè ne dicano certi increduli che trovano vero solo ciò che li riguarda,
non sono mere invenzioni i racconti su Hoernin
Seyfried e Rolando, così come non lo sono quelle del vescovo di Ratisbona,
Alberto Magno, e del dotto filosofo e medico Paracelso.
Quest’ultimo
trovò un segreto, che, nella Filosofia
Sagace, chiama arte gladiale o
incisiva, per tagliare come cera anche il
metallo più duro. Bisognava portare attorno al braccio che impugnava la
spada, sotto il vestito, la pelle di un serpente scorticato vivo. Costui
spargeva pure , per una ragione che sarebbe lungo
spiegare, il terrore e la paura tra i nemici . Ora dobbiamo aggiungere ciò
che il re e profeta Davide portava attorno al braccio destro quando avanzò
contro Golia (cioè efflato
e patto divino), e ciò che portava attorno ai fianchi allorchè danzava
davanti l’Arca dell’Alleanza per mostrare che tutta la sua speranza e la
sua consolazione vertevano sulla venuta del Messia, e si trattava di una
cintura, simile a un serpente, su cui era scritto il nome Jeshua
(Gesù). Dobbiamo pure fare menzione di ciò che Gedeone portava sul petto
e di ciò che i fanciulli d’Israele mettevano nei
loro abiti, cone eterno ricordo, allorchè combattevano contro i nemici di
Dio.
Se
un combattente vuole salvaguardarsi, che porti sulla pelle nuda e faccia
scorrere sotto gli abiti, quel succo rosso disseccato che si rinviene ai dì
di San Giovanni in piccole vesciche attaccate alla radice della pianta
chiamata poligonum minus sive
cocciferum: ma questo succo lo si rinviene solo
tra le undici e mezzogiorno. Inutile ricercarlo al di fuori di quest’orario.
Un
uomo, per il resto eccellente, ne portava su di sé quando doveva combattere.
Un giorno ricevette al polpaccio un colpo di sciabola che lo fece vacillare,
ma che non lo ferì; non ne ebbe che un ematoma,
sul quale fece fare un’incisione facendolo rientrare. Paracelso scrive Sul
Tempo dell’Altea che è ricoperta da 24 cotte di maglia e che quando la
si indossa essa smussa tutte le armi nemiche, cosicchè si è al riparo
di ogni ferita.
Un
giorno vidi io stesso un uomo che portava sotto il braccio destro e sulla nuda
pelle, in un piccolo fazzoletto cucito dentro il vestito, il
primo sangue mestruale di una vergine, e che obbligò di rompere una
lancia dopo l’altra, rovesciò quest’ultime dopo che sostenne da solo ben
sessanta assalti. Inoltre, la sera di quel giorno, scherzando con altre
persone, per guadagnare un pugnale d’argento, quest’oggetto gli ritornò
utile, benchè fosse stato costretto di rifare
delle parti con persone che avevano altrettanti punti di lui.
Si
può dunque senza inconvenienti portare indosso questo genere di filatteri
naturali; ma si stia ben attenti a non impiegare queste formule superstiziose
e questi mezzi diabolici insegnati dalla magia nera. Le persone se ne servono
anche troppo spesso, ma non ci si saprà difendere una
volta giunti al cospetto di Dio e dei suoi fedeli.
E’
agevolmente permesso ad un uomo di servirsi scaltramente delle armi da fuoco,
di caricarle sia con della polvere da sparo, che con del piombo, ma anche con
dei pezzi d’oro, d’argento, di ferro e d’acciaio fuso assieme ai
proiettili: si possono impiegare tutti i mezzi possibili posto che siano
leciti.
E’
ciò che Virgilio esprime in questi versi:
Che
cosa occorre contro il nemico, astuzia o coraggio?
Le
persone industriose sanno trovare i mezzi appropriati. Ne riparleremo altrove.
Non
posso tuttavia trattenermi dal
dire come si possono confezionare dei proiettili che possono trapassare la
corazza più spessa. Fate delle piccole bolle d’acciaio, grosse come pesi,
fondete del piombo e mettetecelo sopra. Caricate le armi con questi proiettili
e, sparando a una corazza, da giusta distanza, la
vedrete trapassata da parte a parte. Tenete segreta questa ricetta per
servirvene a tempo e luogo.
Lo
stesso materiale adoperato per il pomo e la guardia della spada o del pugnale
dev’essere impiegato per gli speroni, per i ferri di cavallo, per il morso e
i diversi pezzi che compongono l’equipaggiamento.
Ecco
adesso, un buon sistema per far procedere i cavalli ritrosi. Fate le briglie
con pelle di lupo, mettete nel morso qualche frammento di camaleonte nero nel
suo pieno vigore, cioè in autunno. Tale pianta
infatti ha il potere di ostacolare la forza di un uomo e del suo
cavallo per trasferirla a colui che sa servirsene. In una corsa, come ben si
sapeva una volta, non si può mai venire raggiunti.
In
determinati periodi questa radice, scrive Giorgio Fedrone in Chirurgia
minore, quando la si porta indosso, e
per di più nell’atto di coire con donne nel loro periodo fertile,
impedisce ai più gagliardi la
facoltà di procreare figlioli e la trasmette invece a chi è sterile.
E’
questo un metodo per non avere progenie, se non si è ancora fatto ricorso
alla preghiera e alla speranza dell’aiuto divino.
Paracelso
scrive di taluni cardi d’Inghilterra che egli chiama Cardi
di Maria - se ne rinvengono ora dappertutto ed in gran quantità - che,
per simpatia, tolgono le forze agli uni per dare agli altri che ne portano
indosso la radice. Paracelso ne cita diversi esempi.
Infine,
per rendere forti e coraggiosi, c’è ancora la famosa ed eccellente Acqua di
Magnanimità (Aqua Magnanimitatis). Un soldato ne può prendere, se gli va,
mezzo cucchiaio in un bicchiere di buon vino, per salire a cavallo o andare in
battaglia. Dovrà prenderla qualche tempo prima dei
suoi esercizi, affinchè quella virtù abbia il tempo di penetrare in tutto il
corpo e in tutte le membra. Questa mistura ne farà un uomo audace e
coraggioso, ma non furioso, perché conservando la propria salute di corpo e
di spirito, diverrà ardimentoso e di
audacia ponderata, un vero coraggioso. In una parola, sarà animato
ovunque da tale impeto, nei combattimenti, negli assalti, nei tornei, nei
duelli ed agirà sia con presenza di spirito che con ardimento e coraggio. Né
paura né terrore potranno impadronirsi di lui;
sempre, anche nei pericoli maggiori, rimarrà calmo e presente a se stesso.
Ancor
meglio, se avete qualche affare serio da sbrigare in
presenza di qualche personaggio importante, qualche cosa di grave da
discutere, quest’acqua vi farà parlare senza paura, senza timore. Voi
stessi sbalordirete di fronte a tanta loquacità. Essa possiede ancora
numerose eccellenti virtù, come quella di guarire le malattie interne e
particolarmente l’itterizia.
L’imperatore
Massimiliano I°, di gloriosa memoria, usava molto,
nelle sue spedizioni , l’Acqua di Magnanimità. L’abbiamo visto attaccare
lui stesso i nemici e guidare ardimentosamente le truppe nel compimento di
gesta memorabili. Fu grazie a quest’Acqua che sopportò, senza mai avvertire
dolori, le fatiche delle sue pericolose cacce al camoscio. Molte volte
infatti, come leggiamo nella storia del cavalier Teurdanck, aveva
rischiato di perdervi la vita. Senza il coraggio che, con l’aiuto di Dio,
gli dava quest’Acqua di Magnanimità, quell’imperatore non avrebbe mai
potuto compiere tutte quelle imprese. Trasmise il segreto di quest’acqua al
conte Jean de Hurdeck, le cui eroiche gesta compiute in Italia contro i Turchi
sono ben conosciute, quale meritata ricompensa dei buoni servigi resi
in ogni occasione a Sua Maestà Imperiale.
L’attendente
di questo conte, risiedendo a Gruveneck, in
Austria, trovò nel 1523 il mezzo di avere la composizione di quest’Acqua di
Magnanimità facendola preparare per il suo maestro, presso il medico di Sua
Maestà Imperiale, poiché il conte la portava appresso in ogni momento,
servendosene al momento adatto.
Fu
dunque in quest’occasione che il medico gli rivelò confidenzialmente che
egli ne aveva spesso preparato per l’imperatore.
Ecco
ora il modo di fare quest’Acqua di Magnanimità che l’Imperatore
Massimiliano I° teneva come un gran segreto e
custodiva come un tesoro.
Prendete,
durante l’estate, di quelle piccole formiche che, quando si penetra nel loro
formicaio con un bastone, emettono un vapore ed un odore penetrante.
Prendetene quante più potete. Ponetele in una
bottiglia: allo scopo fate una traccia di miele sul fondo della stessa fino al
collo, in modo che vi entrino singolarmente, portandovi le loro uova.
Versateci quattro o cinque bicchieri di acquavite
di buona qualità e dopo averla chiusa ponetela al sole o al caldo, dove ve la
lascerete per una quindicina di giorni o più, se necessario. Infine poi
distillatene il contenuto a
bagno-Maria o sulla cenere, molto dolcemente e fuoco lento, gettando via ciò
che viene a galla. Al termine della distillazione mettete nel liquido un
quarto di oncia di cannella polverizzata, e
conservate tutto in una bottiglia ben chiusa. Per adoperarla, la
si aggiunge, come abbiamo detto, nel vino.
Vi
si può anche mettere dell’olio di radice di abrotano,
e quando se ne vuole servirsene ci si stropicciano le mani e la spada,
prendendone dieci o dodici gocce.
Allora,
quand’anche si dovesse combattere isolati, contro
una dozzina d’avversari, costoro non potrebbero fare nulla, venendo privati
delle loro forze. Ammiriamo dunque l’onnipotenza di Dio, che pone in una
formica simili virtù; ancor più efficacemente di quanto opera all’esterno,
quest’acqua agisce se presa per via interna.
Ecco
esposto, in qualche pagina, ciò che si racconta delle armi di
Achille, e spero che i lettori ne sapranno trarre profitto.
Per
tornare all’Acqua di Magnanimità, sappiate innanzitutto che la migliore è
il coraggio, il nobile desiderio di servire fedelmente
la propria patria e di combattere bravamente per essa.
Senza queste qualità, nulla potrebbe stimolare l’ardore o far nascere
l’ardimento in un soldato.
E’
tuttavia certo, che alcuni liquori danno vigore e muovono le passioni più
vivamente, tuttavia, se queste sono già presenti. La storia ci riferisce
molte volte dell’effetto prodotto dal brandy, offerto ai soldati prima dei
combattimenti. Qualche generale ha impiegato questo sistema con successo, ma
altri invece ne hanno ottenuto un pessimo risultato. Spesso
infatti i soldati, ubriachi, seminano lo scompiglio e la confusione tra
i ranghi; da ciò una sconfitta a volte disastrosa.
Eronimo,
ci offre ancora questa ricetta per
comporre un’eccellente Acqua di Magnanimità: il soldato, sembra, non ha che
da prenderne mezzo cucchiaio per sentirsi tutto infiammato da un ardore
fin’allora sconosciuto.
Ecco
la ricetta tal quale è stata tramandata.
Prendi:
2 oncie di elettuario di cannella
mezza oncia di zenzero
1 dracma di grani del paradiso e pepe lungo
chiodi di garofano
mezza dracma di noce moscata
Trita
il tutto e poni in un vaso di acquavite di ottima
qualità ben pieno e chiuso per quattro giorni, agitando due o tre volte al dì,
poi filtra e servi. Aggiungi mezzo cucchiaio di questo dentro a
una misura di vino rosso generoso assieme a una libbra di zucchero; se
tuttavia il vino è di per sé dolce, non è il caso di aggiungerne.
Per
preparare invece l’olio di radice di abrotano, di
cui abbiamo detto prima, ecco cosa c’è da fare:
Prendi
7 o 8 libbre di radice d’abrotano sradicato il 30 settembre (perché è in
questa data che la radice ha maggiori proprietà); falle seccare all’aria,
immergile nello spirito di vino e distillane un’olio
secondo la procedura ordinaria. Una volta che hai ricavato l’olio, mettilo,
durante il periodo della luna crescente, in una bottiglia da farmacista. Lasciavela
due giorni in un posto, due in un altro, due in un terzo, e così di seguito.
Essa estrarrà a tutti i semplici i propri aromi e
virtù. Fatto ciò, mettici dell’acqua di formiche di
cui abbiamo detto, e conserva il tutto per i tuoi bisogni.
[1] I brani omerici sono nella traduzione di Vincenzo Monti
[2] La traduzione virgiliana è di R. Calzecchi Onesti
Fonte: www.picatrix.com