,  
IL PARADOSSO DEL FLIPPER
di Antonio Bruno
Lettura senza dubbio interessante, il libro di Stephen Webb "Se l'universo brulica di alieni... dove sono tutti quanti?" suscita in me non poche riflessioni e domande.

In cinquanta modi diversi, tutti sostanzialmente scientifici, l'Autore, un fisico teorico, propone altrettante soluzioni al "paradosso di Fermi", il cosiddetto enunciato secondo cui - riducendo al massimo - se ci fossero tante razze intelligenti nell'universo noi ce ne saremmo ormai accorti.

Stephen Webb ha avuto il merito di fare dell'ottima divulgazione scientifica, con questo libro, e di proporre tematiche complesse con un linguaggio ed uno stile capaci di avvincere anche il lettore meno avvezzo all'idioma scientifico. Peccato che, nonostante questi innegabili meriti, Webb parta dall'obiettivo finale di sostenere la sua personale tesi e di condurvici anche il lettore. Non a caso, infatti, l'ultimo capitolo del libro è dedicato alla sua soluzione al paradosso di Fermi mentre, a voler essere proprio democratici, la si sarebbe dovuta "mischiare" alle altre 49.
Il libro va comunque letto perché permette a tutti di farsi chiare idee sugli scenari del nostro universo e sulla complessità delle tematiche esobiologiche pur non chiudendosi a considerazioni, diciamo così, etiche o filosofiche laddove è quasi impossibile evitarle.
Poiché, inoltre, Webb provoca il lettore invitandolo ad offrire, se ce l'ha, la "sua" soluzione al paradosso di Fermi, mi permetto di aderire a tale invito con un modello teorico certamente frutto di riflessione "istintiva" e, allo stesso tempo, cordialmente confutante alcune affermazioni dell'Autore.

Si tratta solo di un abbozzo di dibattito dato che, vista la complessità della tematica, una discussione ed un confronto articolati richiederebbero un intero libro, ma voglio sperare di stimolare a mia volta in chi ci legge ulteriori riflessioni e considerazioni perché sono convinto, come saggiamente ripete lo stesso Webb nel suo libro, che "molte delle idee migliori provengono da scrittori di fantascienza piuttosto che da scienziati", o da "uomini comuni", al di fuori dei laboratori di ricerca.

Vorrei iniziare rifacendomi alla classificazione Kardasev, che prende il nome dell'astrofisico russo Nikolaj Kardasev, il quale ha proposto di dividere le possibili civiltà extra terrestri (che chiameremo anche noi CET) in tre fondamentali categorie:

- la Kardasev 1, o K1, simile alla nostra la quale è in grado di sfruttare le risorse energetiche di un pianeta;
- la K2, più avanzata, in grado di sfruttare le risorse energetiche di una stella, presumibilmente la loro;
- la K3, capace di utilizzare le risorse dell'intera galassia.

Webb ricorda che il ricercatore Stephen Gillett sosteneva che la maggior parte delle CET della nostra galassia sarebbe di tipo K2 o K3.
Insomma, noi faremmo parte del tipo di civiltà intelligente più "basso".

Passiamo ora alle argomentazioni dello stesso Webb per cui noi saremmo soli nell'universo.
Dopo aver presentato una "griglia" di scarto, nella quale gradualmente, i numeri di pianeti che potrebbero ospitare la vita intelligente si ridurrebbe ad 1 solo, cioè la Terra (!), Webb sostiene alcune affermazioni che trovo quantomeno opinabili. Ma, prima, un paio di parole su questa "griglia".
Webb applica pura e semplice matematica mista a teorizzazione e, pertanto, non può pretendere di farne una legge scientifica (cosa che, del resto, non fa, ma credo sia sempre giusto evidenziare questo genere di precisazioni).
In 8 fasi riduce la possibilità che la nostra galassia sia popolata di pianeti in grado di supportare vita intelligente alla sola Terra e, questo, mi sembra alquanto antropocentrico e pretenzioso non fosse altro che per le possibili, imprevedibili variabili a cui sono esposte le suddette 8 fasi.
Ma, all'accusa di antropocentrismo, Webb risponde in modo acuto e stimolante girando la questione e riproponendocela dal punto di vista opposto: perché sarei io, l'arrogante, chiede in sostanza, quando affermo che l'uomo ha semplicemente una sua specificità, nell'universo, come i delfini ne hanno una propria, gli scimpanzé, un'altra, gli elefanti, un'altra ancora, ecc...? Ognuno è bravo a fare quello che è, e gli arroganti, caso mai, sono coloro che vorrebbero applicare lo schema evolutivo umano a tutto l'universo. Chi lo dice, continua Webb, che gli scimpanzé, ad esempio, si evolveranno al nostro livello fra qualche migliaio di anni? E chi l'ha detto che le CET debbano seguire un processo evolutivo simile a quello che ha portato allo sviluppo, sulla Terra, di questo nostro tipo di intelligenza? La nostra unicità di specie senziente, autocosciente e con senso della morale, insomma, potrebbe benissimo essere nata da un processo casuale e cieco dell'evoluzione che non ha uguali nell'universo...

Sono addolorato di sentirmi, a questo punto, profondamente dissenziente da Webb.
Tutti i processi naturali, sulla Terra, dimostrano che la realtà fenomenica tende a raggrupparsi, a replicarsi.
Non esiste una sola specie composta di un solo soggetto.
E se il processo che ha portato l'Homo Sapiens ad essere quello che oggi è sulla Terra non è, come Webb vorrebbe, il frutto di casuali "rimbalzi" contro un muro di complessità minima che lo ha costretto ad "incanalarsi" in ciò che è la sua specificità. Credo sia molto più realistico affermare che ci siano numerose occasioni in cui gli esiti possano essere infiniti.
Io lo chiamerei "il paradosso del flipper".
Sono sempre stato un appassionato del gioco del flipper. Ancora adesso ho installato un programma sul mio computer grazie al quale, nei momenti di relax, mi diverto a fare dei veri e propri tornei di flipper con la mia famiglia...
Ebbene, giocando a lungo a flipper, ho notato che ci sono alcune "leggi della casualità" che casuali, forse, non lo sono affatto. Non si può mai sapere dove la pallina andrà, come reagirà, in quale buca si infilerà e se riusciremo a respingerla. Ci sono anche "comportamenti curiosi" e, a volte, estremamente irritanti della pallina; ad esempio, quando ne vinco una a grande fatica, la pallina conquistata non dura quasi mai più di qualche misero minuto. Oppure che ci sono partite che "nascono bene", ovvero la pallina resta in ballo per parecchio tempo, ed altre sfortunatissime, in ogni rimbalzo, in ogni dettaglio...
Cosa voglio dire?
Voglio dire che mi serve poco conoscere tutte le leggi della cinetica e dell'elettronica complessa con la quale è costituito un flipper e che c'è sempre una serie di variabili indefinibili che farà fare alla pallina un percorso che ci sorprende.
Ma vuol dire anche che certi percorsi possono essere estremamente simili pur se non del tutto uguali. In ogni caso, "non è possibile" schematizzare e prevedere il percorso esatto della pallina in tutto l'arco di una partita e pertanto, se da un lato è vero che non esisterà mai una partita uguale all'altra, è altrettanto vero che ne esisteranno molte "simili", tali da concludersi a punteggi uguali o superiori.

No, noi non siamo delfini destinati a restare delfini ringraziando Dio di essere arrivati fin qui... Noi siamo sempre stati in viaggio e sempre lo saremo.

Ma, tornando al quesito iniziale e basilare: "dove sono tutti quanti"?, il mio modello teorico istintivo, di cui parlavo prima, mi porta a riflettere che non c'è NULLA che possa farci escludere di essere davvero una civiltà K1 e che le altre civiltà, le K2 e le K3, abbiano sviluppato una sorta di protocollo galattico per cui è sconsigliabile, forse addirittura proibito, interagire reciprocamente con le K1 fino a che tali restano.

Riprendendo la via dei paragoni, che ne sanno i pesci della vita sulla terra ferma?
Ben poco, direi, a meno che qualcuno, dalla terra ferma, non decida di entrare in mare e di interagire con il loro ecosistema. Cosa che nessuna civiltà eticamente evoluta farebbe, diciamo nessuna K2 o K3... Perlomeno, se parliamo di interazioni interferenti e dannose ai naturali processi vitali degli oceani.

La mia soluzione attuale al paradosso di Fermi (dico "attuale" perché potrei sempre cambiare idea, con il procedere delle mie ricerche e delle mie speculazioni), è che, nella multiformità probabilistica eppur organizzata di un solo universo fra i tanti che esistono, noi siamo comunque ancora giovani, estremamente giovani come civiltà, e che, nell'universo, le altre forme di intelligenza evoluta, forse anche tutte, sono K2 o K3 le quali, come dovremmo fare noi con i pesci, ci lasciano in pace o, al limite, ci osservano senza interferenze che noi potremmo comprendere.

Siamo il fanalino di coda dell'evoluzione dell'intelligenza nell'universo?
Ebbene sì, miei cari amici antropocentristi, ho il forte sospetto che sia così anche perché, a guardare come vanno le cose sulla Terra, rischiamo di diventare il fanalino di coda dell'intelligenza anche sul nostro stesso pianeta... Ma questo non ci deve certo deprimere perché è proprio in ciò la grande bellezza di una sfida che dobbiamo lasciare ai nostri discendenti, la bellezza di essere, comunque, parte di uno straordinario scenario evolutivo.
Forse molte civiltà K1 sono estinte perché si sono autodistrutte o sono state vittime di drammatici eventi cosmico planetari. Noi, però, siamo ancora qui. E ci conviene alzare la media del nostro inseguimento: abbiamo molto da perdere, altrimenti.
Probabilmente, saremmo, allora sì, davvero condannati ad estinguerci nel tragico errore di crederci irrimediabilmente soli.

antoniobruno57@vodafone.it

www.edicolaweb.net