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Psicologia del Ciclo
della Vita
Oltre Nascita e
Morte
Come trasformare un evento
traumatico in un'occasione di crescita e di evoluzione
Il fenomeno morte è un
fatto ineliminabile dalle nostre vite. Esso viene abitualmente vissuto come
fine di tutto, dissoluzione, scomparsa, con tonalità che vanno dal
rassegnato al drammatico, fino al tragico. Eppure la morte non esiste come
entità, ma solo come concetto. Essa è in verità un’astrazione. Solo la vita
è reale, eterna e immutabile. Attraverso un percorso di consapevolezza
profonda, la persona prossima a questa tappa della vita potrà affrontarla
percependo che la propria identità è diversa da quella del corpo e scoprendo
di fronte a sé una nuova fase della propria eterna esistenza, tutta da
progettare costruttivamente.
Ancora una volta un
grande Marco Ferrini.
Estratto dal Testo:
[...] Normalità e malattia non esistono, se non nella visione illusoria
dell’uomo; nella realtà, esiste l’immenso percorso dell’evoluzione
spirituale, ed esistono vicende e accidenti su questo percorso: tappe,
progressi, ristagni e deviazioni, cadute, imprigionamenti e liberazioni.
Alcuni tra questi vengono isolati e classificati dalla medicina e dalla
psicologia come “malattia”, studiata e curata in una prospettiva che troppo
spesso non tiene conto del contesto evolutivo in cui essi si inseriscono. Si
possono così ottenere risultati rispettabili, apprezzabili e utili, a breve
termine e limitatamente ai sintomi; si può anche avere una certa capacità
preventiva, ma la portata e i mezzi della prevenzione e della cura medica e
psicologica non possono andare oltre e raggiungere la sostanza, proprio
perché non vengono contestualizzati nella realtà e nel processo di progresso
spirituale, che rimangono invisibili, seppur talora lontanamente intuibili. [...]
La moderna psichiatria chimica ha
rivoluzionato l’approccio alla malattia mentale. A proprio favore vanta
risultati concreti, tra i quali numerose conferme che gli squilibri chimici
del cervello sono direttamente collegati a malattie mentali: depressioni,
fobie, e via dicendo. Molti medici, spinti dalla predominante cultura
ispirata al materialismo, sarebbero portati a concludere che le sostanze
chimiche possono dare piena risposta ai misteri e ai problemi del rapporto
tra corpo e mente, che l’Universo è un accidente, al massimo di tipo
evoluzionistico, che la materia precede la mente, che la coscienza è una
specie di sottoprodotto della materia, che la vita umana, con la nascita e
la morte, non serve nessun proposito più alto. Tenteremo di spiegare che non
è così.
L’uomo non è semplicemente un organismo che deve cercare di restare o
ritornare in salute (già questa concezione produce malattia), ma è un essere
cosciente che ha davanti a sé un percorso verso una meta e che, per
raggiungerla, deve evolvere psicologicamente realizzando una ad una le
componenti più nobili della propria personalità: desiderio di sapere e
capacità di conoscere, gioia, senso morale, bellezza, forza di volontà,
compassione, saggezza e Amore.
Riteniamo sia un successo riuscire ad aiutare le persone a liberarsi da
identificazioni e condizionamenti, anche da quelli considerati “normali” ma
che in realtà costituiscono le peggiori tra le illusioni e le schiavitù. È
stato ampiamente dimostrato che la cosiddetta “normalità” è essa stessa
psicopatologia, fobie, blande o croniche, manifestazione di cecità o
immaturità, che noi non notiamo semplicemente perché la maggior parte degli
individui condivide le medesime sindromi. Tra queste, la paura della morte è
la più comunemente diffusa, l’ultimo dei tabù.
Una vera cura psicologica opera da dentro la persona; è un lavoro che si fa
su noi stessi, non qualcosa che viene indotto dall’esterno, perché in tal
modo si costituirebbe un’interferenza, un condizionamento, cosa che dobbiamo
accuratamente evitare, anche perché il nostro scopo è quello di liberare dai
condizionamenti, non di indurne di nuovi e per far ciò possiamo mettere a
disposizione solo strumenti idonei.
La cura di tipo occidentale è essenzialmente cura dei sintomi di
manifestazioni più o meno isolate, e tende a ripristinare il suddetto stato
di “normalità” anziché quello di salute olistica così com’è intesa nei testi
dello Yoga.
La cura fisiologica, psicologica, etico-morale dello Yoga di cui mi
interesso, è fondata sulla sadhana bhakti (disciplina spirituale),
attraverso la quale l’individuo induce e abilita sé stesso a reinterpretare
la propria immagine (la coscienza di sé), a trasformarsi e guarirsi
psicologicamente, influendo in maniera positiva, seppur indiretta, anche sul
proprio ambiente.
Fino a metà del secolo scorso, le basi della bio-medicina sono state vissute
universalmente come solide e, agli occhi dei suoi teorici, anche come molto
convincenti. Poi, a seguito di scoperte scientifiche e di fronte alla
crescente insoddisfazione di operatori sanitari e utenti di questa branca
della medicina, la fiducia nelle terapie rivolte solo al corpo ha cominciato
a vacillare per cui, dapprima timidamente, poi in modo sempre più diffuso,
con coraggio alcuni studiosi hanno cominciato a prendere in considerazione
un più ampio orizzonte concettuale di salute e di medicina, ad esempio la
stretta relazione e interazione corpo-mente, da quel momento definita
psicosomatica. Ciò ha portato ad una concezione terapeutica in certa misura
olistica, ossia ad un approccio consapevole del fatto che il punto di
partenza della diagnosi e della cura deve essere la comprensione della
realtà completa di una persona in quanto tale, non solo in quanto malato.
Cura (in inglese cure) e prendersi cura, assistere
(in inglese care), differenziano due scopi distinti che i medici normalmente
confondono nella pratica. Il termine cura si riferisce alla diagnosi e al
trattamento farmacologico della malattia, mentre prendersi cura si riferisce
al farsi carico di qualcuno, alle indagini e agli interventi posti in atto
per prendere decisioni per il bene e benessere della persona. Di
conseguenza, cura ha più a che fare con gli aspetti oggettivi di una
situazione patologica, mentre prendersi cura riguarda i significati
soggettivi dell’esperienza malattia-trattamento. Cura significa che il
medico “fa qualcosa” al malato, prendersi cura esprime fondamentalmente il
fare qualcosa “con” la persona (Benoliel, 1972, 1976).
La prima domanda da porsi è: quando l’obiettivo cura non è più
raggiungibile, cosa va basilarmente fatto per prendersi cura? Il cancro è
fra i prototipi delle malattie mortali; quasi tutti accomunano l’idea di
avere un cancro con quella di morire. Facendo tesoro di quanto è stato
osservato sullo stadio avanzato delle malattie oncoequivalenti e sulle loro
ripercussioni, dobbiamo soprattutto mettere in evidenza per voi alcuni
problemi di base in gran parte ricorrenti per i malati terminali e per le
loro famiglie.
La millenaria scienza vedica della salute considera
l’essere umano una complessa combinazione di energie bio-psichico-spirituali,
perciò attribuisce grande importanza curativa, oltre alla farmacologia e
alla chirurgia, al tipo di alimentazione, alla condotta etica del soggetto e
all’influsso della mente sul corpo. L’indebolimento delle difese
immunitarie, lo sviluppo della malattia, il processo di guarigione e,
infine, l’accettazione consapevole e serena del passaggio conosciuto come
morte, sarebbero l’esito di continue interazioni del complesso
corpo-mente-spirito.
Note sull'autore:
Marco Ferrini, Ph.D. Psychology. Da oltre trent’anni si dedica allo
studio e all’insegnamento della cultura vedica, che ha approfondito con
viaggi in India e soggiorni di studio nei luoghi sacri dell’Induismo. Ha
ideato programmi radio ed è intervenuto in trasmissioni televisive su
tematiche inerenti la cultura Vedica. E’ autore di saggi e libri sulla
Filosofia, la Scienza, l’Arte e la Religione dell’ India antica. Tiene
Lezioni, Corsi, Conferenze e Seminari presso Facoltà universitarie e
Istituzioni culturali. Collabora con studiosi e centri di ricerca in Italia,
negli Stati Uniti e in India. (altre
informazioni)
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