UN PASSATO
DA RISCRIVERE?
di Nicola Cantalupo
Esce 'La flotta Shardana' di Giangiacomo Pisu, comandante
di navi passeggeri, che avanza la sua ipotesi, da sottoporre al vaglio degli
archeologi: e se i nostri progenitori sardi fossero stati grandi navigatori, con
tanto di sistema portuale lungo le nostre coste?
L’inguaribile voglia di recuperare le proprie radici
storiche segna un altro contributo da un giovane sardo. Si chiama Giangiacomo
Pisu, ha 32 anni ed è al suo primo libro. Nella sala consiliare del comune di
Selargius una discreta presenza di pubblico colto e appassionato ha partecipato
alla presentazione dell’opera 'La flotta Shardana', edita dalla Ptm di Mògoro.
L’autore, comandante di navi passeggeri, sembra conoscere bene il mare.
Scorrendo le pagine, nuovi contributi di tipo tecnico vengono offerti alla
riflessione archeologica.
Sono proprio le navicelle nuragiche, prodotte nella prima età del ferro in
Sardegna, ad offrire indizi interessanti. Si indaga quale potesse essere la
tecnica navale degli audaci e temibili Shardana, i più importanti tra i 'Popoli
del Mare' che tanto scompiglio crearono nel Mediterraneo, mettendo in crisi
imperi come quello Egizio. L’esperienza nel settore marittimo del Comandante
torna molto utile per approfondire la navigazione e i commerci arcaici, attività
peculiare dei Popoli del Mare. Sapere quali correnti utilizzare, o come caricare
una nave, è fondamentale per capire una realtà antica ma non lontana dalla
nostra esperienza.
Inizialmente la sua ricerca trova stimoli nella lettura dei due 'best-seller'
della ricerca archeologica extra accademica, ricchi di tesi e ipotesi svincolate
da parametri di mera scientificità, 'Le Colonne d’Ercole' di Sergio Frau e 'Shardana
i popoli del mare', di Leonardo Melis. In sala, proprio quest’ultimo definisce
il contesto storico prima della presentazione dell’autore. Passano in rassegna
millenni e monumenti, rotte e iscrizioni. Leonardo Melis insiste su come al di
fuori dei confini italiani si parli molto di più della nostra storia di Isola,
centrale nell’archeologia mediterranea. 'Dobbiamo ridare a noi sardi una storia,
e in questo ci aiutano gli studiosi stranieri che, senza preconcetti, ci
relazionano a tutto il mondo antico'.
Giangiacomo Pisu inizia e comincia a stupirci parlandoci delle dimensioni della
nave riprodotta nel bronzetto ritrovato in Calabria, nel santuario di Hera
Lacinia. 'La sua lunghezza nella realtà doveva essere di 35-40 metri, tale da
permettere la navigazione in mare aperto. Anche nell’Oceano, ma sottocosta'. Ne
sarebbe prova anche la riproduzione di animali prettamente subsahariani in
diversi bronzetti, come l’antilope e lo scimpanzè, animali mai riprodotti da
Egizi, Fenici o Greci. 'Loro non ci sarebbero mai arrivati'. Dalla
circumnavigazione dell’Africa si passa alle correnti mediterranee, che toccano
le terre e le isole più famose dell’antichità, in un tour obbligato che segnò la
trasmissione delle culture e i confronti tecnologici già da epoche antiche.
L’impressione principale è che, oltre all’umiltà, ci sia molto buon senso. La
fiducia verso il mondo dell’archeologia ufficiale è sottolineata più volte ma
allo stesso tempo sorge un desiderio insopprimibile di integrare teorie e
conclusioni storiche con competenze specifiche. 'Anche il mondo antico era
contrassegnato dalla presenza tecnologica - afferma Pisu - e solo chi anche oggi
si trova di fronte gli stessi problemi può avvicinarsi, nella ricostruzione
archeologica, ad un’esatta contestualizzazione e dimensionamento degli eventi'.
Un esempio? 'Sicuramente parlare del porto di Capo Malfatano – nel comune di
Teulada - come di un porto antico capace di accogliere 400 navi non è realista.
Le caratteristiche marine, gli spazi di manovra e le dimensioni delle
imbarcazioni ci fanno calcolare una cifra di molto inferiore'.
Anche la semplice esperienza di navigazione sotto costa – tipica del mondo
antico - può riservare molte sorprese, come la sua scoperta dello scalo nuragico
di Cala del Vino, nella Nurra. 'L’allineamento, cioè la tecnica di orientamento
mediante i punti a terra, è agevolata in questa baia da due nuraghi. Allineati,
indicano la sicura rotta per evitare la grande secca antistante la spiaggia ed
entrare in un bacino protetto dalle burrasche. Una sorta di pista di atterraggio
segnalata in modo inequivocabile'.
'Ciò che mi auspico per il futuro dell’archeologia sarda è un integrazione dei
saperi che converga nello studio del nostro passato. Un lavoro di equipe che
congiunga storia e tecnica. Una moderna tavola rotonda che tenga conto di
diverse discipline per raggiungere un’affidabilità maggiore'. La pragmaticità
assurge a modello di pensiero nell’intento dell’autore. 'Il grande obbiettivo
dell’archeologia sarda sarà quello di risalire al sistema portuale nuragico e
sarei felice di trovare conferme nella mia tesi di nuraghi costieri come antichi
fari di segnalazione'.
Nicola Cantalupo