In sintesi:
Giovanni è in vacanza in Turchia in compagnia degli zii antiquari. Una
moneta, acquistata come souvenir, lo accompagna sulla strada del
ritorno quando improvvisamente si scatena la caccia all'uomo, anzi al
ragazzo. Sono sulle sue tracce, contemporaneamente, un avido
antiquario con un passato oscuro e gli strani rappresentanti di ordine
di cavalieri cristiani che vogliono ridare " riposo innocuo" alla
moneta custodendola nei monasteri greci delle Meteore. Tra conventi
medievali, spiagge della Costa Azzurra, inseguimenti e tranelli,
Giovanni approda su un'isola (La Capraia) dove in una pagina
suggestiva, un uomo vestito di bianco prende in custodia la moneta. La
maledizione della moneta. L'ultima moneta di Giuda arriva fino ai
nostri giorni e cade nelle mani del protagonista. La leggenda vuole
che le monete di Giuda abbiano una caratteristica: accrescono gloria,
fama e fortuna di chi le possiede, sottraendola alle persone che
stanno loro accanto. Ma nel momento in cui chi possiede la moneta la
perde, paga per tutta la fortuna che, fino a quel momento ha sottratto
agli altri. Sotto lo pseudonimo di CIRO CABALA si nasconde uno dei
maggiori scrittori per ragazzi italiano, autore di molti romanzi di
successo. Ciro Cabala, solo per la Narrativa Ragazzi San Paolo, scrive
romanzi di avventura che toccano in qualche modo la dimensione
spirituale.
PROLOGO:
L’uomo non aveva più un nome. Si era imposto di
dimenticarlo, e di cancellare ogni traccia del suo passaggio. Voleva
essere una semplice ombra, accampata ai margini della strada dei
pellegrini.
O un viandante silenzioso, che procedeva curvo sul bastone che, un
tempo, era stato una lancia.
L’uomo era stato un soldato. Ogni notte soffriva di terribili incubi
e restava con gli occhi sbarrati, scandagliando con terrore
l’oscurità che lo circondava.
Allo stesso modo, durante il giorno, di tanto in tanto si guardava
alle spalle, temendo che qualcuno lo seguisse per riprendersi quello
che lui aveva rubato.
L’uomo era anche stato un ladro. Erano molti giorni, ormai, che
viaggiava da solo lungo la via del ritorno, perché tutte le persone
che aveva chiamato amici erano morte. Alcune per colpa della
crociata. Altre per colpa del furto.
Non poteva accendere fuochi. E doveva evitare i caravan serragli,
per paura che qualcuno potesse riconoscerlo.
Si era vestito di stracci e si era fatto crescere una lunga barba,
come quella degli infedeli che aveva combattuto.
L’uomo era stato fedele. Ora non era più sicuro di esserlo. Tutto
ciò in cui credeva era nascosto sotto gli stracci con cui si
copriva. Era una scatolina d’argento, molto piccola, e molto
pesante, anche se completamente vuota. Non la mostrava mai a
nessuno. E lui stesso aveva paura a guardarla troppo a lungo, come
se tra quei mirabili intarsi si nascondesse qualcosa di oscuro, ma
attraente, come un pozzo.
L’uomo, che non aveva più un nome, aveva sete.
Camminò a lungo, cercando di tornare a casa. Ma sbagliò strada, o,
forse, pensò, fu la scatola d’argento a confonderlo. Quella che
imboccò lo condusse in una valle talmente remota che nemmeno il
vento osava soffiarvi. Era popolata solo da gigantesche, e mute,
colonne di pietra, che si innalzavano una accanto all’altra, come
tronchi di alberi morti.
Si avvicinò. Non sarebbero bastati dieci uomini per circondarne le
radici. Erano formazioni di roccia, scavate dal vento e dalle
piogge.
L’uomo vide che c’erano i resti di una scala. Gradini scolpiti, che
salivano verso l’alto.
Guardò su, meravigliato.
Chi poteva abitare quelle colonne?
Cominciò a salire. E poi si arrampicò. Il sole tramontò, e lo lasciò
che ancora stava salendo, la pancia contro la roccia. Le dita alla
ricerca di una fessura.
La scatolina d’argento contro le sue costole magre. In cima alla
colonna di pietra trovò un’apertura.
Una grotta. Una stanza. Riconobbe, dall’odore, un’altra presenza
umana. Poi la vide. Un’ombra, accoccolata nel buio.
Apparteneva a qualcuno che era morto da centinaia di anni, e che
aveva scelto di morire lassù, senza scendere più a terra.
Spuntò la luna.
L’uomo senza nome si sedette accanto all’eremita, e tirò fuori la
scatola d’argento.
La adagiò sul pavimento, in mezzo a loro. E poi, lentamente,
cominciò a parlarle.
DAL PRIMO CAPITOLO:
... Giovanni abbandonò il salotto contenendo
ancora perfettamente la sua felicità, ma non appena individuò
Messico intento a grattarsi sul tappeto nel portico, gli volò
addosso con un liberatorio urlo di guerra. Il povero cane sbarrò gli
occhi e restò con la zampa sollevata prima di lasciarsi
aggrovigliare da un ragazzino al colmo della felicità.
Rotolarono insieme, lottando.
– Ci vado! Ci vado! Vado in Turchia con Claudio e Giuliana... Sì!
Sì! Ce l’ho fatta!
Messico, piuttosto interdetto, cercava di partecipare a tanto
entusiasmo, ma la sorpresa e la violenza di quell’attacco lo avevano
in un certo senso disturbato. Cercò di districarsi dalla presa e si
limitò a distendersi sul tappeto accanto a lui.
Parto... ansimò Giovanni, con lo sguardo sperduto tra le gocce di
cristallo del lampadario.
E andremo in posti mai visti da nessuno. Posti selvaggi e
pericolosi. Pieni di predoni, Messico.
Lo sguardo del cane comunicava una placida saggezza, quasi quell’informazione
fosse per lui tutt’altro che nuova.
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