La signora del gioco
La caccia alle streghe interpretata
dalle sue vittime
Questo libro fino
a poco tempo fa era introvabile. Scritto originalmente da Luisa
Muraro negli anni settanta (edito nel 1976), in questa riedizione
- di cui si sentiva davvero il bisogno - presenta una serie di
correzioni all'edizione precedente e alcune novità (nella
Prefazione e nell'Appendice).
La caccia alle
streghe continua a essere un capitolo difficile della storia
europea e questo libro è un nuovo tentativo di leggerla, dando
ascolto a quello che le vittime tentano di dirci. Molti storici
pensano che non sia possibile conoscere il punto di vista delle
vittime, che si tratti della caccia alle streghe o di altre
persecutori. Posizione discutibile. C'è un legame che non si può
rompere tra il persecutore e la vittima, e quando il primo afferma
il proprio punto di vista, tira dentro anche la seconda. Basta
avere la pazienza di seguire il filo esile e intermittente di
questa presenza seconda. Seguendolo, indietro nel tempo, di
processo in processo, il libro ci fa incontrare le donne accusate
di essere streghe, in realtà spesso donne dedite alla medicina e
alla divinazione, tutte diverse tra loro, alcune dotate di una
notevole personalità, e ci conduce fino al cuore della loro
mitologia, un mondo magico dominato dalla figura di una divinità
femminile, la Signora del gioco.
Perdenti in partenza,
per l'enorme disparità di potere, le vittime si difesero con tutti
i mezzi che avevano a loro disposizione, con la fuga, con la
sincerità, con la fantasia, con la ragione, con la religione, con
il silenzio, con la malattia mentale, con la morte. La loro
mitologia si perdette, per fare posto alle credenze religiose dei
loro persecutori, dominate dalla figura del demonio. La vicinanza
che il libro consente di avere con la scena del processo, fa
vedere il «lavoro» fatto dalle donne coinvolte per venire in
qualche modo a capo della loro paurosa situazione, contribuendo
così alla fine della persecuzione, non prima del XVIII secolo.
Il testo si
riferisce alle vicende di stregoneria (XIV e il XVII secolo) e ai
processi che l'Inquisizione intentava, per esercitare il controllo
sociale, contro presunte streghe. Malanni e infermità, eventi dal
sapore di contro natura turbano la vita umana e ad essi è sempre
difficile dare risposta. Le streghe potevano essere una
spiegazione e dovevano essere estirpate. La donna diventa malefica
attraverso un processo di iniziazione da parte di altre immonde e
si conclude nel patto con il demonio. Secondo gli inquisitori, in
qualche zona del corpo della strega si dovrebbe trovare il marchio
del sodalizio con Satana.
"L'accusa maggiore che la gente faceva alle
streghe, come si è visto, era di insidiare la vita in tutte le sue
forme, e in particolare la procreazione. Questo potere
straordinario era sempre stato attribuito a certe donne, ma in
passato esso era connesso con un potere di segno contrario,
benefico.
Le streghe erano anche fate... Non si sa quando si sia formato lo
stereotipo della strega unicamente maligna. Quando appare, nei
documenti, con la caccia alle streghe - esso ci si presenta come
il resto di un sapere e di un potere rigettati, perchè non sia
turbata la buona generazione, che proviene dalla
complementarietà tra un corpo femminile fecondabile (materia
recettiva che non ha attributi di sapere e potere) e la paternità.
La paternità affermandosi scinde l'arcaica competenza femminile in
due parti: un corpo da fecondare (la donna9 ed un resto sterile e
maligno, da distruggere (la strega). Il primo più rozzo modo per
riaffermare il principio della generazione paterna fu questo; che
era come la rappresentazione visiva della spartizione tra
l'utilità sociale del corpo femminile fecondo e la minaccia di un
resto non regolabile. Nel sapere della donna sterile si vede una
minaccia sociale... Le streghe erano accusate di insidiare la vita
con un potere e un sapere di origine diabolica. Non si trattava
dunque di una inutilità sociale attaccata al corpo di quelle donne
vecchie, ma di una pericolosità. La quale, in effetti,
giustificherebbe la società che si difende anche con mezzi
violenti."
La “signora del gioco” è un’immagine ricorrente
nelle confessioni che le donne accusate di stregoneria, alla fine
del XIV secolo, rilasciavano nei processi intentati
dall’Inquisizione. Ora chiamata domina, Erodiade, matrona, madonna
Oriente e in altri modi, appare in tutte le tradizioni popolari di
ogni parte geografica. E’ la dea che ha il potere di resuscitare
dalle ossa gli animali uccisi. Questo mito, a partire dal 1500,
viene sostituito dal diavolo e dalle sue varie trasfigurazioni.
La vicenda della stregoneria si svolge quindi
fra persistenza di miti pagani e innovazioni demonologiche, fra
medioevo e età moderna, dove la nascita della rivoluzione
scientifica si avvale di un atteggiamento credulo, pur se non
sbigottito. L’ordine cronologico del libro, con un movimento a
ritroso e poi di ritorno al tempo più vicino a noi, restituisce il
dramma della storia alla sua componente misteriosa e inconscia.
Infatti durante il 1300 le donne vengono processate con l’accusa
di eretici vaniloqui sull’incontro con strabilianti figure, come
la signora del gioco. Ma alla fine del secolo queste parole
diventano, per i giudici, fatti reali di cui le donne devono
rilasciare la confessione.
Osserva l’autrice che è questa una posizione di
colpevolezza abbastanza strana se si considera che richiede la
confessione della colpevole per essere tale. Insomma una non
poteva essere condannata se non si autodefiniva strega. A questo
si arrivava estorcendo confessioni che erano la prova ultima della
colpevolezza, secondo il sistema giuridico medioevale. Ma ancora
più strano è che si volesse mantenere le donne nella tradizionale
passività femminile di oggetti del desiderio, in questo caso
diabolico, benché si riconoscesse ad esse l’atto della colpa.
Poche resistettero alla tortura: una di queste
fu Barbara Marostega, una donna anziana che rifiutò di definirsi
una strega e mori prima che riuscissero a farglielo dire. La
maggioranza parlò di una religione cattolica rinnegata e
rovesciata, resa blasfema perché dove si pregava si copulava e
viceversa. In questo contesto storico e linguistico le
donne servono a confermare l’idea maschile del bene e, nella
tessitura dell’immaginario, la differenza femminile ricostruisce
la sua immagine abnorme e scandalosa ma anche paradossalmente
antifallica.
La stregoneria fu capace di attivare schemi,
magari primitivi, di intervento sulla natura, non diversi da
quelli che sono oggi riconoscibili nei riti sciamanici. Ai quali
l’etnopsichiatria, come è praticata, per esempio da Tobie Nathan,
riconosce credibilità. C’è da chiedersi dove sono finiti i rozzi
principi della giustizia della prima modernità e, ogni qualvolta
la morale maschile ha stabilito ciò che è bene e ciò che è male,
quale parte femminile ha portato con sé a testimoniare. Se questa
è riconoscibile in una figura che, per essere perdente, deve non
avere più significati in proprio, restituibili nella dialettica
fra male e bene, invece nello svolgimento storico ci accorgiamo
che questi ritornano; dall’interpretazione psicoanalitica resi
sensibili per annotare il rapporto fra vittima e oppressore.
La scena del processo, come si è visto, ha una
parte di eccezionale importanza nella scoperta (del diavolo, della
perversione, della sessualità). Né i giudici erano gli
agenti (involontari, inconsapevoli) di una esplicitazione che
riguardava tutti. Essi scoprivano quello che esplicavano, il
proprio potere, la cosa dunque che uno ha minore interesse anzi
nullo a comunicare. Quando si rasentò l’esplicitezza (ne è un
esempio il processo di Anna Maria Sertora), siamo al termine della
persecuzione giudiziaria.
La violenza con cui la Sertora si rivolse dalla
parte da cui in realtà veniva la seduzione fu come un segnale. A
questo punto il giudice cede volentieri il posto all’esorcista e
al medico. (p. 212) La scena processuale diventa il luogo dove si
è costituito un linguaggio, una interpretazione del mondo. La
sessualità, complici le tradizioni popolari, come proiezione
inconscia di un’epoca che, oggi, gli esperti riconoscono affetta
da demonomania è il luogo terminale di questa lotta fra donne e
potere maschile. Ma altre interpretazioni sono state rese
possibili dalla materia storica.
Infatti mentre va scolorendosi “il grande
fogo della Signora” mito di un’epoca in via di superamento
“ardono in primo piano gli incendi della rivolta e i roghi della
repressione”. E’ lo sfondo dei processi in Val di Fiemme dove
nel 1525 scoppiò una vasta sollevazione contadina delle valli, i
cui artefici furono massacrati dai signori di Trento. Ma a noi,
cui tutti quei fuochi sono lontani, pare di scorgere un legame
tra la rivolta contadina che stava preparandosi e i racconti di
misteriosi convegni notturni. La donna del bon zogo proteggeva,
con il suo mistero, il segreto di altri e di altre.
Testo fondamentale, nel quale un modo di fare
storia, ricostruendo il “cerchio di carne” che tiene insieme la
genealogia femminile, ha acquistato la parola e la profondità
della ricerca. Non a caso, in quegli anni, molte donne si
laurearono scegliendo come argomento le streghe e tenendo questo
libro come riferimento di una pratica politica che sapeva darsi un
sapere. |
|
Luisa Muraro (Montecchio
Maggiore, 1940) è un'importante filosofa italiana. Si laurea in
Filosofia all'Università Cattolica di Milano e qui inizia la carriera
accademica. Con i moti sessantottini, interrompe la sua scalata
universitaria e passa ad insegnare nella scuola dell'obbligo. Dal 1976
vive a Milano, ma lavora nel dipartimento di Filosofia dell'Università
degli Studi di Verona. Profonda conoscitrice del femminismo delle
origini, è tra le fondatrici della Libreria delle Donne di Milano
(1975) e della Comunità filosofica Diotima (1984). Grazie alla
Comunità filosofica Diotima, che raccoglie filosofi di tutto il mondo,
ha elaborato e diffuso il pensiero della differenza, fino a renderlo
realtà imprescindibile della filosofia contemporanea. Autrice di molte
monografie, ha scritto anche numerosi saggi, articoli, interventi
ospitati in riviste accademiche, ma anche in quotidiani e riviste di
vasta divulgazione.
Tra le sue opere:
-
La signora del gioco.
Episodi della caccia alle streghe (Milano, Feltrinelli, 1976)
-
Maglia o uncinetto. Racconto
linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metonimia
(Milano, Feltrinelli, 1981)
-
L'ordine simbolico della
madre (Roma, Editori Riuniti, 1991)
-
Lingua materna, scienza
divina. Scritti sulla filosofia mistica di Margherita Porete
(Napoli, D’Auria, 1995)
-
Le amiche di Dio
(Napoli, D’Auria, 2001)
-
Il Dio delle donne
(Milano, Mondadori, 2003)
-
Guglielma e Maifreda
(Milano, La Tartaruga ed., 1985, 2003)
|