In breve
La saga degli abitanti di un palazzo
costruito al Cairo negli anni trenta. Storie parallele, vite
che scorrono una accanto all’altra senza mai incrociarsi. Un
palazzo che contiene in sé tutto ciò che l’Egitto era ed è
diventato. La comédie humaine dell’Egitto contemporaneo.
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Il libro
Palazzo Yacoubian è la saga non di
una famiglia, ma degli abitanti di un palazzo costruito al
Cairo negli anni trenta da un miliardario armeno. Storie
parallele, vite che scorrono una accanto all’altra senza mai
incrociarsi. Un palazzo che contiene in sé tutto ciò che
l’Egitto era ed è diventato da quando l’edificio è sorto in
uno dei viali del centro. Dal devoto e ortodosso figlio del
portiere che vuole entrare in polizia ma che finirà invece per
immolarsi nel nome di Allah, alla sua fidanzata, vittima delle
angherie dei suoi padroni; dai poveri che vivono sul tetto
dell'edificio e sognano una vita più agiata, al signore
aristocratico poco timorato di Dio e nostalgico dei tempi di
re Faruk che indulge in piaceri assolutamente terreni;
dall'intellettuale gay con la passione per gli uomini nubiani
che vive i suoi amori proibiti, neanche così clandestinamente,
all’uomo d’affari senza scrupoli del pianterreno che vuole
entrare in politica. Ciascuno di questi personaggi si
ritroverà a fare delle scelte che, alla fine, porteranno alla
rovina o alla redenzione. Quale sia l’esito, sarà il lettore a
deciderlo. Ogni personaggio interpreta una sfaccettatura del
moderno Egitto dove la corruzione politica, una certa
ricchezza di dubbia origine e l’ipocrisia religiosa sono
alleati naturali dell’arroganza dei potenti, dove l'idealismo
giovanile si trasforma troppo rapidamente in estremismo e dove
ancora prevale un'immagine antiquata della società. Oltre ai
numerosi protagonisti, in questo romanzo campeggia la denuncia
della società, della politica egiziana e dei movimenti
islamisti, una denuncia particolarmente cara ad al-Aswani che
oggi è uno degli esponenti di punta del movimento di
opposizione egiziano Kifaya. Non a caso, un fervente
sostenitore del libro è stato Saad ed-Din Ibrahim, celebre
attivista egiziano per i diritti umani. Al-Aswani racconta
magistralmente le piccole storie private, le tragedie e le
gioie dell’Egitto che meno conosciamo, un Egitto plurale, un
Egitto fatto di persone che si divertono, che vivono e che
vanno ben al di là dell’immagine stereotipata che abbiamo
dell’altra sponda del Mediterraneo.
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"Corriere
della Sera" , 04/03/2006
Livia Manera
, Il bestseller d’Egitto è un Palazzo satanico
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Quando nel 1934 il milionario
armeno Nichan Yacoubian decise di far costruire un
palazzo nel centro del Cairo che portasse il suo
nome, si rivolse a uno studio di architettura
italiano che elaborò un progetto nel più classico
stile europeo: nove piani con i balconi abbelliti da
sculture neoelleniche, colonne, scale e corridoi di
marmo, e il nome “Yacoubian” in caratteri decò
nell’ingresso, illuminati da un modernissimo neon.
Il palazzo ebbe subito fortuna, e ministri, pasha,
industriali, stranieri e milionari ebrei vi
alloggiarono fino agli anni ‘50, parcheggiando le
loro Rolls-Royce e Buick nell’immenso garage sul
retro. Poi, con la rivoluzione del 1952, gli ebrei e
gli stranieri se ne andarono, e i loro alloggi
furono requisiti da generali e ufficiali fino agli
anni ‘70, quando col liberismo molti benestanti
abbandonarono le strade del centro e il legame tra i
grandi appartamenti patrizi e le minuscole stanze
della servitù, situate su un piano a parte, si
spezzò. Fu allora che palazzo Yacoubian cominciò a
prendere la fisionomia di un alveare socialmente
variegatissimo. Nel frattempo il figlio di Nichan
Yacoubian, Dikran, se ne andò a vivere a Ginevra, e
il palazzo, lasciato nelle mani di amministratori,
cominciò a esibire sulla facciata cartelloni
pubblicitari e condizionatori, nel più classico
disordine cairota. Quello che gli Yacoubian non
avrebbero mai potuto immaginare, è che il loro
elegante edificio al numero 34 di viale Talaat Arb,
sarebbe nel nuovo millennio diventato protagonista
del più sensazionale e controverso bestseller del
mondo arabo, Imarat Ya’Qubyan, o,
nell’edizione italiana Palazzo Yacoubian: 216
pagine di amori, ardori, afrori e soprusi, sospiri,
estorsioni, pestaggi e lacrime, che raccontano un
Egitto in crisi di identità e che presto
diventeranno un film scritto dal massimo
sceneggiatore egiziano, Wahid Hamed, e dotato di un
budget che a noi parrà modesto - tre milioni di
dollari - ma che è il più alto nella storia della
fiorente industria cinematografica egiziana. Nelle
speranze dei produttori, sarà il loro Ocean’s
eleven. L’autore di tal fenomeno letterario si
chiama ‘Ala al-Aswani, ha 47 anni e fa il dentista
perché, se nel mondo è difficile vivere da
scrittori, in Egitto è difficile persino sapere dal
tuo editore quante copie del tuo libro ha venduto.
Quanto al nostro autore, ha pubblicato altri tre
libri di racconti, scrive articoli di politica sul
“Nasserian Al-Arabi”, ed è figlio dello scrittore
Abbas al-Aswani, avvocato che aveva studio a palazzo
Yacoubian. ‘Ala al-Aswani, che lo ha ereditato, lo
ha diviso fino a qualche anno fa col camiciaio Malak
Khela, i cui eredi gli hanno fatto causa per due
milioni di lire egiziane dopo aver letto Palazzo
Yacoubian. E non sono i soli. Questo perché ‘Ala
al-Aswani, egiziano di vedute liberali che ha
studiato al liceo francese del Cairo e si è
specializzato a Chicago, ha pensato che alla sua
comédie humaine dell’Egitto contemporaneo avrebbe
giovato ispirarsi alla vita dei veri inquilini del
palazzo (anche se lui nega), ai quali in alcuni casi
non avrebbe nemmeno cambiato nome. Ecco quindi nel
romanzo Malak, il disgraziato fratello dell’ancora
più disgraziato portinaio Abaskhron con una gamba
sola, che appena riesce a risollevare il capo dalle
umiliazioni e ad aprire una camiceria a palazzo
Yacoubian, cerca di sfruttare la giovane disgraziata
Buthayna, fidanzata del disgraziato Taha che per la
frustrazione di non poter diventare poliziotto
diventerà terrorista, e avviarla con beneplacito
della disgraziatissima madre di lei, al commercio
del proprio corpo. Il merlo da abbindolare con le
sue grazie è Zaki bey, sessantacinquenne dai capelli
tinti e la libido vivace, nostalgicamente
affezionato alla memoria del vecchio re di cui il
padre era ministro e anagraficamente legato alla
terribile Dalwat, la sorella che in bigodini e
sigaretta nel bocchino d’oro, architetta angherie
indicibili per accaparrarsi i suoi beni. Tra gli
altri personaggi vi è hagg ‘Azzam, che si guadagna
il paradiso regalando alle donne pie abiti islamici
nuovi in cambio di quelli occidentali usati, e
intanto si arricchisce con l’eroina; Su’ad, la
povera crista costretta a sposarlo e ad abortire con
la forza; il colonnello Rashwan, torturatore
entusiasta di radicali; e Hatim, aristocratico
intellettuale gay prestato al giornalismo, che farà
una pessima fine come quasi tutti gli altri.
Palazzo Yacoubian è una lettura divertente nella
misura in cui può esserlo una tragedia colorita,
quella di un popolo umiliato da più di vent’anni
anni di brogli elettorali, corruzione e pestaggi
della polizia, raccontata attraverso personaggi
caricaturali - vecchi sporcaccioni, omosessuali
effeminati e donne dalle forme “voluttuose” e le
labbra “carnose, socchiuse e sensuali” - ma
nonostante tutto commoventi. Del resto l’autore
voleva essere letto da tutti (“Hemingway e Cechov e
Tolstoj non si sono certo fatti la reputazione nei
salotti” ha detto in un’intervista), e a tutti fare
arrivare il messaggio che, come dice Zaki bey nel
romanzo: “La dittatura ha rovinato l’Egitto e i suoi
effetti inevitabili sono la povertà, la corruzione e
il fallimento in ogni campo”. Fallimenti che oggi
spingono i giovani all’Islam radicale per
disperazione e per vendetta. Non è un quadro
allegro, con gli sceicchi che incitano gli studenti
nelle moschee, e hanno il diritto di far ritirare
dalle librerie i libri a loro sgraditi. Detto
questo, come una società simile abbia tollerato che
Palazzo Yacoubian diventasse un bestseller, seppure
accompagnato da una sfilza di querele, è un mistero
degno delle sue contraddizioni. |
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